Privacy Policy MEDIOEVO ABITAZIONE


 
 


ABITAZIONI
Nel Medio Evo, periodo di guerre ed invasioni,
l’abitazione come luogo accogliente e di comodità,
perse completamente importanza
e alla domus romana si sostituì il castello del signorotto
che aveva il compito di difendere il signore
ma anche il villaggio che lo circondava.
Il castello era costruito come simbolo di dominio e di difesa
e per questo era situato in posizione elevata,
all’imbocco di vallate di transito o di fronte
a porti naturali, alla sommità di dirupi
facili da difendere in caso di attacco nemico.
Esso era una dimora fortificata con torri agli angoli,
un recinto e le facciate esterne che
costituivano una muraglia invalicabile.
Aveva un pozzo o una cisterna, cantine, magazzini per i viveri,
fienili e stalle per cui poteva sostenere un lungo assedio
e offrire rifugio sia ai contadini che al bestiame.

Nell' interno c' erano vasti cameroni per la famiglia,
per i servi, per la soldatesca, scuderie, prigioni,
armerie, archivi, cortili, pollai, cantine e forni;
insomma tutto quello che occorreva alla vita
di una potente, ricca famiglia.
L' appartamento consisteva più che altro in una stanza vastissima
che era sala da pranzo, da ricevimento, da conversazione,
da lavoro e da letto. Le sue pareti erano ornate
di pitture, come le travi del soffitto.
Le finestre avevano imposte esterne con vetri piccoli
e mal connessi ed interne di tela incerata,
pergamena o carta oleata.
Tende a vivi colori proteggevano dalle correnti d' aria,
dal freddo, dal sole e dall' umidità dei muri.
I pavimenti erano di quadrelli smaltati o verniciati.



Ai lati del camino, creazione del secolo XII,
che era sempre così grande da potervi far bruciare
travi e tronchi di oltre 3 metri di lunghezza,
c'erano grandi sedie e larghi marciapiedi in legno,
su cui si raccoglieva la famiglia a giocare a scacchi
e dadi, a ricamare, cantare, udire novelle.
Prima del secolo dodicesimo non si conoscevano i camini:
il riscaldamento si faceva ancora secondo l' antico uso romano,
con diversi tubi messi sotto il pavimento
e nello spessore dei muri, che diramavano il calore
ricevendolo da una specie di fornace messa nei sotterranei;
le aperture dei tubi del pavimento si coprivano con tappeti.
La terra circostante era di proprietà esclusiva
del signore del castello e le case che vi sorgevano
erano misere baracche in legno o capanne,
poveri ricoveri per servi della gleba
che esistevano solo per coltivare le terre del padrone e
difenderne gli averi in caso di attacco nemico.

La parola castello deriva dal latino castellum
che indicava una costruzione fortificata;
il termine, infatti, era l diminutivo di castrum
cioè grande presidio fortificato.
I castelli, quindi, esistevano fin dai tempi antichi
ma la loro forma tipica, che li distingueva
da ogni altro monumento architettonico,
nacque nel Medio Evo.
Quando l’impero e gli stati europei non riuscirono più
a garantire la sicurezza della popolazione
e quando la loro unità politica si frantumò
in una miriade di feudi indipendenti,
il centro della vita si spostò dalla città alla campagna
dove i signori feudali iniziarono a costruire
innumerevoli fortificazioni private, i castelli, appunto.
All’inizio questi erano costituiti
da una semplice torre di legno (mastio)
difesa da una rudimentale palizzata (cinta)
o da un terrapieno; accanto al mastio sorgeva
una piccola ma massiccia costruzione (maniero)
nella quale viveva il feudatario dividendo
l’unico ambiente con i suoi guerrieri.

