Privacy Policy MEDIOEVO PERSONAGGI FAMOSI: Carlo Magno


 
 


PERSONAGGI FAMOSI

CARLO MAGNO

Carlo Magno salì al trono come patrizio il 9 Ottobre 768, ma solo nel 771,
con la morte del fratello Carlomanno, iniziò ad esercitare in pieno i suoi poteri.
Dal padre oltre al regno e al rapporto di fiducia con il Papa
ereditò anche la questione italiana che  seppe risolvere
meglio di quanto non avesse fatto Pipino, che non schiacciò mai Astolfo,
ma si limitò a controllare che le cose in Italia non degenerassero,
contenendo le azioni dei Longobardi e rimanendo  subordinato al Papa.

Come i suoi predecessori, Carlo Magno s'impegnò militarmente
per contrastare chi si opponeva al suo potere.
Le sue campagne militari  furono molte, circa sessanta, tutte tese
 ad aumentare il dominio in Europa per l’Impero e per la Chiesa:
gli Arabi in Spagna, i Sassoni nella Germania orientale,
gli Avari nell'attuale Ungheria, i Longobardi in Italia,
 furono i fronti sui quali Carlo Magno s'impegnò militarmente.
Solo in Spagna, dove Carlo incontrò il Califfo di Cordoba,
il successo non fu nettissimo, per non dire fallimentare.
Il regno franco si accontentò di costituire la Marca Spagnola
che si estendeva fino alla Catalogna e all’ Ebro.
Sebbene il risultato fu assai modesto, stranamente le gesta
di Carlo in Spagna alimentarono leggende talmente potenti
da influenzare la Chanson de Roland e l’Orlando furioso.
Roncisvalle divenne teatro di una battaglia a dir poco epica,
sebbene vi persero la vita alcuni dei migliori guerrieri franchi.
Bisogna ricordare che non si trattò di una battaglia in campo aperto,
ma di un’imboscata dei Mori in una gola dei Pirenei.
L’unica cosa degna di nota è la cronaca d'Eginardo che
ci riferisce della morte di Hruotlandus meglio conosciuto come Rolando
e poi, in Italia, come Orlando, il più famoso tra i paladini di Carlo.

Le cose andarono diversamente sugli altri fronti: i Sassoni
furono piegati in una guerra che impegnò le truppe franche per venti anni.
Diciotto furono le spedizioni necessarie per piegare Vitichindo e il suo popolo.
Una volta sconfitti, i Sassoni furono "evangelizzati" con metodi a dir poco disumani.
La vicenda rappresenta forse, la pagina più buia della storia dell’Impero.
Decapitazioni e deportazioni erano all’ordine del giorno;
a Werden si contarono quattromilacinquecento esecuzioni in un solo giorno,
in uno stato di terrore dove anche il trasgredire il più piccolo
precetto significava irrimediabilmente la pena di morte.
Le poche teste che rimasero sui corpi alla fine, accettarono il battesimo
e l’opera di Civilizzazione-cristianizzazione si realizzò (così) senza troppi ostacoli.
Alcuino di York scrisse: ...se il facile giogo e il leggero fardello di Cristo
fossero stati predicati agli ostinati sassoni con la stessa insistenza
con cui venivano riscosse le imposte o si pretendevano durissime penitenze
 anche per peccati lievi, essi non si sarebbero probabilmente sottratti al battesimo…
Alla fine del 804 i Sassoni furono completamente assoggettati.

Agli Avari Carlo confiscò tesori di grandissimo valore,
e li respinse di là del Tibisco tra il 793 e il 794.
Le frontiere ad est erano ormai sicure e le invasioni da ovest non erano più in pericolo.
Sul fronte italiano dapprima Carlo sposò Ermengarda
(così chiamata da A. Manzoni in quanto le fonti non hanno tramandato il suo vero nome),
figlia di Desiderio, per rinsaldare l'alleanza tra Franchi e Longobardi.
Il matrimonio avvenuto nel 770 fu voluto da Bertrada, madre di Carlo Magno,
detta Berta dai grandi piedi, come pegno di amicizia coi Longobardi,
nonostante l'energica opposizione di papa Stefano IV.

