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EGIZI



 


LA DONNA IN EGITTO

Fin dai tempi delle comunità primitive, furono affidati alle donne
alcuni compiti essenziali per il buon mantenimento della vita collettiva.
Tuttavia i documenti che permettono di ricostruire queste attività, sono poco noti,
perché spesso gli storici hanno trascurato questo settore,
considerandolo del tutto secondario rispetto a quello delle attività lavorative maschili.
Tuttavia la sua posizione giuridica non differiva da quella dell'uomo.
Si preoccupava assieme al marito dell'educazione dei figli ed in particolare le era affidata l'educazione della figlia femmina.
L’educazione, seppur diversa tra maschi e femmine,
comprendeva per entrambi i sessi l’apprendimento di lettura e scrittura nella scuola del villaggio.
Le fanciulle, nell’ambiente familiare, poi, apprendevano a cantare, suonare uno strumento, danzare, filare e tessere,
e praticavano con le compagne ginnastica e nuoto (nel fiume o nei canali).



A differenza delle altre culture antiche, la nascita di una femmina non era considerata una disgrazia:
la nascita, qualunque fosse il sesso del neonato, in una società a elevata mortalità infantile,
era ritenuta una benedizione degli dei ed era accompagnata
da cerimonie dedicate alle divinità protettrici della puerpera e del neonato.
Il dio protettore della gravidanza, era Bes che
veniva rappresentato come un nano deforme e barbuto.



L'ideale egizio era avere molti figli, perciò la fecondità
era una delle principali preoccupazioni della donna.
Alcuni testi descrivono una procedura che avrebbe consentito di determinare il sesso del bambino
e allo stesso tempo la capacità di procreazione della donna:
occorreva mettere orzo e grano, insieme a sabbia e datteri,
in due sacchi di tela, che la donna avrebbe bagnato ogni giorno con la sua urina.
Se fosse germogliato prima l’orzo, sarebbe nato un maschio,
se fosse germogliato prima il grano, sarebbe venuta al mondo una femmina;
se non fosse germogliato né l’uno né l’altro, la donna non avrebbe partorito.
L'efficacia di questo test è stato confermato dalla scienza moderna.
L'urina delle donne che non sono incinta, di fatto, impedisce che l'orzo e il grano germoglino.



Quando la gravidanza giungeva al termine, la futura madre faceva chiamare le levatrici.
La partoriente si accovacciava sul suolo o su due file parallele di mattoni,
che svolgevano la funzione di una sedia da parto.
Una delle ostetriche teneva la partoriente da dietro, l’altra,
sistemata davanti, si preparava a raccogliere il bambino.
Per calmare il dolore e l’inquietudine della loro paziente,
le levatrici moltiplicavano le parole di conforto e le facevano bere della birra.
Il papiro di Ebers, nella parte dedicata al parto,
dà una ventina di ricette per facilitarlo o accelerarlo,
ma si tratta soprattutto di lozioni e di massaggi.



