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CALENDARIO E MISURAZIONE DEL TEMPO

Il tempo non è altro che una convenzione,
un accordo fra tutti i popoli della terra
atto a permettere il calcolo delle giornate e degli avvenimenti
tenendo qualcosa come punto di riferimento.
Nell’antichità gli uomini si regolavano osservando
il ciclo del sole fra l’alba ed il tramonto
o le fasi lunari.
Per calcolare periodi più lunghi, utilizzavano
il ciclo delle stagioni; ma, con l’andar del tempo,
si sentì sempre di più, il bisogno di un calcolo
molto più preciso ed adatto ad essere utilizzato
per le varie esigenze.
Nel Medioevo la misurazione del tempo
era un lusso riservato ai potenti.
Il popolo obbedisce (scrive il medievista Le Goff)
al tempo imposto dalle campane, dalle trombe e dagli olifanti.

Le tre categorie di persone in cui si divideva la società medievale:
il chierico, il cavaliere, il popolano
si basavano su punti di riferimento diversi per il suo calcolo.
Il tempo del popolo era sostanzialmente regolato
dal ritmo scandito dal lavoro nei campi:
il giorno e la notte, le stagioni, il raccolto e la semina.

Il tempo signorile era invece regolato dagli obblighi militari
richiesti o prestati in qualità di vassallo

Il tempo dei religiosi era scandito: il giorno dalle preghiere,
il passare dei mesi dalle feste liturgiche

Il suono delle campane, unico tempo quotidiano misurato,
regolava comunque la vita di tutti

Durante il medioevo il modo di calcolare il tempo non era uguale dappertutto:
non esisteva una data ufficiale a cui rifarsi e in stati diversi
si usavano sistemi di misurazioni e computo del tempo differenti.
Tutto ciò, ovviamente, alimentava una gran confusione.
L'Occidente si fondava sul calendario giuliano dei Romani (46 a.C.),
da cui mutuò la suddivisione dell’anno in mesi, settimane e giorni,
l'Europa orientale, invece, contava gli anni
secondo il principio del mondo, calcolato seguendo le età convenzionali
dei patriarchi biblici ,dal 5008.
Anche la data stabilita come inizio dell’anno,
variava a seconda dei luoghi, talvolta basandosi
sulla festa della Circoncisione di Cristo (cioè il primo gennaio)
ma più spesso sull’Annunciazione a Maria (celebrata il 25 marzo).
In area bizantina l'anno iniziava il 1º settembre,
a Venezia il 1º marzo. a Roma e in Germania  il 25 dicembre,
in molte zone italiane  il 25 marzo, secondo
lo "stile dell'Incarnazione" (concepimento di Cristo).
In Francia l'anno iniziava il giorno di Pasqua.
Solo a partire dalla promulgazione del calendario gregoriano (1582),
progressivamente si ritornò alla data del 1º gennaio,
originariamente fissata da Giulio Cesare
e oggi adottata universalmente.
In questa situazione, era difficile calcolare
la data delle feste mobili,
in particolare della Pasqua che,
a partire dal VI secolo, venne circoscritta
ad un periodo di tempo oscillante tra il 22 marzo e il 25 aprile.
Erano spesso usati calendari figurati
con l’illustrazione del ciclo dei mesi.
Questi risalgono all’età ellenistica (II secolo a.C.),
ma il calendario illustrato con le raffigurazioni
del lavoro dei campi, rappresenta
una vera e propria innovazione medievale.

Durante l’Alto medioevo si continuò a considerare
come riferimento dell’anno, l’imperatore in carica a Bisanzio.
Qualche tempo dopo l’anno di riferimento fu
quello relativo al regno dei sovrani di occidente
o del papa in carica.
Il popolo usava quella che fu detta “l’era bizantina”
cioè una scansione degli anni dalla nascita di Cristo,
avvenuta secondo alcuni monaci ortodossi
il 1 settembre dell’anno 5509 dalla creazione del mondo.
Era davvero difficile sapere in quale anno si fosse.
L’era cristiana, quella che usiamo tuttora,
fu ideata da Dionigi il Piccolo
intorno al VI secolo e stabilisce la data di inizio nel giorno
della nascita di Gesù avvenuta (secondo i suoi calcoli),
nell’anno 756 dalla fondazione di Roma.