Morto improvvisamente il fratello Carlomanno, nel 771,
Carlo Magno si fece proclamare re anche nel territorio del fratello,
annettendosi così tutto il territorio franco.
La moglie di Carlomanno, Gerberga (la longobarda) protestò inutilmente
per l'usurpazione e fuggì da suo padre Desiderio re dei Longobardi,
che intervenne presso il re franco per far rispettare i diritti di successione;
ma questa contesa provocò solo delle fratture insanabili con Carlo Magno
che ripudiò la moglie Ermengarda, cioè l'altra figlia di Desiderio e sorella di Gerberga.
Il Re franco interruppe così improvvisamente quella politica di pace
che sembrava stesse nascendo con il suocero.
La rottura di questi rapporti parentali scavò la tomba all'amicizia con i Longobardi
e fu l'inizio di un'accanita ostilità.
La morte di Carlomanno, secondo Eginardo, avvenne a seguito di una malattia,
dopo oltre due anni di regno, comunque fu improvvisa (4 dicembre 771)
e chiacchierata, tanto che si vociferò fosse stato avvelenato
per privilegiare Carlo Magno
Dopo il ripudio da parte di Carlo, Ermengarda,
in avanzato stato di gravidanza,  si rifugiò a Brescia
nel monastero di San Salvatore gestito dalla sorella Anselperga.
Desiderio allora, per far riconoscere i diritti della figlia da papa Adriano I,
invase i territori pontifici, ma la sua azione fu frenata da Carlo Magno
che nel 774 conquistò Pavia e rinchiuse Desiderio in un monastero.

Dopo la cattura del padre, il principe Adelchi trovò rifugio a Costantinopoli.
da dove, secondo una versione, nel 787 sbarcò in Calabria per cercare di riconquistare
il regno longobardo e prendere il potere, ma secondo la tradizione, fu sconfitto
dal nipote Grimoaldo III (successo al padre Arechi II di Benevento nel 787),
che lo uccise in battaglia.
Secondo un'altra versione, riportata da Eginardo e ritenuta dagli storici
come la più probabile, seppur nel dubbio, Adelchi morì
molti anni dopo a Costantinopoli (presumibilmente intorno al 789).
Alla sua vicenda si ispirò Alessandro Manzoni
per la sua tragedia Adelchi, pubblicata nel 1822.

In questi anni Carlo ridimensionò le mire espansionistiche del Papa
che cercava di annettere il ducato di Spoleto,
riconoscendo come suddito il Duca in questione.
I confini del regno erano ora il fiume Ebro ad ovest, il mar Baltico a Nord,
il Danubio ad est ed infine l’Adriatico a Sud.
Dopo queste conquiste, l’autorità di Carlo crebbe in tutta Europa e,
fatta eccezione per qualche re e principe spagnolo e inglese,
 ormai era il sovrano incontrastato dell’Europa
 da lui conquistata ed evangelizzata.
Intanto a Bisanzio la situazione era quanto mai instabile.
Costantino VI era stato detronizzato dalla madre, la basilissa Irene,
la quale prese il potere nelle sue mani.

