Privacy Policy MEDIOEVO BELLEZZA


 
 
 
 

BELLEZZA

Nel periodo che va dall'XI al XII secolo, erano  di moda la bocca piccola;
occhi grandi e tondeggianti con sopracciglia ad arco e pelle bianchissima.
Le sopracciglia veniva rasate del tutto,
come anche la fronte che in questo modo risultava più ampia;
il volto, le mani e i denti dovevano essere bianchissimi.
Per riuscire ad avere uno sguardo, il più seducente possibile,
le donna più ardite si pitturavano di blu o di verde le palpebre
e usavano dei prodotti argillosi stemperati in acqua.
Per ottenere questi risultati bisognava sottoporsi ad un'attenta cosmesi:
i volti però erano privi di intensità ed espressività
che oggi noi ricerchiamo con il trucco e l'uso sapiente delle matite,
ed essere attraenti allora era molto difficile,
per cui le donne, ricorrevano ad un velo di rosso sulle gote,
mentre le sopracciglia depilate venivano ripassate con il nero.
In occasioni speciali uomini e donne ingaggiavano addirittura
pittori professionisti che dipingevano
i loro volti con i colori ad olio o a tempera.

Secondo Marie de France, la damigella ideale doveva avere queste qualità:
“Ha il corpo ben fatto, i fianchi stretti,
il collo più bianco della neve su un ramo.
I suoi occhi sono grigio-azzurri, il viso chiarissimo,
la bocca gradevole ed il naso regolare.
Ha le sopracciglia brune, la fronte ampia, i capelli ricciuti e biondissimi.
Alla luce del giorno sono più luminosi dell’oro.”



Fu in questo periodo che venne scritto
il Primo Trattato di Cosmetica della Storia,
il "De Ornatu Mulierum" (Sui cosmetici delle donne)
della medichessa della Scuola Medica Salernitana Trotula De Ruggiero
comunemente noto come “Trotula Minor”.

Tale opera, è un trattato che insegna alle donne
come preservare e migliorare la propria bellezza
e come curare le malattie della pelle
mediante una serie di precetti, consigli e rimedi naturali.
Nell’esposizione, l’autrice nomina spesso, come esempio,
le mulieres salernitanae e dà lezioni di make-up,
suggerisce come nascondere le rughe,
rimuovere gonfiori da viso e occhi,
depilare il corpo, schiarire la pelle, nascondere le macchie
e le lentiggini, lavare i denti ed eliminare l’alitosi,
tingere i capelli, fare la ceretta, curare labbra screpolate e gengiviti.
Fornisce inoltre indicazioni per preparare
ed utilizzare unguenti ed erbe curative
per il viso e i capelli e dispensa consigli
per migliorare il benessere mediante bagni di vapore e massaggi.

Nell’opera, la cosmesi non risulta un aspetto frivolo,
al contrario, secondo il concetto di bellezza di Trotula,
la donna deve raggiungerla per entrare in accordo
con la filosofia della natura, come estrinsecazione
di un corpo in salute e in armonia con l’universo.
Avreste mai detto che le donne medievali, almeno le più evolute,
si sottoponevano a trattamenti di bellezza “moderni”
come il peeling e la depilazione?
Sappiamo con certezza che ciò costituiva un’abitudine irrinunciabile
per molte signore fiorentine del ‘300, poiché lo attestano
fonti in nostro possesso; metodologia e ingredienti
fanno accapponare la pelle ma, evidentemente,
anche la tortura era sopportata pur di essere belle.

Per levigare e rendere di velluto la pelle del corpo,
le donne di Firenze si servivano dell’abilità di professioniste
che si recavano a domicilio. Lo strumento adoperato,
per raggiungere i risultati desiderati, era una spatola
di legno e vetro
che veniva ripetutamente
strofinata sulle parti da trattare.
Questo tipo di peeling è niente rispetto alla depilazione,
attuata con i sistemi riportati su un libro
addirittura antecedente al XIV secolo:
“Un depilatorio che cava i peli sicché mai rinascano in tempo alcuno:
in una scodella di terra metti calce viva e sei parti d’acqua;
e stia la calce in detta acqua tre dì.
Poi secca la detta calce in una pignatella e rimetti sei parti d’acqua
e una di parte di orpimento (arsenico di color giallo oro)
e stia tanto al sole che sia ben forte.
E assaggialo con piuma di gallina e se è troppo forte,
temperalo con acqua; e se non pelasse e fosse troppo chiaro,
metti calce e orpimento in parti uguali; e sarà fatto”.
Gli ingredienti di base di questa comune ricetta depilatoria del 1300
erano quindi arsenico e calce viva,
o addirittura l’inserimento
di aghi roventi nel bulbo pilifero.
La pelle del viso e i capelli
erano considerati i punti di forza
del fascino femminile ed erano quindi
le parti del corpo cui ci si dedicava di più.
Per mantenere il viso pulito, giovane e dall’aspetto radioso,
ci si affidava a ricette di bellezza riportate su antichi manuali
o derivate dalla saggezza popolare;
l’acqua, addizionata con ingredienti naturali,
era alla base della pulizia della pelle.