Quando il bambino usciva dal ventre materno, le ostetriche
tagliavano il cordone ombelicale e lo lavavano.
In caso di complicazioni, la madre e il bambino avevano ben poche possibilità di sopravvivere
e la speranza era ugualmente sottile per i prematuri: eccetto gli incantesimi, non c’era niente da fare.
I papiri di medicina indicano rimedi per favorire la gravidanza
ed evitare il pericolo di aborto spontaneo.
Vi erano però anche prescrizioni per abortire e rimedi per favorire la contraccezione,
come rivelano le stesse fonti mediche
Il Papiro Ebers del 1550 a.C. e il papiro Kahu del 1850 a.C.,
contengono infatti le prime descrizioni documentate di metodi contraccettivi:
Fra le prescrizioni: miele, foglie di acacia e polvere da inserire nella vagina per bloccare lo sperma
e anche una sorta di preservativo.
Troviamo le prime tracce di preservativi intorno al 1350 aC in Egitto.
Il preservativo era composto di lino colorato, imbevuto di olio d'oliva.
E 'stato utilizzato sulle mummie dagli imbalsamatori,
ma non sappiamo se per motivi sacri o sessuali.
Usavano anche un preservativo a base di membrana di budello di pecora,
utilizzato principalmente contro le malattie infettive.
Su un papiro medico egizio datato al 1850 a.C.,
troviamo inoltre, la più antica testimonianza di un farmaco anticoncezionale,
formato da un composto di escrementi di coccodrillo, mescolati con pasta di pane,…”.
Per comprendere l’uso dello strano ingrediente bisogna precisare che il coccodrillo,
nell’Antico Egitto, era associato al dio Seth che, sempre secondo gli antichi Egizi,
aveva il potere di serrare l’utero provocando emorragie ed aborti
e di schiuderlo favorendo le mestruazioni, il concepimento ed il parto.
Infatti ritroviamo l’immagine del dio Seth proprio sugli amuleti uterini.
Ma questo non è l’unico papiro medico sul quale sono menzionati metodi anticoncezionali.
Ci sono altri antichi papiri medici egizi, risalenti al 1550 a. C.,
i quali contengono diverse ricette ma esclusivamente a base di erbe:
“ Per causare alla donna l’interruzione della gravidanza, nel primo, secondo e terzo periodo.
Frutto acerbo di acacia. Coloquintide. Datteri.
Triturare e mescolare con miele e inumidire un pessario di fibre vegetali
e collocarlo nella vagina”
È utile osservare che l’uso della coloquintide come pessario vaginale
sarà trasmesso nei secoli fino al medioevo, ripreso poi nel rinascimento e ancora fino al 1847,
quando viene menzionato da un medico britannico in uno studio su sterilità e aborto.
In effetti una ricetta affine a quella menzionata nel papiro
appare nel Corpus Hippocraticum, famosa raccolta di scritti medici del V-IV sec.a.C.
attribuita al padre della medicina Ippocrate di Cos.
"Pessario abortivo: sale egiziano, escrementi di topo, coloquintide selvatica;
incorporare a una quarta parte di miele semibollito; prendere une dracma di resina
e aggiungerla al miele, alla coloquintide e allo sterco di topo;
tritare il tutto bene, farne une pessario, introdurlo nell'utero fino al tempo opportuno"
Il Papiro di Ebers, successivo di trecento anni, suggeriva, invece,
l’uso di un tampone di garza imbevuto di un composto a base di miele, punte di acacia e patron (carbonato di sodio):
Non ci crederete ma funzionava!
I ricercatori moderni, infatti, sanno bene che le punte di acacia
producono naturalmente acido lattico che, come il sale, è un efficace spermicida
tanto che entrambi rappresentano il principio attivo di molte creme e gelatine spermicide moderne.
In quanto al miele il suo compito era quello di rallentare la mobilità degli spermatozoi
al pari di tutti i liquidi oleosi e viscosi.
In età più matura alcune donne si recavano in scuole di alto grado,
in particolare presso i Templi, così da poter apprendere tutte quelle conoscenze
grazie a cui non era loro preclusa alcuna attività.
Gli antichi Egizi usavano anche, a scopo anticoncezionale
dei piccoli coni composti di semi di melograno triturati e impastati con l’acqua.
I semi di melograno contengono un estrogeno naturale ed è possibile che,
come una pillola anticoncezionale, questa mistura prevenisse l’ovulazione.