É il calendario odierno ufficiale, anche se si è già
da tempo dimostrato che è errato di sei o sette anni
e che quindi Gesù è nato non duemila e 14  anni fa ma duemila e 21 anni fa.
Il calendario più usato durante l'intero Medioevo,
fu quello ideato da Giulio Cesare e per questo denominato “giuliano”.
Tale calendario iniziava il 1 Marzo,
era composto da dodici mesi, gli stessi di oggi,
di circa trenta giorni ciascuno.
Ogni mese era diviso in tre periodi, ovvero Le Calende,
cioè il primo giorno di ogni mese, le None,
che cadevano intorno al 7 e le Idi,
che corrispondevano al 15.
I giorni si indicavano non con il numero,
ma con il santo al quale erano dedicati.
In qualche zona d’Europa si cominciò ad utilizzare
una diversa divisione del mese, detta Consuetudo Bononiensis.
Essa era basata sulla divisione del mese
in due metà di uguale numero di giorni.
Il giorno era diviso in ventiquattro ore,
dodici per il giorno e dodici per la notte.
Alcune di queste ore divennero particolarmente importanti
per tutto il popolo che calcolava il tempo basandosi su di esse.
Durante il Medioevo l’ora più importante divenne la Nona,
che segnava la fine del lavoro del monaco che poteva finalmente
recarsi al refettorio e che quindi indicava l’interruzione
più significativa della giornata.
I mezzi per calcolare il tempo nel Medioevo erano: le stelle,
le meridiane che, mediante l’ombra proiettata
dal sole, indicavano l’ora del giorno,

la clessidra e il tempo di combustione delle candele.
Su una candela venivano conficcati ad intervalli regolari
dei piombini che, cadendo al momento dello scioglimento
della cera in cui erano posizionati,
andavano a depositarsi in un piatto di rame
e producevano un suono metallico.
Il monaco si accorgeva che era trascorso
un certo lasso di tempo contando quanti piombini
erano caduti nel piatto.
Intorno al Duecento, nei maggiori monasteri,
apparvero i primi orologi ad acqua,
funzionanti mediante pesi e regolazioni idraulica.

Ed ecco un tipico calendario medievale

DICEMBRE

Dicembre era il mese in cui si ammazzava il maiale.
Quasi tutti i calendari rappresentano scene
in cui il contadino sgozza il maiale
tra le ginocchia con al fianco un animale già macellato
con la testa rivolta verso il basso,
in modo che il suo sangue, che servirà per il sanguinaccio,
possa essere raccolto in un recipiente.
In questo mese ed in particolare attorno al Natale,
si svolgevano le principali feste dell’anno
che concludevano un anno rurale e ne iniziavano un altro.
Era il momento in cui si finiva di battere il grano
riposto nei covoni, per preparare i pranzi e le cene natalizie.

GENNAIO

Gennaio era rappresentato con Giano bifronte
seduto ad una tavola ben fornita, servito da due domestici
che forse simboleggiavano la fine e l'inizio dell'anno.
Il 1° gennaio si celebrava la festa dei pazzi
detta anche Asinaria, in quanto i danzatori
portavano maschere a testa d'asino.
L’idea centrale di questa festa era lo scambio dei ruoli:
l’assunzione da parte del cosiddetto basso clero (suddiaconi e chierici)
di funzioni normalmente affidate al clero superiore (preti, canonici e vescovo).
Tutto ciò avveniva nel quadro di ben precise cerimonie
di rinnovamento e rinascita, collegate all’inaugurazione del nuovo anno.
La Festa aveva origini antichissime legate a tradizioni popolari
i cui temi sono riconducibili a riti pagani, in particolare
ai "Saturnalia" romani e alle "Stultorum Feriae",
da cui la "Festa dei folli" sembrerebbe trarre il suo nome.
Il pensiero della Chiesa riguardo a codesta pratica,
in un primo tempo, fu di accondiscendenza e di tolleranza
e il perché può essere colto proprio nelle parole
del teologo Gerson che, nel 1400, in difesa della "Messa dei Folli":
scrisse:
"Le botti di vino esploderebbero se, di tanto in tanto,
non si allentassero i tappi.
Bene, anche noi siamo delle vecchie botti e per di più mal spillate;
il vino della saggezza ci farebbe esplodere se lo conservassimo
esclusivamente ed ininterrottamente per servire Iddio.
Perciò, alcuni giorni all’anno, noi lasciamo fuoriuscire
l’aria accumulata, abbandonandoci al più esuberante
piacere della follia, onde ritornare subito dopo,
con rinnovato zelo, ai nostri studi e alle pratiche della divina religione".
L’ambiente in cui si svolgeva tale festa era sempre una chiesa.
I preti, stando al gioco, si mettevano un cappello a punta
dotato di finte orecchie da asino e leggevano durante la messa
una parodia del vangelo scritta probabilmente da loro stessi.
La caratteristica della festa era fare tutto ciò
che era l'opposto della normalità:
si poteva cantare stonato, suonare le campane impropriamente,
portare maschere e abiti stravaganti.
La festa dei folli era governata da un vescovo folle
che rappresentava l'autorità ecclesiastica
per tutto il periodo della festa.

