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CONDIZIONE DELLA DONNA

Nell'Alto Medioevo la donna era considerata un essere inferiore,
cosa che era confermata e ribadita dalla Chiesa.
Nel diritto canonico infatti,
se fino a S. Tommaso la donna era stata
"cosa necessaria all'uomo",
con i Padri della Chiesa, divenne
"la porta dell'Inferno".
Fin dal suo ingresso nel mondo partiva svantaggiata:
la nascita di una bambina era vista come una disgrazia
e provocava nei padri l'angoscia per la dote,
che le avrebbero dovuto fornire.

Accolta male, nutrita male e vestita peggio dei suoi fratelli,
la sua vita era vista come votata a due sole attività:
le cure casalinghe e la procreazione.
L'educazione femminile era quasi totalmente trascurata
e le ragazze vivevano sempre chiuse in casa,
fatta eccezione per i momenti in cui accompagnavano la madre in chiesa.
Nell’’Alto Medioevo sono pochissime le donne laiche
con un alto grado di istruzione e di cultura.
Sicuramente sapeva leggere e scrivere  Amalasunta (498–535d.C.),
figlia del re Ostrogoto Teodorico, di cui ci restano alcune lettere,

mentre di Lutgarda, moglie di Carlo Magno, sappiamo che frequentò
la scuola palatina.
"Maledetto sia questo sesso in cui non vi è
né timore, né bontà, né amicizia e di cui bisogna diffidare
più quando è amata che quando è odiata”.(Goffredo di Vendome, abate).
Le uniche figure femminili che riuscivano
ad essere considerate positivamente,
almeno in parte, erano le vergini, le vedove e le donne sposate.
Questo perché riuscivano a dominare la loro sessualità
attraverso la pratica della castità
Le vergini rinunciavano completamente alla loro sessualità ,
grazie ad un a scelta volontaria e consapevole,
le vedove in seguito alla morte del marito;
le donne sposate se ne servivano solo per la  procreazione.
Questa classificazione di fatto individua
tre stadi di perfezione morale a cui le donne dovevano aspirare
e perciò la maggioranza delle prediche e dei trattati morali
rivolti ad esse le classificava proprio in base alla castità.
Sembrerà strano, ma fu nei monasteri, nelle abbazie e nei chiostri,
che le donne occidentali iniziarono il lento cammino
dell' emancipazione intellettuale.
Ci sono, infatti,  numerose testimonianze
di monache colte e dedite a lavori intellettuali:
bibliotecarie, scrivane, amanuensi , insegnanti,.
scrittrici di opere di carattere agiografico, cronache, biografie.
Abbiamo testimonianza di monache amanuensi
nel convento di Chelles, nell’ Ile de France e ad Arles.
A Chelles, sede di un'importante biblioteca,
si ritirarono Gisla e Rotrude, sorella e figlia di Carlo Magno.

Nel X secolo Rosvita  di Gandersheim (935 – 973 d.C.),
monaca benedettina sassone, il cui nome significa “suono vigoroso”,
divenne celebre per la sua produzione letteraria.
Rosvita aveva una cultura classica, lesse Virgilio e Terenzio;
compose due poemi epici e scrisse in prosa rimata
con l’intento di dare vita ad una letteratura piacevole,
ma di sicura moralità cristiana.

Nell’ambito della scuola medica salernitana ricordiamo
l’attività di una donna medico, Trotula (XI sec. d.C.),
alla quale viene attribuito, un trattato di medicina intitolato:
“Passionibus mulierum curandorum” (Sulla malattie delle donne),
che riguardava le problematiche mediche femminili
e non solo le classiche questioni di ostetricia.

Apparentemente timida e riservata, la ragazza medievale
viveva tutta la sua vita in sudditanza e questo valeva
per qualsiasi ceto di appartenenza.

É certo che alcune donne più forti riuscivano a liberarsi,
ma in generale la vita che conducevano era assai misera.
Diversa la situazione delle donne sposate che,
per le condizioni della vita, le continue guerre
e soprattutto la lentezza delle comunicazioni,
si accollarono inevitabilmente, gran parte delle responsabilità,
quali rappresentanti dei mariti assenti.
La donna nobile, non solo non fu relegata in casa,
ma ebbe un raggio d’azione molto vasto.
Mentre, infatti, il marito era lontano per spedizioni militari,
pellegrinaggi, doveri di corteo, affari,
toccava a lei diventare la naturale custode
del feudo e l’amministratrice della tenuta.