Quando si cominciò ad usare la pietra, il castello cominciò ad assumere
l’aspetto caratteristico che noi conosciamo,
conservando i suoi tre elementi fondamentali.
La cinta si trasformò in una poderosa muraglia
alta fino a 10 metri, difesa da un fossato
che poteva essere superato solo
tramite un ponte levatoio già usato dai Romani
e rafforzato da massicci contrafforti e dalle torri di cinta
disposti a distanze regolari l’uno dall’altra,
uniti fra loro da corridoi che vennero chiamati cortine.

Inizialmente a pianta circolare o semicircolare,
le torri divennero poi poligonali ed alcune
anche a pianta ottagonale.

Erano molto alte e in alcuni castelli,
come quelli normanni della Sicilia,
raggiungevano i 30 metri e finivano con i merli, già noti ai Romani,
che potevano essere piatti o biforcuti, detti a coda di rondine.

Durante le lotte fra Papato ed Impero, divenne molto importante riconoscerli
per evitare di chiedere ospitalità ad un signore nemico.
Quelli a coda di rondine, infatti, contrassegnarono
i castelli dei signori ghibellini (favorevoli all’imperatore)
mentre quelli a forma piatta, i castelli dei signori guelfi (favorevoli al papa).

Sulle cortine si snodava un passaggio protetto
da un parapetto sporgente lungo il quale passava la ronda
e che fu quindi chiamato camminamento di ronda .



Grande importanza ebbero gli ingressi del castello:
il principale era la porta carraia costituita
da un massiccio portone protetto all’interno
da una saracinesca di ferro che dava sul ponte levatoio
e si apriva sulla torre più importante o fra due torri;
l’altra porta era la posterla, una porta molto stretta
che consentiva il passaggio di un solo uomo
o di un solo cavallo per volta.



Lungo la cortina e le torri si aprivano delle strette finestre
dette feritoie o saettiere perché da esse
i difensori del castello lanciavano le frecce
contro il nemico; sui camminamenti e sulle torri,
infine, si sistemavano le macchine da guerra,
soprattutto catapulte e balestre, i proiettili ed i sassi,
i recipienti di liquido bollente da scagliare sugli assedianti
che tentassero di scalare le mura.

Spesso intorno alla prima cinta muraria se ne aggiungevano altre
dotate di torri, contrafforti e ponte levatoio che,
oltre ad assicurare un’ulteriore difesa al castello,
servivano a proteggere le case degli abitanti del feudo
che andavano ad arroccarsi sul colle dominato dalla fortezza.

Il mastio coronato di merli e di camminamenti,
nel tempo subì radicali trasformazioni;
dovendo servire infatti,da estrema difesa,
nel caso che gli assedianti fossero riusciti a penetrare nel castello.
Divenne quadrato e fu destinato ad ospitare i soldati di vedetta,
dato che per altezza superava le altre torri
ed era anche più grande.
In seguito gli fu aggiunto un sopralzo, una torretta
dove si trovava la campana per chiamare
a raccolta i soldati e gli abitanti dei dintorni che,
in caso di pericolo, si rifugiavano dentro le mura.
Dotato anch’esso di ponte levatoio, talvolta era
la costruzione più solida dell’intero castello e
per questo motivo sopravviveva spesso,
alla distruzione del castello.
Quando la guerra si abbatteva sul paese, il castello
veniva invaso dai contadini che vi cercavano rifugio.
Il cortile era talmente grande da poter accogliere
le popolazioni anche di 40 villaggi.
Non tutti però potevano rifugiarsi al castello,
per farlo dovevano ottenere il “diritto di rifugio”
che il signore concedeva gratis o a pagamento.
Il maniero fu l’elemento del castello che subì
le più vistose modifiche essendo
l’abitazione del signore e sorgendo vicino al mastio.
Venne progressivamente fortificato, orlato di merlature,
difeso da torri agli angoli e munito di ponte levatoio.
Dall’ingresso si accedeva in un cortile interno,
talvolta circondato da un porticato da cui si dipartivano
le scale che conducevano ai piani superiori,
dove si trovavano gli appartamenti.
L’arredamento era costituito da pochi mobili essenziali
perché, in caso di trasloco improvviso
il carico fosse facile da spostare.
Il signore e la sua dama erano gli unici
ad avere diritto ad una camera matrimoniale,
nella quale troneggiava un grande letto.
Dapprincipio il letto, di ferro, di bronzo o di legno lavorato,
era molto più alto alla testa che ai piedi;
vi si dormiva ravvolti in un grande lenzuolo
o copertone gettato sul materasso.