Anche se la maggioranza delle donne sposate si dedicava alla cura delle case
(o palazzi nelle classi sociali più agiate),curando in particolare
l’igiene degli ambienti e del vestiario (abitudine grazie alla quale in Egitto
scarsa diffusione ebbero le malattie epidemiche)
e alla preparazione degli alimenti base dell’ alimentazione egizia (il pane e la birra),
siamo a conoscenza di donne proprietarie terriere, scriba  letterate,
medici ed ostetriche, affariste ed amministratrici di beni, persino capitane di navi.
Esisteva per uomini e donne pari salario, ma anche talvolta pari condizioni di lavoro duro e servile.
Tuttavia contrariamente a quanto si crede, in Egitto, non si ebbe una vera schiavitù,
se non per i prigionieri e le prigioniere di guerra,
ai quali vennero comunque garantite possibilità di riscatto e di integrazione nella società.
Gli egiziani, maschi e femmine, potevano invece essere condannati dai tribunali
ai lavori forzati, proporzionalmente alla gravità della colpa commessa.
Le condizioni di servitù per le egizie, consistevano in genere in un servizio domestico
protratto nel tempo, ma con contratto economico liberamente sottoscritto,
molto simile alle attuali collaboratrici domestiche a tempo pieno;
poteva non essere remunerato solo se rappresentava una prestazione
a rimborso di debiti contratti e non pagati.



L’amore per gli antichi Egizi era dono divino della dea Hathor,
la felicità terrena, perciò era esaltata ed oggetto di componimenti letterari, come ci rivelano gli antichi papiri.
Non necessariamente si concludeva con il matrimonio: poiché il fondamento di quest’ultimo erano la fedeltà ed il reciproco rispetto.
La donna godeva di grande libertà come ricordano alcuni frammenti del Papiro Harris (I,79, 8-9, 13)
che riportano una dichiarazione del faraone Ramses III concernente il fatto che la donna egizia
poteva recarsi ovunque desiderasse senza essere importunata
Le relazioni prematrimoniali delle ragazze egiziane erano tollerate
come esperienze di vita ed anche come periodo di prova, che poteva concludersi con una rottura.
Il matrimonio era una libera scelta: nessuna legge imponeva alla donna di sposarsi
e nessuna potestà, anche quella del padre,poteva obbligare
ad una unione di interesse o "combinata".
Sono documentati, infatti, matrimoni con uomini di classe sociale inferiore e persino con stranieri.
Comunque, come è sempre successo, alcune ragazze sposavano l'uomo imposto dal padre
Dopo il matrimonio la donna manteneva il proprio cognome ed era giuridicamente protetta dagli abusi e dai maltrattamenti:
il fallimento di un matrimonio era regolato da un apposito tribunale,
che applicava norme molto simili a quelle che attualmente regolano i divorzi nei Paesi Anglosassoni.
E’ interessante notare infatti che spesso i coniugi
stilavano contratti matrimoniali, con clausole in caso di separazione.
Generalmente in caso di abbandono o colpa del marito,
la donna riceveva un elevato indennizzo e la restituzione della dote,
in caso contrario recuperava solo i beni personali,
decurtati di una quota destinata al risarcimento del marito.
Naturalmente, come anche ai nostri giorni, non tutto filava liscio:
l’adulterio poteva concludersi tragicamente ed erano le donne a pagare con la vita il proprio errore.
Tuttavia si tratta di casi isolati di violenza individuale.
Per la mentalità egiziana la punizione doveva essere limitata a sanzioni economiche
e la riprovazione morale si esercitava nei confronti degli adulteri di entrambi i sessi.
In caso di morte del marito, la vedova ereditava un terzo delle sostanze
(i restanti due terzi venivano divisi tra i figli, maschi e femmine);
in caso di bisogno materiale, era obbligo morale per i benestanti e notabili del luogo aiutare vedove ed orfani.