Purtroppo, essendo una donna, la sua carica non fu mai riconosciuta
e l’impero fu sempre considerato vacante.
Ormai c’erano tutti i presupposti per l’incoronazione di Carlo Magno
come Imperatore del Sacro Romano Impero e infatti,
la notte di Natale dell'800, durante la messa celebrata a San Pietro a Roma,
Carlo fu investito della carica imperiale dal successore di Adriano I,
Papa Leone III che  sedeva sul soglio pontificio grazie
ad un intervento di Carlo che, nella primavera del 799, lo aveva liberato
dalle prigioni in cui era stato rinchiuso da un gruppo di nobili romani.
A Bisanzio Carlo apparve come un usurpatore.
Carlo però prese sul serio la carica che l’incoronazione gli conferiva
e s'impegnò per riunire l’impero.
Una delegazione d'ambasciatori, giunse a Bisanzio per proporre
il matrimonio di Carlo con la non più giovane Irene,
ma un colpo di stato depose Irene che finì i suoi giorni in un convento
e pose fine al viaggio della delegazione.
Alcuni storici hanno visto nella vicenda dell’incoronazione
quasi un colpo di stato da parte di Carlo Magno.
Sicuramente gli eventi della notte di Natale furono organizzati
nei minimi dettagli ,al contrario di quanto voglia far credere Eginardo,
biografo di Carlo Magno, dal Papa e dai nobili franchi.
Forse Carlo Magno rimase sorpreso, ma ormai i tempi erano maturi
ed egli sapeva che l’incoronazione era solo questione di tempo.
Da quel momento Carlo diventò definitivamente il protettore della chiesa.
In un mosaico del IX secolo, tuttora conservato a Roma
nella basilica di San Giovanni in Laterano, Carlo (Carulo Regi)
riceve la sua investitura direttamente da San Pietro (SCS Petrus),
che gli porge una bandiera, per difendere con il potere temporale la chiesa,
mentre il Papa (DN Leo PP) riceve il Pallio, un panno di lana bianca,
che rappresenta il potere spirituale.

Prima con il regno, poi con l’impero, Carlo creò una struttura
amministrativa per governare un territorio vastissimo.
Come suo nonno, Carlo continuò nella concessione dei benefici,
organizzò i suoi territori in contee, marche e ducati.
La contea era un territorio affidato dal sovrano ad un conte
che poteva essere rimosso dal suo incarico per volontà dell’imperatore.
Una  contea conteneva molte signorie feudali, che facevano riferimento
al conte per questioni di carattere amministrativo e giudiziario.
Durante l’Impero di Carlo si contavano quasi duecento contee.
Le marche invece erano territori affidati ai marchesi,
erano più grandi delle contee e solitamente si trovavano al confine.
La vastità del territorio si giustificava con il fatto che il marchese,
anch'egli revocabile dal sovrano, aveva bisogno di molte risorse
per organizzare la difesa militare del territorio.
I ducati erano territori in cui erano presenti etnie diverse, affidati ad un duca.
. Molto spesso il duca era il capo di un popolo sottomesso,
che aveva prestato giuramento a Carlo.
Il duca però, poteva essere rimosso solo se veniva meno al giuramento prestato al sovrano.
Per imprimere una politica unitaria e tenere sotto controllo i feudatari,
Carlo Magno istituì un corpo di funzionari noti come i Missi Dominici,
che erano di fatto gli orecchi e gli occhi dell'Imperatore.
Essi erano due: un conte ed un vescovo.

Il loro compito era di attraversare l’Impero in lungo e largo,
chiamati a risolvere le questioni d'interesse generale,
secondo le direttive emanate dal nuovo centro di direzione politica
che Carlo aveva fissato ad Aquisgrana.
Da Aquisgrana Carlo gestiva il suo impero, vivendo a corte in maniera stabile
dal 796 fino alla sua morte.
Le direttive erano meglio note come capitolari, che solitamente erano emanati
 durante i Campi di Maggio che erano delle assemblee che si svolgevano all'aperto,
a cui partecipavano i Conti, i Marchesi, i Baroni e i Vescovi,
Queste assemblee erano dette diete dal latino medievale dieta,
(da dies=giorno) perchè si svolgevano in un giorno.
Nonostante tutti questi sforzi, però, Carlo non riuscì mai a dare
al regno un'organizzazione legale simile a quella della Roma antica,
fatta di leggi uniche emanate da un potere centrale.
Anche in campo culturale non mancarono tentativi di consolidare l’Impero.
Per volere di Carlo fu istituita la Schola Palatina, in altre parole
la Scuola di Palazzo, dove sotto la guida e il coordinamento d'Alcuino,
i più grandi intellettuali dell’epoca tenevano corsi per i figli dei nobili,
vicini alla corte di Carlo, i quali un giorno sarebbero stati
investiti della carica di duca, conte o marchese.