Ecco un esempio di come le fiorentine dell’epoca
preparavano da sole un “detergente per il viso”
(la ricetta, “datata” inizio XIV secolo, è probabilmente tratta
da un testo di gran lunga anteriore):
“Per lavare ogni macchia dal viso: cinque boccali di latte,
cinque molliche di pane fresco, e lasciarle stare
nel detto latte per 5 ore;
metti poi a lambicco; e l’acqua che ne uscirà
la conserverai in un’ampolla dentro mezzo scrupolo di borace pesto.
E così lavandoti poi il viso e lasciandolo asciugare da sé,
si farà netto e pulito”
Ovviamente la Chiesa condannava queste pratiche
e già durante i primi secoli del cristianesimo,
San Cipriano consigliava alle giovani donne,
per evitare la dannazione eterna, di non adornarsi
con gioielli e di non cambiare
il colore dei capelli né di acconciarli.

La bellezza fisica venne considerata dominio
del Maligno e pertanto era rappresentata
solo come attributo della Madonna e dei santi

Anche le parrucche erano malviste perchè si temeva
che potessero impedire alla benedizione di giungere sulla testa.
Anche gli uomini non erano esenti di ingiurie
se si scoprivano a curarsi capelli, la barba, o se si facevano il bagno;
In questo periodo, infatti, la Chiesa
mise al bando i bagni pubblici imputati di essere focolai del vizio
e il risultato delle sue posizioni fu una decadenza generalizzata
delle consuetudini igieniche.
Mentre gli scrittori cristiani condannavano i belletti e trucchi,
questi erano usati dalle popolazioni barbare.
Tra le donne sassoni era noto l'uso del rossetto
e l'uso di oli e burri acidi per la cura dei capelli.
La complessa vita di corte dei castellani medioevali,
conduceva spesso ad un uso più frequente di prodotti tipici
che potevano soddisfare la vanità femminile e,
anche se illustri nomi della letteratura italiana
immortalano nelle loro opere l'esplicita condanna dei trucchi
(Dante Alighieri, canto XV del paradiso),
molte sono le trattazioni fatte nei testi dell'epoca
della bellezza femminile e di consigli relativi all'utilizzo
di prodotti per conservarla ed esaltarla.
Tra i materiali citati per questi usi si trovano sostanze come l'antimonio,
il nerofumo, la salvia, il limone, l'uovo e così via.
Vengono anche riportate formulazioni laboriosissime e spesso anche nocive.
Il prodotto base per la pulizia del viso e dell collo,
era l'acqua di rose che arrivava in Europa dall'Oriente
ed era stata introdotta in Italia dai crociati .
Nello stesso periodo si diffuse la conoscenza per uso cosmetico
e l'impiego di erbe indigene quali lavanda, salvia e rosmarino.
Nel Medioevo si aveva l'abitudine di realizzare oggetti di ogni tipo
con il legno del rosmarino da usare come talismano
tra i quali i pettini che avrebbero impedito la calvizie.
La morale cristiana imponeva costumi rigorosi
che influirono anche sullo stile delle acconciature:
gli uomini portavano capelli corti e tagliati in tondo,
mentre le donne avvolgevano intorno al capo le bende
per nascondere le chiome come ancor oggi fanno le suore
di alcuni ordini monastici di origine medievale.

Solo in epoca feudale regine e signore dell'aristocrazia
cominciarono a portare i capelli sciolti sulle spalle
e fermati, sul capo, da un diadema.
Dalla fine del XIII sec., uomini e donne del popolo minuto
coprirono il capo ed i capelli con semplici cuffie annodate sotto il mento
mentre gli uomini della borghesia e dell'aristocrazia
portavano berretti morbidi a cencio.
Tra i giovani, uomini e donne, delle classi sociali più ricche
si diffuse l'abitudine di schiarire, arricciare e profumare i capelli
che scendevano fino alle spalle e spesso erano decorati
con ghirlande di foglie e fiori.
A Firenze e Venezia, gli uomini con capelli corti,
erano guardati con sospetto e considerati dei malfattori.
Una lunga treccia (coazzone ) di capelli e nastri
ornava spesso il dorso delle gentildonne che altre volte
raccoglievano sulla nuca i loro capelli in un nodo
trattenuto in una reticella d'oro o di seta
e circondavano il capo con la lenza o ferroniere,
un nastro che lasciava scendere sulla fronte
una perla o un'altra pietra preziosa.