Questo giorno tuttavia, considerato come l’inizio dell’anno nuovo
era anche il giorno in cui i bambini e i giovani
andavano di porta in porta cantando una frase augurale
come ad esempio “l’au guy l’an neuf” in Francia.
in cambio di regali diversi
La vigilia e il giorno dell’Epifania
si sorteggiava la torta con la fava.
Era una normalissima torta in cui però,
veniva nascosta una fava.
Chi la trovava veniva eletto re o regina della festa.
Probabilmente, da questo rito deriva la credenza popolare
secondo la quale chi trova un baccello di fava
con sette semi, trascorrerà un periodo di grande fortuna.
Comunque fra una quantità di festeggiamenti
e di bagordi, con l'Epifania si concludeva
questo ciclo di 12 giorni ricchi di festività.

FEBBRAIO

Dopo le numerose e ricche festività del mese di gennaio
il mese di febbraio era il mese delle manifestazioni canoniche.
Veniva rappresentato da un uomo incappucciato che,
seduto, attizza il fuoco per scaldarsi mani e piedi.
L’inverno è la stagione morta
in cui il contadino ha completato i suoi lavori
e attende la nuova stagione.
Il 2 febbraio si festeggiava la Candelora,
si facevano processioni in cui i fedeli
portavano in mano delle candele e si preparavano
frittelle dolci che, probabilmente,
simboleggiavano la luna.
La festa era anche detta della Purificazione di Maria,
perché, secondo l'usanza ebraica,
una donna era considerata impura per un periodo di 40 giorni
dopo il parto di un maschio e doveva andare al Tempio per purificarsi.
Il 2 febbraio cade appunto, 40 giorni dopo il 25 dicembre,
giorno della nascita di Gesù.

Sembra che alla Candelora siano ricollegate le crèpes.
Si narra che, in occasione di questa festività,
Papa Gelasio abbia sfamato i pellegrini
provenienti dalla Francia, con sottili sfoglie
di pasta fritta, preparate nelle cucine vaticane.
Furono gli stessi fedeli francesi a definirle ‘crèpes’,
cioè, ‘arricciate’ (dal latino, “crispus”).
In omaggio alla ospitalità papale,
le crèpes divennero, il dolce tipico
del giorno della Candelora, e. secondo la tradizione,
le massaie francesi, quando rovesciano
la crèpes nella padella, esprimono un desiderio.
La domenica di Quadragesima si accendevano fuochi,
attorno ai quali, gli adulti avevano l’abitudine
di radunarsi e ballare, mentre i più piccoli
si divertivano a saltarvi sopra,
quando il fuoco stava per spegnersi.

Il Martedì grasso, ultimo giorno prima della Quaresima,
oltre ai mascheramenti e alle bevute,
si disputavano delle vere e proprie partite
tra villaggi vicini, di un gioco,
antenato del calcio, ma molto più violento.
Queste distrazioni invernali – e il lungo digiuno
che corrispondeva al periodo vuoto dell’anno
in cui si avevano meno provviste e più fame,
perché il lavoro era minore, – si concludevano con la Pasqua
e le diverse festività che utilizzavano uova, pane benedetto, palme etc.

