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ETRUSCHI



LA LINGUA

Con ogni probabilità l'etrusco non era una lingua indoeuropea.
Tuttavia le nostre testimonianze sono troppo scarse e frammentarie
per consentirci di suffragare una tesi definitiva.
L'indecifrabilità della lingua ha contribuito a creare un alone
di fascino e mistero intorno alla civiltà etrusca.
Ma in realtà la lingua etrusca non è indecifrabile.
Il problema nasce dai pochi testi arrivati fino a noi
Il flusso delle nuove scoperte però,ravviva la speranza
che il futuro, anche prossimo, possa riservarci ulteriori sorprese.
È più che probabile che il sottosuolo etrusco nasconda ancora un ricco patrimonio di iscrizioni.
Non si può escludere che un' attenta indagine nelle aree dei maggiori centri urbani,
porti al ritrovamento di testi epigrafici di carattere pubblico,
storico-commemorativo o giuridico eventualmente redatti in etrusco e in latino
(ciò che è ben possibile per le fasi più recenti dell'Etruria sottomessa o federata a Roma).
Rimarrà comunque l'incolmabile lacuna dell'assenza di testi letterari,
per cui ci è preclusa la possibilità di conoscere l'etrusco
alla stessa stregua delle altre lingue del mondo classico.
In teoria documenti letterari etruschi potrebbero scoprirsi nel futuro
in papiri dell'Egitto o di Ercolano (se si tien conto del già avvenuto miracolo -
che di un vero miracolo dobbiamo parlare - del rinvenimento di un testo
etrusco sulle bende di tela di una mummia egiziana);
ma si tratta purtroppo di possibilità tanto tenui e remote da potersi definire chimeriche.
La maggior parte delle iscrizioni arrivate sino a noi sono per lo più brevi,
frammentarie e di carattere funerario.
Di queste solo una trentina, brevissime, presentano un testo comparativo in un'altra lingua.



L'alfabeto etrusco, molto simile a quello greco, non presenta difficoltà di ricostruzione della fonetica.
L'assenza di testi di argomento profano di una qualche lunghezza non consente tuttavia
di conoscere le regole della grammatica ed il significato dei vocaboli
al di là di quelli legati alla commemorazione dei defunti ed ai culti religiosi.
Oggi tuttavia possiamo dire che l'enigma della lingua etrusca è stato almeno parzialmente svelato,
in quanto ne conosciamo la fonetica, il significato di molte parole, e possiamo ricostruire parte delle regole grammaticali.



LA SCRITTURA

La scrittura etrusca nasce in seguito ai primi contatti di tipo commerciale e culturale con i Greci
stanziati nelle colonie dell'Italia meridionale.
Fu durante la seconda metà dell'VIII secolo a.C. che gli Etruschi appresero ed adottarono
l'alfabeto greco, adeguandolo alle esigenze della loro lingua;
ma è solo agli inizi del VII secolo a.C. che la scrittura risulta pienamente acquisita
nei principali centri dell'Etruria meridionale.
Dalle varie iscrizioni sembra che inizialmente usassero solo lettere maiuscole e senza punteggiatura,
nella fase più antica le parole non erano divise fra di loro.
Solo nel IV secolo le parole cominciarono ad essere divise
ed iniziarono ad usarsi segni d'interpunzione.
La scrittura etrusca si legge sia da destra verso sinistra, che da sinistra verso destra.
I testi ritrovati sono in genere brevi e ripetitivi,
la maggior parte è costituita da iscrizioni funerarie nelle quali è indicato il nome del defunto.
Nel corso del VII secolo l'uso della scrittura è legato ad un élite aristocratica
come dimostra ad esempio l’anforetta Melenzani, che reca incisa
una lunga e solenne dedica del vaso.