Col secolo dodicesimo, aumentando il lusso,
il letto divenne basso, largo ed imponente,
reso morbido da un pagliericcio e da cuscini di piume;
ebbe trine e coperte e lenzuoli di lino.
Si appoggiava al muro o era disposto
al centro della sala, sollevato da predelle.
A volte, per salirci era necessaria una scaletta. Sul pavimento freddo lo scendiletto era costituito
da pelli di bestie uccise durante la caccia.
Intorno al letto cassoni servivano per contenere gli indumenti.
Al piano terreno si aprivano i locali destinati al corpo di guardia,
la sala delle riunioni, le cucine, le stanze della servitù e le scuderie,
mentre nei sotterranei erano ricavati magazzini
per conservare le provviste e le celle,
le segrete destinate ai prigionieri.



La sala delle riunioni era un’imponente sala
che serviva non solo per amministrare la giustizia,
ma anche per tutte le riunioni di una certa importanza:
pranzi, balli, feste, cerimonie militari.
Essa era arredata con panche, sedie pieghevoli,
rese più comode dai cuscini imbottiti,
cassoni e talvolta armadi.
Si mangiava su tavole di legno lunghe che si disponevano
su sostegni di legno solo al momento del pranzo.
Il freddo era mitigato da un grande camino
e le pareti erano rivestite di stoffa o pellicce.
Trofei di guerra e stemmi completavano l’arredamento,
mentre per terra venivano sparse erbe odorose e fiori
per coprire gli odori forti delle vivande.
L'illuminazione notturna era assicurata da fiaccole,
candele, torce sostenute da candelabri massicci
collocati in portafiaccole in ferro infissi alle pareti.

Le condizioni igieniche erano piuttosto rudimentali.
Di solito i rifiuti di ogni genere venivano gettati dalle finestre,
però in qualche castello le torri e il mastio
avevano fin dal principio latrine in ogni piano
che scaricavano lungo le scarpate che circondavano il castello.
I bagni con vasche non esistevano,
ma ci si lavava in varie occasioni,
nella tinozza o più frequentemente nei catini.
La cucina era dotata di un grande focolare
per sfamare la piccola schiera di cavalieri
che il signore manteneva.
Quando i castelli persero la loro funzione difensiva,
il mastio ed il maniero divennero un unico edificio
che venne sempre più adattato a sontuosa dimora del signore,
arricchita da decorazioni da sculture, pitture ed affreschi.

Diversa era la vita nella città medievale
dove le strade erano strette e tortuose e,
a volte, circondate da porticati che servivano
per proteggere i passanti dalla pioggia
dato che in Italia gli ombrelli non appariranno che nel 1500.

Non esisteva nessun tipo di illuminazione notturna
e quindi i viandanti dovevano fidarsi
del proprio senso di orientamento
o della luce dei lumi delle immagini sacre.
Se di notte le strade erano praticamente vuote,
di giorno la strada era tutta piena di vita.
Gli artigiani lavoravano in strada e non era difficile
vedervi girare animali da cortile
e perfino porci che facevano le vecidegli spazzini
visto che ognuno pensava a pulire
solo il pezzetto davanti la sua casa.
Le case erano piccole, costruite in legno,
in pietra o in muratura e spesso,
nella parte superiore, sporgenti sulla via.