Gli Egizi si sposavano molto giovani, intorno ai quattordici anni le donne e diciotto gli uomini.
Spesso il marito era più anziano della donna
I due sposi potevano essere consanguinei e appartenevano sempre allo stesso ceto sociale.
Colui che sposava una schiava, viveva al di fuori della legalità
e i suoi figli erano considerati schiavi.
Se invece una serva sposava un cittadino egiziano,
automaticamente acquisiva i diritti di donna libera.
Il matrimonio, per la donna egizia, era monogamico, per cui la padrona di casa era una sola,
anche se, in particolari periodi o presso gli strati alti della popolazione,
altre donne furono ammesse nella famiglia come concubine,
con un rango sociale subordinato a quello della prima moglie.
Solo il faraone praticava la poligamia e il "matrimonio incestuoso".
Poteva avere molte mogli e concubine ma
la "sposa principale " gli dava, in teoria,l'erede legittimo al trono.
Le altre mogli vivevano nei cosiddetti "harem".



All'interno dell'harem, la donna in apparenza godeva di molti agi,
ma in realtà viveva in una condizione di reclusa, all'interno di una gabbia dorata,
con il solo scopo di arrecar piacere al Sovrano e senza nessuno dei diritti riservati alle donne comuni.
Le concubine venivano scelte in tutto il Regno e quella condizione
era considerata un grande onore per sè e le loro famiglie.
La moglie proveniva sempre da paesi stranieri, ma il faraone si rifiutava
di far sposare le proprie figlie fuori della "terra nera".
Questi matrimoni non avevano solo un valore di prestigio ma si trasformavano anche in affari commerciali.
Il padre della sposa portava una grande dote, ricambiata dal faraone
con un generoso "prezzo per la sposa".
Questi pagamenti avvenivano anche tra la popolazione comune egiziana.
Però, di certo, molti re si sposarono con proprie sorelle o sorellastre,e persino figlie
forse per evitare l'ascesa al potere di altre famiglie aristocratiche.
Come gli dei, anche i faraoni praticavano con naturalezza questo tipo di relazioni,
senza significato "incestuoso".
La consumazione di questo tipo di matrimonio non aveva il significato di "incesto"
che possiede nella nostra civiltà occidentale.
Infatti nella mitologia egizia sono noti matrimoni tra dei fratelli.
Durante il Nuovo Regno (1552-1069 a.C.) fu consueto il matrimonio tra parenti prossimi,
allo scopo di non dividere le proprietà della famiglia.
Il modello femminile a cui tutte si ispiravano era la dea Iside, moglie esemplare,
sorella affettuosa, maga, dispensatrice di prosperità e di ricchezza,
detentrice della conoscenza dei misteri dell’universo e vittoriosa sulla morte.



Il matrimonio in Egitto non aveva vincoli sacri o particolari vincoli di appartenenza ad un uomo,
infatti era un semplice trasferimento dell’uomo o della donna o di entrambi
in un’abitazione dove la vita quotidiana veniva svolta insieme.
Il matrimonio era una semplice festa tra le due famiglie
Secondo alcune testimonianze, la celebrazione comprendeva danze, canti e banchetti.
e si concludeva con il trasferimento della sposa a casa del marito.
Contratti scritti sono riferibili solo all'età tarda.
In caso di divorzio il marito passava gli alimenti alla moglie
nella misura di un terzo rispetto alla quota definita nell'accordo iniziale.
Cause principali di divorzio erano l'adulterio e la sterilità.
Se l'infedeltà del marito era tollerata era possibile che egli prendesse una seconda moglie,
al contrario se l'adultera era la moglie veniva frustata
e subiva l'amputazione di un orecchio o del naso.
La donna aveva diritto dopo la morte ad una tomba tutta sua al pari dell'uomo
Ma, cosa facevano le donne in Egitto?
La donna egizia era considerata "la signora della casa";
se si trattava di una donna del popolo, si occupava della macinatura dei cereali
e della preparazione della birra, della filatura e della tessitura del lino;