Tra gli intellettuali più noti c'era  Eginardo, biografo personale di Carlo
di cui ci ha lasciato una biografia ricca di notizie, intitolata Vita Karoli,
contribuendo a consegnare alla leggenda la sua figura.
«Il mio intento, in quest'opera, è consegnare alla memoria piuttosto
 il modo in cui visse che le sue imprese militari
».
Eginaldo dice che Carlo era  di corpo  grande e robusto, alto di statura,
senza essere sproporzionato. Aveva testa rotonda, occhi molto grandi e vivaci,
naso un po’ più lungo del normale, bei capelli bianchi, sguardo allegro e cordiale.
Questo aspetto gli conferiva  autorevolezza, sia quando stava in piedi che seduto.
I suoi difetti (il collo grosso e corto e il ventre troppo sporgente)
erano nascosti dall’armonia dell’insieme.
Aveva passo fermo e portamento virile, voce acuta,
anche se poco adatta a un uomo della sua corporatura.
Aveva un animo dolce e sensibile e fu visto piangere varie volte
per la morte di un figlio o del famoso Rolando.
Godeva di buona salute, tranne negli ultimi quattro anni di vita,
quando era spesso colto da febbri e zoppicava  da un piede.
Anche allora, però, preferiva fare di testa sua piuttosto
che seguire i consigli dei medici che detestava perché volevano
 convincerlo a rinunciare agli arrosti, cui era abituato per i lessi.
L’aver avuto cinque mogli e numerose concubine dimostra la sua buona
predisposizione per i piaceri del sesso; ebbe infatti una ventina di figli.
Andava spesso a cavallo e a caccia, attività che gli erano congeniali.
Amava le acque termali calde, dove praticava spesso il nuoto;
era un così abile nuotatore che nessuno poteva superarlo.
Fu proprio per le acque termali e perchè vi aveva trascorso l'infanzia,
che fece costruire la sua reggia ad Aquisgrana
dove passò gli ultimi anni di vita, fino alla morte.

Nel palazzo fece costruire la famosa Cappella Palatina, che anche oggi
costituisce il nucleo più importante della cattedrale.
Fu costruita sul modello di San Vitale di Ravenna,
che lo aveva particolarmente colpito.
La Cappella Palatina fu inizialmente costruita per ospitare
un pezzo della ‘cappa’di San Martino di Tours e da qui deriva il nome ‘cappella’.
C’erano però anche altre reliquie: un abito appartenente alla Vergine,
le fasce del Bambin Gesù, un panno usato durante la decapitazione di G. Battista
e il perizoma che Gesù indossava prima della crocifissione.
Le misure della Cappella Palatina sono tutte basate sul numero 12
(12 piedi, quasi 4 metri),il numero sacro dell’Apocalisse, il numero perfetto.
La chiesa era a due livelli: la parte superiore, dedicata a Cristo,
era unita al palazzo da un passaggio privato; lo spazio inferiore, più accessibile
nel senso che potevano entrarvi funzionari e cortigiani, era dedicata
alla Vergine e veniva utilizzata per la liturgia.
Il nucleo della Cappella Palatina era al piano superiore,
nella torre della facciata occidentale, oggi scomparsa,  era situato il trono.
Quindi era uno spazio destinato all’imperatore e agli alti dignitari della corte.

La Cappella fu consacrata nell’ 804 dallo stesso papa Leone III.

Carlo Magno fu un grande collezionista di reliquie fin da bambino.
Da adulto portava una collana con pendenti di cristallo, il cosiddetto
“Talismano di Carlo Magno”, un reliquiario in filigrana d’oro,
con al centro, nella parte anteriore, uno zaffiro ovale, tagliato a cabuchon,
Intorno, inserite nell'oro, lavorato a filigrana e granulazione,
su tutt'e due le facce, ben 53 pietre preziose montate in funzione
della loro forma e del loro colore, tra cui perle, granati, ametiste e smeraldi.