A pianterreno c’era una grande stanza e, davanti,
se vi abitava un artigiano, la bottega.
Sul fondo la cucina,dove si mangiava su tavoli
montati su cavalletti che a fine pranzo venivano smontati.
Ma da dove deriva la parola casa?
I Romani chiamavano le loro abitazioni domus
anche quando si trattava di una villa rurale,
tanto è vero che questa parola latina è stata prestata
ad altre lingue, per esempio a quelle slave, nel russoдома,
nel croato dom, nel cecodomácí, nel polacco dom,
nello sloveno domov, nel serbo дом,
nello slovaccodomáce, con lo stesso significato di casa.
In alternativa, la casa popolare veniva chiamatainsula
e si diffuse soprattutto in epoca imperiale,
quando all'aumento della popolazione nella città
si rispose con un incremento nell'altezza delle abitazioni.
La risposta è semplice: il termine deriva da
casas che era il termine con cui i Romani
indicavano le case dei Galli che, secondo l'usanza
delle popolazioni celto-germaniche, non erano costruite
con la pietra, ma erano capanne di legno col tetto di paglia,
Ed infatti, dopo le varie invasioni subite dall'Impero Romano d'Occidente,
le domus non esistevano più e la popolazione viveva
in miseri tuguri, in capanne fatte di legno col tetto di paglia.

Artigiani e lavoranti conducevano vita in comune:
mangiavano insieme, pregavano con la famiglia, si divertivano insieme,
dormivano nello stesso dormitorio (a volte nello stesso letto)
in quanto in quell’epoca non si era ancora
sviluppato il desiderio d’intimità.
Ancora nel 1600, infatti, spesso le serve
dormivano su brande ai piedi del letto del padrone
e le stanze d’albergo ospitavano
anche 6 persone fra loro sconosciute.
Le case dei borghesi erano poco più grandi
di quelle dei poveri, e prevedevano due stanze:
la cucina e la camera "nobile".

Queste case, dette torri, si erigevano spesso su due piani.
Bisogna infatti considerare che le città del tardo medioevo
erano fortificate e che con l'aumento della popolazione
e la nuova necessità di case, era necessario
costruire il maggior numero possibile di abitazioni,
in uno spazio sempre uguale.
La cucina era posizionata al piano superiore
e la camera nobile, in cui si ricevevano
gli ospiti, a quello inferiore.
La cucina era rudimentale, aveva, come per le case
dei poveri, un fuoco acceso al centro,
il cui fumo si disperdeva attraverso il soffitto,
in cui spesso era praticato un buco,
privo di caminetto e canna fumaria.
Nella cucina c'era poi una vasca con dell'acqua,
portata con i secchi, poiché a quel tempo
non esisteva l'acqua corrente,
oltre ad un vero e proprio armadio per gli utensili
e ad una finestra da cui, oltre ad uscire il fumo, entrava il freddo.
L'apertura, che fungeva da finestra, era infatti,
priva di vetri, ma a volte poteva essere fornita
di scuri per permettere la chiusura durante la notte.
La camera principale era quadrata o rettangolare
ed era la stanza in cui si dormiva e si mangiava nelle grandi occasioni.
Il pavimento, in queste case, era di legno
o di pietre ed il soffitto,formato da travi incrociate,
formava dei cassoni.

I muri, che per lungo tempo erano stati nudi,
pian piano si ricoprirono di affreschi e stoffe, appese con chiodi.
I ricchi vivevano in case costituite da tre stanze:
cucina, camera da letto e sala per i ricevimenti,
che era detta sala "prima" o sala "madornale"
Dato il freddo, pian piano si diffuse l'usanza
di costruire un caminetto in ogni stanza,
costume che si concretizzò definitivamente nel XVI secolo.
Dentro le case, il mobilio era solido,
costituito più che altro dalla cassapanca e dal letto.
Nelle camere da letto dei palazzi vi erano anche
dei mobili per il trucco con specchi e pettini in avorio lavorato.