L'iscrizione, che è costituita da circa 30 parole,
è la più lunga di Bologna e una delle più lunghe di tutta l'area etruschizzata.
Essa contiene il nome del vaso al diminutivo (zavenuza,
cioè piccola zavena, che significa anforetta);
quello dell'individuo a cui è stato donato, indicato come possessore, e forse quello della moglie;
Venu U(...)u e Ukui Tharmi
una serie di nomi purtroppo incompleti e lacunosi,
nei quali vanno riconosciuti coloro che lo hanno donato (turuke)
Kumen Remesalu e San(...) S(...)rsu,
altri nomi ancora e infine la firma dell'artigiano che ha confezionato il vaso
e redatto l'iscrizione ("ana mini zinake remiru", cioè "mi ha fatto Ana Remiru")
L'iscrizione è incisa da destra verso sinistra e dell'alto verso il basso, prima della cottura del vaso.
Fra la fine del VI e il V secolo, importanti testimonianze sono le iscrizioni
che compaiono su poche stele felsinee (14 su 200), che portano generalmente
il nome personale del defunto e quello di famiglia,
preceduto dalla formula 'io sono la tomba di ...', e talvolta le cariche ricoperte in vita.
Anche in questo caso, il raro uso della scrittura sui segnacoli tombali
è segno dell'alto rango sociale del defunto.
L'insegnamento della scrittura avveniva nei centri religiosi e nei santuari
ed era rivolto solamente alla classe dirigente ed ai sacerdoti
in quanto rappresentava un segno distintivo.
Si scriveva su tavolette spalmate in cera come questa qui sotto.



Questa Tavoletta in avorio intagliato contiene un alfabetario,
è del 675-650 a.C., e si trova a Grosseto
nel Museo Archeologico e d'Arte della Maremma.
E' stata trovata in una tomba con un corredo funerario che comprendeva
altri strumenti per la scrittura: uno stilo con manico d'avorio e due spatole, pure in avorio.
Le lettere dell'alfabeto Etrusco sono ventidue,
contro le ventisei dell'alfabeto greco occidentale da cui deriva.
Sono soppressi infatti i segni che corrispondono a suoni inesistenti nella lingua etrusca.
Sul bordo superiore sono incise con andamento sinistrorso (da destra a sinistra)
le lettere dell'alfabeto greco, da cui deriva quello etrusco:
quasi un promemoria per chi adoperava la tavoletta.
Sui lati brevi della tavoletta rettangolare con funzione di presa,
due teste di leone giustapposte a tuttotondo.
Il calamaio era un vero e proprio abbecedario, in quanto recava inciso l'alfabeto.


In questo sopra rappresentato, : sull'anello della base è inciso l'alfabeto,
mentre sul corpo compare il sillabario.
La presenza di alcuni errori, associata alla insicurezza nella grafia,
hanno fatto pensare che il testo sia stato redatto da un autore analfabeta
che avesse a disposizione, da copiare, un testo già preparato.
I testi più estesi che sono arrivati fino a noi sono il liber linteus
della mummia di Zagabria e la tegola di Capua.
Il liber linteus si chiama così perché era in origine un libro scritto su tessuto di lino,
anzi, più precisamente era un rotolo (volumen) che si leggeva srotolando.
Questo rotolo, però, fu poi tagliato in bende e posto a copertura di una mummia egiziana.
Portato a Zagabria insieme alla mummia, dove è tuttora conservato,
ha poi dovuto essere pazientemente ricostruito accostando le bende.
Pur mancando diverse parti, questo documento è molto importante
per lo studio della lingua etrusca, perché è un testo non epigrafico,
ma un vero e proprio libro; è in sostanza un calendario
che indica in che giorni compiere le offerte religiose per onorare le divinità.



La tegola di Capua o tabula Capuana, è una tavoletta in terracotta di 60 × 50 cm
risalente alla prima metà del "V secolo a.C." Contiene il più lungo testo conosciuto scritto in lingua etrusca dopo quello della Mummia di Zagabria. Scoperta nel 1898 sotto il suolo di Santa Maria Capua Vetere, l'antica Capua,
oggi è conservata presso gli Staatliche Museen di Berlino.
Il testo è composto di circa 390 parole leggibili e suddiviso in 10 sezioni
da linee orizzontali incise, con una scrittura molto simile
a quella in uso in Campania a metà del V secolo a.C.,
sebbene il testo trascritto sia molto più vecchio.



L'interpretazione sembrerebbe propendere per un calendario rituale,
con l'anno suddiviso in 10 mesi a cominciare dal mese di marzo
(in Etrusco Velxitna), aprile (Apiras(a)) ecc.
Si pensa che il calendario prescriva certi riti in certi giorni dell'anno,
in certi luoghi e per certe divinità.










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