In Italia, nel Medioevo,soprattutto per le donne,
lavarsi i capelli era un’abitudine piuttosto diffusa
ma talmente elaborata da richiedere,
a volte, buona parte della giornata.
Gli ingredienti per preparare gli “shampoo” dell’epoca,
quasi tutti di origine naturale, ma non sempre,
ci lasciano oggi alquanto perplessi,
ma pare che allora avessero una certa efficacia
Era frequente mescolare alle sostanze vegetali
che di solito fungevano da “shampoo”, un po’ di zolfo,
e anche frizionare il cuoio capelluto con acquavite
e detergenti di vario tipo e provenienza.
Le acconciature potevano variare a seconda
della classe sociale e della personalità
della persona che li portava;
potevano essere arrotolate con imbottiture e retine per capelli,
raccolti sulle tempie, oppure a modo corna, coperte
da un velo; queste appena elencate sono tra le più elaborate.
Una tra le più portate fu l’acconciatura a cono
che era molto diffusa in Francia,
ma ancora più elaborata era l’acconciatura a farfalla
che consisteva in una struttura in filo di ferro colorato
che rappresentava una farfalla coperta da un velo.



A partire dal XII secolo, ma specialmente nella seconda metà del XIV,
le donne dividevano i capelli sul capo
lasciandoli cadere sulle spalle arrotolati o intrecciati.
Spesso la lunghezza dei capelli raggiungeva le ginocchia
e comunque per aumentarla, si usavano anche i toupet.
Alcune volte i capelli della donna venivano raccolti
con un velo bianco di lino o seta, fissato sopra le orecchie.
Come oggi, quindi le acconciature femminili erano infinite e bizzarre.
Se le Romane avevano avuto un debole per i capelli rosso fiamma,
le donne medievali lo avevano per il biondo,
considerato contrassegno di razza e di classe:
i nobili, infatti, essendo di origine tedesca,
erano quasi tutti biondi.
Le castane e le brune si tingevano
e si facevano confezionare i cosiddetti “posticci”.
Si dice che una dama piemontese allevasse una corte di paggi biondi
per abbellirsi con i loro capelli.
Complicatissimo anche allora era il maquillage,
i cui ingredienti basilari erano il rossetto e la crema,
fatta di un velenoso intruglio di polvere di piombo,
aceto, miele che conferiva all’incarnato
un colore bianco e opaco simile a quello della biacca
ma che, col passare del tempo, corrodeva il volto e lo deturpava.
Per truccarsi gli occhi, le donne usavano un carboncino d’antimonio
e nerofumo, antenato del moderno rimmel.
Altri cosmetici molto in voga erano lo zafferano che dava vivacità alle gote,
le mandorle, le fave, le cipolle, le ali d’api.
Al posto del sapone si usava la soda o la farina di fave,
mentre per la pulizia dei denti si ricorreva all’orina di fanciullo
impastata con pomice e marmo grattugiati
oppure con polveri di corna di cervo, cranio di lupi e gusci d’uovo.
I Crociati, tra le altre cose, portarono in occidente i profumi
di cui gli Arabi furono per secoli i più sapienti distillatori.

Uomini e donne se ne cospargevano abbondantemente il corpo e gli abiti.
Contro la calvizie pare che ci fosse un rimedio efficace:
un timballo a base di pepe, zafferano e sterco di topo,
il tutto abbondantemente innaffiato d’aceto.

Per lavarsi e vestirsi non occorreva gran tempo:
in camera gli arnesi destinati alla pulizia corporale si riducevano
a una piccola catinella di terra cotta o di rame,
posata sopra un treppiede di legno o di ferro battuto.

Generalmente la toletta nel Medioevo si faceva dopo essersi vestiti
e si limitava al lavaggio delle parti del corpo visibili: faccia e mani.
In occasioni importanti, una volta la settimana o più di rado,
ci si lavava a torso nudo davanti ad un secchio d’acqua.
Il bagno era riservato ai malati e ai convalescenti.
Si faceva in tinozze di legno di cui si ricopriva il fondo con un panno
per impedire che le scaglie potessero ferire la pelle;
il bagnante vi si sedeva dentro con le ginocchia piegate.

Per le persone meno ricche esistevano i bagni pubblici
che restavano aperti tutti i giorni tranne la domenica e nei giorni di festa.
Quando l’acqua era calda venivano inviati annunciatori per avvisare la gente.

Lontano dall'enfatizzare il petto, le donne medievali
indossavano il corsetto per appiattirlo, in quanto era considerato
molto femminile lo stomaco, che fu considerato monumento di femminilità.
Per questa ragione le donne indossavano anche imbottiture
che accrescevano soprattutto l'effetto del ventre prominente.

All'epoca il potere più conturbante non era considerato
quello della vista del seno, ma del piede
e meglio ancora  del polpaccio, per cui,
mentre gli strascichi si allungavano, le scollature sprofondavano.
Come cambiano i tempi!!!!





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