Si dice che Carlo Magno l'avesse ricevuta in dono dal califfo
 di Badgad, Harun al-Raschid (il  protagonista delle "Mille e una notte").
insieme a moltissimi regali di uno splendore mai visto:
le chiavi del Santo Sepolcro, una scimitarra dorata,
un orologio a acqua, tappeti, tessuti, scimmie, leopardi e perfino un elefante.
Il gioiello più prezioso, però, era questo  medaglione ornato dallo zaffiro,
la pietra a cui si attribuiva il potere di vincere ogni inganno.
Carlo Magno, per accrescerne il potere, fece inserire al suo interno
delle rarissime reliquie: frammenti della Vera Croce
e una ciocca di capelli della Madonna che si vedono, in trasparenza.
Ne fece quindi il suo talismano e da allora lo portò sempre con sé,
legato al petto con due lacci di cuoio, fino a pretendere che fosse sepolto con lui.
Attualmente questo gioiello è custodito nel tesoro della cattedrale di Reims.
Quella di Carlo, però, non fu solo semplice devozione,
quando il suo regno cominciò a ingrandirsi aumentando così anche il suo potere,
utilizzò la religione ed in particolare le reliquie,
come elementi di unificazione del suo regno sotto un unico credo.

Alle terme Carlo non invitava  solo i figli, ma anche i maggiorenti e gli amici,
e talvolta  uomini e guardie del corpo, tanto che
 poteva capitare che cento e più persone facessero il bagno insieme.
Carlo vestiva alla foggia del suo popolo, cioè dei Franchi.
A contatto della pelle metteva una camicia e cosciali di lino,
poi una tunica con orlo di seta e calzoni e chiudeva polpacci e piedi in fasce e calzari;
d’inverno teneva petto e spalle protetti da una pelliccia di lontra o di altri roditori.
Portava un mantello azzurro ed era sempre cinto con una daga,
con elsa e bandoliera d’oro o d’argento; talvolta aveva anche una spada ornata di gemme,
ma questo soltanto nelle occasioni solenni o quando venivano ambasciatori dall’estero.

Gli abiti di foggia straniera, anche i più belli, non gli piacevano e non sopportava di indossarli.
Soltanto a Roma vestì una tunica lunga, una clamide e anche dei calzari di foggia romana;
 su richiesta di papa Adriano prima e  del suo successore Leone poi.
Nelle occasioni solenni indossava una veste intessuta d’oro, dei calzari ornati di gemme,
una fibbia d’oro a chiudere il mantello e portava anche una corona con oro e gemme.
Nel mangiare e nel bere usava moderazione, soprattutto nel bere, perché l’ubriachezza
gli faceva orrore in chiunque, tanto più in sé stesso e nei suoi.
Non riusciva invece ad astenersi dal cibo e diceva che i digiuni facevano male alla salute.

Il suo pasto quotidiano consisteva di quattro sole portate,
era goloso di formaggio, una specie di Brie, di cui mangiava anche la crosta ammuffita,
ma il suo piatto preferito era la selvaggina arrostita che i cacciatori
gli portavano sullo spiedo e che gli piaceva più di qualsiasi altro cibo.
Durante il pasto ascoltava qualcuno che recitava o leggeva:
si faceva leggere racconti e storie degli antichi, ma gli piacevano anche
i libri di sant’Agostino, in particolare La città di Dio.
Teneva banchetti solo molto di rado e soltanto in occasione delle feste più importanti;
ma quando ciò avveniva, i convitati erano moltissimi.
Durante il suo regno  si cominciarono a definire le prime regole dello stare a tavola.
Ad esempio erano ammesse al banchetto le “donne oneste“ (escluse presso Greci e Romani),
ai convitati era consigliato di curare la pulizia di vesti e mani
e di stare compostamente seduti (abbandonando la posizione distesa).
Nelle occasioni ufficiali il siniscalco Audulfo arrivava circondato da cuochi
 e camerieri che presentavano i vassoi all'imperatore.
Dietro il siniscalco c’era il coppiere Eborando con il suo carico
di vasi preziosi, quindi gli altri subalterni di sala.
Il servizio veniva effettuato seguendo un rigoroso protocollo,
che ricordava a tutti la gerarchia della struttura imperiale.
Notcaro il Balbulo, monaco di San Gallo. racconta che Carlo
 sedeva su di un seggio più elevato.
Al suono di flauti e trombe gli venivano porte le pietanze
da duchi e re delle nazioni facenti parte dell’impero.
Una ventina di araldi inneggiava tre volte alzando calici gemmati e,
dopo un intermezzo di mimi e acrobati, si mettevano a tavola i nobili,
serviti dai dignitari; era poi la volta di questi ultimi, serviti dagli ufficiali
del palazzo; a mezzanotte finivano di cenare i capi servizio e i loro subalterni.