MARZO

Le rappresentazioni di marzo vedono il contadino zappare la terra:
aratura in profondità, grosse zolle ribaltate e aerate,
soprattutto attorno ai ceppi di vite.
Gli strumenti del dissodamento sono in genere:
l’accetta per potare e diramare, la scure forte
per attaccare il tronco degli alberi alla base.
La sega era assente o poco utilizzata per ragioni tecniche
(difficoltà ad ottenere acciaio flessibile e allo stesso tempo resistente)
e morali: la sega era ritenuta “subdola” perché con essa
si potevano abbattere in silenzio alberi proibiti,
a differenza della scure “schietta”, la cui eco
sottolineava sonoramente, la lotta dell’uomo con l’albero.
L’aratro pesante, tirato da una coppia o da due buoi,
serviva anche per pulire il terreno da ogni residuo di radice.

APRILE

Era il mese dei fiori, dei divertimenti cortesi e delle pecore.
Veniva rappresentato da uomini che portano falconi in pugno;
era il mese infatti, in cui iniziavano la caccia e le nobili occupazioni.

Veniva raffigurato, anche, da un giovane riccamente vestito
con in mano un mazzo di fiori o un ramoscello verde.

Era il mese della potatura delle piante
e dell' uscita delle pecore dalla stalla.

Come avviene ancora oggi, in aprile si tosavano le pecore,
attività spesso rappresentata nei libri d’Ore fiamminghi.

Purtroppo era anche il momento dei primi tributi feudali,
dopo il Natale, a favore del signore.

MAGGIO

Maggio era raffigurato in genere come un vecchio
seduto in frutteto in fiore
oppure venivano ritratti gli ozi o i piaceri del nobile.
Prima dello spuntare del giorno di Calendimaggio,
i giovani del villaggio raccoglievano fiori di campo
e rami di biancospino e facevano entrare il Maggio nel paese:
cantavano, danzavano e appendevano alle finestre i rami raccolti
donando i fiori alle fanciulle più graziose.
Era il tempo dell’amore.
Alla Pentecoste, i timori dei contadini di vedere gelare
le messi nascenti, cominciavano a calmarsi e
il lavoro della terra ad intensificarsi.

GIUGNO

Il mese di giugno si rappresentava con il contadino
intento ad arare il maggese.

Nel giorno di San Giovanni, i fuochi sottolineavano
la nascita dell’estate, la lunghezza dei giorni e l’inizio dei grandi lavori.

LUGLIO

Luglio era il mese in cui, con il falcetto,
si tagliavano le spighe a mezza altezza
lasciando le alte stoppie come pascolo del gregge
e si accumulavano i covoni.

AGOSTO

In agosto si batteva il grano con il correggiato sull’aia;
talvolta il contadino spulava, spargendo la pula al vento,
mentre il grano più pesante cadeva in un piccolo recipiente.
La fine della mietitura era festeggiata
con una danza sulla nuova aia
(danza che aveva, fra l'altro, lo scopo di spianarla).
Le cerimonie attorno al 15 agosto, festa dell'Assunzione,
mescolavano strettamente, costumi rurali, pagani e sessuali,
curiosamente collocati sotto la protezione della Vergine
e talvolta nelle chiese stesse.

SETTEMBRE

A settembre si raccoglievano i frutti;
si bacchiavano le mele e si raccoglievano
i grappoli d'uva dalla vite o dal pergolato.
Le feste della vendemmia, il giorno di San Michele, (29 settembre)
e di San Remigio (1°ottobre), concludevano il tempo dei raccolti
dei tributi feudali e dei contratti d’affitto.

OTTOBRE

Era il mese dedicato al vino, con le sue gerle,
con le sue botti e con il pigiare dell'uva.

NOVEMBRE

Novembre era il mese delle arature e delle seminagioni
del grano d’inverno.
Il grano, conservato in una bisaccia, veniva gettato
alla volata sulle zolle rivoltate di fresco.
Questo mese era per i contadini il momento
della raccolta delle ghiande che servivano,
soprattutto, per l’alimentazione dei maiali,
ingrassati prima della macellazione generale del Natale.
I maiali allevati nel Medioevo erano, in genere,
neri, pelosi, alti sulle zampe, col grugno molto sporgente,
relativamente magri, simili ai cinghiali.

La festa di Ognissanti e il giorno dei morti
annunciavano il sonno della natura.
Questi giorni di pie manifestazioni, erano dedicati
al suono delle campane, per il riposo dei defunti,
mentre costumi pagani e crudeli organizzavano
come gioco, il massacro di diversi animali: papere, porcelli.
Poi l’avvicinarsi della Natività e la sua preparazione
faceva passare in secondo piano diverse feste di santi
che hanno il loro posto nel calendario rurale.

 




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