se apparteneva alla nobiltà, invece, sovrintendeva al lavoro delle ancelle.
La donna condivideva con il marito la vita sociale e disponeva di un patrimonio che portava in dote allo sposo,
ma che un contratto le restituiva in parte in caso di vedovanza.
Rivestiva un ruolo importante, sebbene la sua posizione sociale fosse in genere inferiore a quella dell’uomo.
Le erano riconosciuti molti diritti, per i quali era equiparata all’uomo.
Poteva stilare contratti, essere chiamata come testimone
o come accusatrice nei tribunali, fare testamento e decidere a chi lasciare i propri beni.
Dalle fonti, sappiamo che le donne erano proprietarie terriere,
che partecipavano a transazioni mercantili senza l'aiuto di uomini
e che potevano ereditare e lasciare in eredità a loro piacimento
Da quanto si può capire dalle sculture e dai dipinti, partecipava con gli uomini alla mietitura.
In particolare vi sono spigolatrici e donne che tagliano il grano, in mezzo ad uomini che portano i covoni.
Le contadine, infatti, pur non partecipando alla maggior parte delle attività agricole
e pastorizie, collaboravano nella raccolta del grano.
 La società egiziana prevedeva ruoli diversi per le donne e per gli uomini.
Le principali attività conosciute attraverso le fonti archeologiche o scritte
indicano che nell'Egitto antico esisteva una divisione del lavoro in base al sesso.
I servitori maschi si occupavano di solito della cura degli uomini,
mentre le domestiche di quella delle signore.
Gli impiegati e le impiegate delle grandi tenute dei nobili o dei templi
partecipavano insieme alla lavorazione del pane e della birra,
Le donne si occupavano di fare il pane;
Preparavano la farina, pestando il grano in mortai di pietra con l’aiuto di rulli che facevano girare.
 poi la pasta, lavorandola a lungo.
Ma erano gli uomini che cuocevano il pane nei forni.
Con l'eccezione dell'industria tessile, in cui lavorarono per lo più donne fino al Nuovo Regno.
nel resto delle attività era evidente una preponderanza maschile,
Tra le domestiche sono state distinte, in base ai documenti, le fornaie, le birraie, le mugnaie,
le giardiniere, le musiciste, le ballerine e le cantanti, oltre alle tessitrici e alle filatrici.




La donna doveva anche impastare lo sterco di vacca e farne delle mattonelle che servivano come combustibile.
Il vestiario era, nell’antico Egitto, una produzione interamente femminile.
Erano le donne che tosavano le pecore, che preparavano la lana e la tessevano.
Questa produzione certamente non era solo familiare.
Un testo citato da Perenne (storico francese) lascia capire che esistevano laboratori
dove lavoravano giovani donne e certamente ragazze.
Nel testo si parla di una giovane operaia inesperta che lavorava in un laboratorio di stato
per la tessitura e che era stata mandata via dal capo dell’amministrazione da cui dipendeva il laboratorio.
La madre andò a lagnarsi dal funzionario e fu dato ordine al capo di riassumere l’operaia.
Sembra dunque che le donne fossero impegnate in laboratori di stato per la tessitura e per la produzione alimentare.
Fabbricavano anche unguenti e pomate e ne organizzavano il commercio
É anche certo che esistessero ordini di sacerdotesse e ordini di musiciste.
Le donne svolgevano anche compiti molto specializzati, come quello di nutrice;
nel caso dei figli del re, soltanto donne appartenenti alla classe nobile potevano esercitare questa funzione..