Aveva un’eloquenza ricca e prorompente ed era in grado di esprimere
con la massima chiarezza tutto ciò che voleva.
Non si accontentò di conoscere la sua lingua materna, ma si impegnò anche
nello studio delle lingue straniere: il latino lo imparò così bene che lo usava nei discorsi
come la sua propria lingua, il greco riusciva a capirlo meglio che a parlarlo.
Studiò con grande diligenza le arti liberali; ne venerava i maestri, che riempiva di onori.
Per imparare la grammatica ascoltò le lezioni del diacono Pietro da Pisa,
al tempo già anziano; nelle altre discipline ebbe come maestro Albino, detto anche Alcuino,
anch’egli diacono, un sassone della Britannia dottissimo in ogni campo.

Con lui passava molto tempo, impegnandosi nell’apprendimento della retorica,
della dialettica e soprattutto dell’astronomia: studiava l’arte del computo
e indagava con grande passione e acuto interesse le leggi del movimento degli astri.
Si sforzava anche di scrivere e per questo teneva tutto intorno al letto,
sotto i cuscini, tavolette e quaderni, per esercitarsi a tracciare l’alfabeto
quando aveva del tempo libero.
Probabilmente soffriva di dislessia, lo si deduce dal fatto che amava
profondamente la cultura ed era continuamente contornato dalle menti
più illuminate dell'epoca e, nonostante questo, riusciva appena comporre la sua firma.
Fece forgiare un normografo d'oro che gli permise di apporre
 il suo nome autografo sui documenti reali.
Alcuino inventò per lui un nuovo tipo di scrittura, che fu chiamata carolina
(dal latino Carolus "Carlo"), molto semplice e leggibile, che si diffuse poi in tutto l'impero.

Preoccupato per l'ignoranza del suo popolo si prodigò per combatterla.
 Fondò molte scuole e fece copiare e tradurre molti manoscritti.
La sua figura era così potente nell’immaginario collettivo
che Federico Barbarossa, nel 1165, fece del tutto affinché Carlo
fosse ammesso nel novero dei santi.
Del resto anche Dante, come possiamo leggere nella Divina Commedia,
gli riserva un posto nel Paradiso: «Così per Carlo Magno e per Orlando
due ne segui lo mio attento sguardo, com’occhio segue suo falcon volando».
Sebbene la leggenda s'impadronì della figura di Carlo Magno,
rendendola immortale, il suo Impero non ebbe vita lunga.
Del resto di Carlo Magno si potrebbe dire che fu l’uomo giusto al momento giusto.
Le sue doti di capo, unite alla voglia di restaurazione imperiale
dei nobili europei, fecero di Carlo un imperatore.
Il suo merito fu quello di aver fondato un'idea d'impero che sopravvisse
al suo impero stesso ispirando i sovrani che vennero dopo di lui.
Dopo Carlo Magno, sebbene gli sforzi compiuti nella direzione dell’unificazione
furono tantissimi,  l'Impero iniziò a spaccarsi.
Le forze centrifughe che tendevano a dividere l’Impero,
non potevano essere più contrastate.
L’Impero di Carlo non poteva più allargare i suoi domini compiendo nuove conquiste,
ormai i  nemici suoi e dell’Impero erano in grado di contrastare il potere carolingio.
La mancanza di conquiste ebbe conseguenze enormi sull’assetto dell’Impero.
Carlo non poteva più finanziare conti e marchesi, i quali cominciarono
a sentirsi meno legati dal vincolo del giuramento ed esercitare
una pressione enorme sugli strati più deboli della popolazione:
i contadini non potevano coltivare le terre incolte e dovevano
prestare servizio su quelle del loro signore.