Tutte le case ricche possedevano inoltre una loggia:
una stanza, a volte separata dal palazzo, in cui si eseguivano
feste private o pubbliche, come battesimi,
matrimoni o ricevimenti di ospiti illustri.
Le suppellettili delle case ricche era vario.
Si trovavano spesso stoviglie di ceramica, bicchieri e posate in argento.
In alcune case, inoltre, era in uso la tovaglia, che,
nelle grandi occasioni, veniva stesa
su un tavolo massiccio di quercia.
Le sedie avevano lo schienale ed anche le cassapanche.
La cassapanca custodiva gli abiti,
strettamente arrotolati,la biancheria profumata
con erbe odorose, le carte di casa, il denaro.
C’erano poi panche, sgabelli e il forziere,
ben protetto da serrature, che custodiva
il tesoro del signore: oggetti preziosi e monete d’argento.
Le case dei poveri addossate alle mura di cinta della città,
oppure alle rovine di qualche palazzo feudale,
erano di solito costituite da una sola stanza.
Questa serviva sia da cucina, che da camera da letto, per tutta la famiglia.
Le case erano molto spesso costruite di legno,
ma in qualche raro caso erano fatte di pietra,
ed il tetto era di stoppia.

 

Al centro della stanza veniva tenuto un fuoco acceso,
che per lo più affumicava l'ambiente, aerato da un'unica apertura,
dalla quale oltre ad uscire il fumo, entrava il freddo.
L'arredo era essenziale: un tavolo, che spesso era formato
da un'asse appoggiato su cavalletti,
alcuni sgabelli e delle panche senza schienale.
I piatti erano delle scodelle di legno,
e, a volte, venivano usati contemporaneamente da due persone.
Anche le posate erano di legno, e tutto veniva riposto
in nicchie scavate nei muri.
Per la notte, i più poveri si sistemavano per terra,
accucciandosi su dei sacchio delle coperte.
Chi poteva permetterselo invece,
riposava su sacchi imbottiti di paglia o foglie di mais
oppure si adagiava su delle tavole di legno.
La paglia, nelle case, sostituiva spesso le sedie e le panche
ed era molto apprezzata, soprattutto, quando faceva freddo.
Le case, essendo prive di acqua corrente,
mancavano anche di scarichi e di gabinetti.
I servizi igienici, quando c’erano, erano
delle sporgenze del muro con un buco che si apriva
direttamente sul canale e, se il canale non c’era,
su un fossato o su una grande tinozza o su un cortile
che dava su un orto o su un campo.
Ma chi non aveva questa "comodità",
per espletare i propri bisogni andava per la strada.
Non sappiamo se fossero diffuse delle latrine pubbliche,
;ma per lo più ci si liberava tra le case,
dove erano poste delle tavole con un buco,
su cui ci si poteva adagiare.
Lo smaltimento degli escrementi era a carico
del proprietario della casa, ma
sappiamo dalle fonti storiche,
che spesso la gente sfogava i propri
bisogni corporei in casa, dentro dei secchi, che poi
venivano gettati per strada.
Nonostante fosse una pratica ritenuta illegale,
l'uso era grandemente diffuso.
La casa medioevale, quindi, non aveva grandi comodità
e le uniche protezioni dal freddo
erano costituite dal camino con la cappa
alta fino al soffitto, dai muri spessi, dalle piccole finestre
difese da imposte di tela o di pelle animale.
Il vetro, nelle case borghesi entrò solo nel 1400.
La sera era illuminata da lucerne ad olio o candele di sego
(grasso di maiale solidificato) ed a quella luce,
la famiglia si riuniva e le donne facevano
i loro lavoretti aiutate, se ne avevano la possibilità,
dai primi rudimentali occhiali.

Fu a Venezia, patria delle fusione del vetro, che si adoperò
per la prima volta il vetro trasparente come lente:
i due vetri per gli occhi venivano tenuti insieme da un chiodino.
I primi «occhiali», cioè le «lenti» (dal latino lens, lenticchia),
erano anche denominate specilla o conspicilla;
venivano, non più appoggiate sul libro come una lente di ingrandimento,
ma tenute vicino all’occhio, correggendone la capacità
di mettere a fuoco che si riduce col passare degli anni.







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