Anche se raramente, una donna egizia poteva intraprendere la professione medica,
alcune fonti ci tramandano la notizia di una prima donna medico proveniente dall’Egitto.
Visse 4700 anni fa e si chiamava Merith Ptah, nome che nella lingua egizia significa amata, da Ptah,
cioè il dio creatore della città di Menphi (la capitale dell'antico Regno),
Conosciamo il suo nome grazie ad una iscrizione in una tomba presso la famosa piramide a gradoni di Saqqara,
costruita all'incirca nel periodo in cui lei visse (2700-2600 a.C.).
Nell'iscrizione il figlio, un sacerdote, la descrive come "Medico capo".
Molte donne svolgevano attività legate al tempio.
Nelle epoche più antiche, le donne appartenenti ai ceti più elevati
portavano spesso il titolo di Sacerdotesse della dea Hator.
Durante il Medio Regno si assistette ad una graduale diminuzione del personale femminile nei templi:
le spiegazioni vanno ricercate nel peso maggiore dato
alle regole di purificazione richieste per entrare in contatto con la divinità,
o in un cambiamento attitudinale della società di questo periodo.
Durante il Nuovo Regno, le donne che svolgevano mansioni all’interno dei templi
erano “cantatrici” o “musiciste” di un determinato dio:
la loro attività consisteva nell’accompagnare i rituali all’interno del luogo di culto.
Al Nuovo Regno risale l’istituzione della carica di “Sposa Divina di Amon”,
ricoperta per la prima volta da Ahmosi-Nefertari, madre di Amenhotep I.
Questa doveva rappresentare simbolicamente la moglie del dio Amon durante le cerimonie
in cui si celebrava la procreazione del nuovo re da parte del dio stesso
e della Grande Sposa Reale, cioè la moglie principale del faraone regnante.
In Epoca Tarda questa carica riassunse notevole importanza, abbinata a quella di “Prima delle Recluse di Amon”.
Le nuove sacerdotesse, chiamate “Divine Adoratrici di Amon”,
esercitavano le loro funzioni a Tebe, ed erano scelte tra le figlie del sovrano;
era l’Adoratrice stessa a adottare quella che le sarebbe succeduta
.


Sebbene la posizione sociale della donna egizia fosse molto più invidiabile
di quella della maggior parte delle sue contemporanee di altre civiltà,
è interessante notare che quanto era riservato alle donne era considerato infamante per un uomo.
Così un papiro della XVIII^ dinastia descrive la rivoluzione accaduta circa nel 2160 a.C.
illustrando dettagliatamente tutti gli sconvolgimenti sociali
per dare l’idea di questo “mondo a rovescio”:
« i ricchi erano diventati poveri, gli uomini macinavano il grano …».
I viaggiatori greci, come Erodoto, restavano meravigliati per la libertà di azione di cui godevano le egizie.
Non a caso gli antichi scrittori greci, venuti a contatto con la tarda civiltà egizia,
accecati dalla prevenzione nei riguardi delle donne tipica del loro mondo,
si convinsero che le Egiziane dominassero i loro mariti.
Si deve a Champollion, l’uomo che per primo decifrò i geroglifici,
un’ acuta osservazione sulla straordinaria libertà di cui godettero le antiche donne egizie,
rispetto non solo alle altre civiltà contemporanee,
ma anche nei confronti della società europea del 1800, in cui l’ archeologo viveva.



Sembra che le donne molto povere abbiano preso parte ai grandi lavori di costruzione,
ai quali intere popolazioni erano costrette.
In un papiro si legge che verso il 2100 a.C. tutta la popolazione impegnata nella costruzione di un tempio a Tebe rifiutò di lavorare.
Gli uomini andarono in delegazione da Psarone, governatore della città
per chiedere due gallette in più al giorno, altrimenti avrebbero cessato il lavoro.
Questo primo incontro ebbe soltanto conseguenze tragiche:
Psarone ordinò di arrestare i capi della sommossa e di impiccarli.
Allora “le donne del cantiere andarono a trovare il Faraone per dirgli:
«Tu sei saggio e devi capire che non si può lavorare a stomaco vuoto. Sono tre giorni che non mangiamo».
Il Faraone rispose: «Queste donne hanno ragione. Non possono lavorare a pancia vuota,
né nutrire i loro figli, se hanno fame esse stesse.
Che Psarone proceda alle distribuzioni richieste e che il lavoro riprenda!».
Ma se è vero che ai più bassi gradini della scala sociale si trovavano donne insieme ad uomini a lavorare,
è anche vero che le cariche più importanti erano riservate agli uomini.







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