In questo periodo crebbe la miseria e le carestie furono sempre più frequenti.
Tutto ciò fu la diretta conseguenza della politica
antifeudale che Carlo attuò nel "Capitulare de villis.
Con questo capitolare si vietava ai signori
di costituire eserciti privati, di aumentare le prestazioni che potevano
esigere dai contadini  e si fissava il prezzo dei beni di prima necessità.
Sicuramente in contraddizione con le forze che avevano permesso a Carlo Magno
di governare, il capitolare tutelava i settori antifeudali dell’economia.
L’impossibilità di sottrarre terre ai boschi non permise lo sfruttamento
estensivo dei campi, ma favorì la concentrazione di persone
 intorno ai possedimenti dei signori feudali.
Visto il rendimento dell’agricoltura dell’epoca non è difficile immaginare
le conseguenze che si ebbero sulla produzione.
Fu la fine della dinastia carolingia.

Carlo Magno spartì il suo impero con i suoi tre figli (quelli ufficiali), ma due
 morirono prima di lui e nell’ 813 il figlio Ludovico il Pio fu nominato suo successore.
Ludovico venne incoronato con una cerimonia che si tenne ad Aquisgrana.
Il mattino del 28 gennaio del 814, Carlo Magno salutò il suo regno per sempre,
colto da una forte febbre, contratta per  essersi perso in un bosco.
Si racconta, infatti, che in una fredda e nebbiosa mattinata invernale
andò a caccia per i boschi, inseguendo a lungo un grosso cervo.
Perse di vista i suoi compagni e, stanco per la lunga cavalcata, cadde a terra,
senza che qualcuno lo potesse aiutare.
Lo trovarono dopo qualche ora ai piedi di un albero, intirizzito e stremato.
Trasportato al palazzo reale, lo misero a letto, febbricitante e con un forte dolore
al fianco sinistro, probabilmente una riacutizzazione della vecchia pleurite.
Si comportò con la malattia come aveva sempre fatto con il nemico,
duramente, e volle punire il corpo malato, che lo stava tradendo,
con un lungo digiuno, ingerendo per qualche giorno soltanto delle bevande.
Passava il tempo pregando, infastidito dai medici che gli ronzavano intorno.
Il 28 gennaio 814, alle 9 del mattino, il fisico stremato cedette.
Nella reggia, insieme con la costernazione e il dolore, regnavano
incertezza e smarrimento in quanto Carlo non aveva lasciato alcuna disposizione
riguardo alle sue esequie e al luogo della sepoltura.
Mentre il corpo veniva preparato per la sepoltura e rivestito
delle insegne imperiali, i dignitari di corte si consultarono e decisero
che il luogo ideale per la sepoltura era la cattedrale di Aquisgrana.
Una leggenda narra che il corpo di Carlo Magno si presentò intatto
agli occhi d'Ottone III, che ne aveva disposto la riesumazione nell’anno mille:
"assiso su un seggio come se vivesse...né alcuna delle sue membra si era corrotta"
Il corpo fu rivestito di bianco e il sarcofago richiuso.
Sulla sua tomba fu scolpito questo epitaffio:
“In questa tomba riposa il corpo di Carlo, grande e ortodosso imperatore, che accrebbe
 nobilmente il regno dei Franchi e lo governò felicemente per quarantasette anni.
Mori settantenne, l’anno del Signore 814, settima indizione, il V dalle calende di febbraio.”

Sebbene non sia stato ufficialmente canonizzato, Carlo Magno
fu insignito del titolo di “benedetto” da papa Benedetto XIV.
Il giorno a lui dedicato è il 28 gennaio.





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