In questo periodo l’Europa fu piena di abili dame
che non occupavano tutto il loro tempo nelle cacce col falco,
spettegolando o nei corteggiamenti, filando o
giocando a scacchi, ma amministravano i loro possedimenti,
combattevano battaglie legali e persino sostenevano assedi.
Tra le donne di potere vi fu Matilde di Canossa, contessa,
duchessa, marchesa e regina medievale.
Matilde fu una potente feudataria ed ardente sostenitrice
del Papato nella lotta per le investiture;
personaggio di assoluto primo piano in un'epoca in cui
le donne erano considerate di rango inferiore,
arrivò a dominare tutti i territori italici
a nord degli Stati della Chiesa.
Vissuta in un periodo di continue battaglie,
di intrighi e scomuniche, seppe dimostrare
una forza straordinaria, sopportando anche
grandi dolori e umiliazioni, mostrando
un'innata attitudine al comando.
La sua fede nella Chiesa del  tempo le valse
l'ammirazione e il profondo amore di tutti i suoi sudditi.

E' certo inoltre, che numerose donne seguivano gli eserciti,
come supporto o combattendo al fianco degli uomini.
Ci sono esempi di donne di alto rango,
armate di tutto punto ed impegnate in battaglia.
Nel 1382 fu uccisa, nelle Fiandre, una donna
che portava la bandiera fiamminga e nel 1396
una donna frisona cadde trafitta dalle frecce
durante la battaglia tra Frisia e Hainaut.
In seguito ad una sconfitta in Borgogna, durante una ritirata,
molte donne, che vestivano l'armatura,
furono colpite perché non riconosciute ed altre
sempre armate, al fine di proteggersi,
 mostrarono il seno per dimostrare che non erano uomini.
Nelle cronache di "Schilling" sono raffigurate
donne che marciano insieme alle truppe con le borracce,
altre, invece, sono armate di alabarda;
una in particolare, è raffigurata come appartenente
alla compagnia di archibugieri;
porta infatti, il suo archibugio, la fiasca con la polvere,
la borsa con le pallottole ed indossa un abito rosso.

Al castello le donne conducevano una vita ritirata.
Riunite nella «camera delle signore» passavano il tempo
chiacchierando, cantando, narrandosi novelle,
ma soprattutto lavorando.
Filavano, tessevano, confezionavano abiti, lavoravano a maglia,
poiché si riteneva che l’ozio le avrebbe portate al peccato.

Tutta la biancheria, i tessuti che abbellivano la sala,
la camera, la cappella, gli arazzi alle pareti
– che a volte erano dei veri capolavori-
erano opera delle loro mani.

Purtroppo di tanto lavoro femminile
la massima parte è andata perduta.
Sulle donne del castello esercitava la sua autorità
la castellana che  dirigeva il lavoro dei servi e delle serve,
controllava che le provviste fossero sufficienti
e i magazzini ben riforniti.

Quando i nobili d’Europa andavano a fare le Crociate,
erano le loro mogli che, a casa, si prendevano cura dei loro affari,
sovrintendendo ai lavori campestri, trattando con i vassalli,
risparmiando denaro per attacchi futuri.
Quando il signore veniva fatto prigioniero,
era sua moglie che raccoglieva i soldi per il riscatto,
spremendo ogni soldo dai possedimenti,
chiedendo ai vescovi di mettere a disposizione
indulgenze, vendendo i propri gioielli e l’argenteria di famiglia.
Pur tenendo conto del fatto che la servitù era numerosa,
poco costosa e poco esigente, non era cosa da poco
sfamare e vestire una famiglia  numerosa,
dar da mangiare agli ospiti frequenti, in un periodo in cui
quello che oggi viene prodotto nelle fabbriche e comprato
nei negozi, doveva essere preparato in casa.

Burro e formaggi erano fatti nelle latterie e la birra
nei frantoi del castello; bisognava fare le candele,
salare le carni per l’inverno, tessere almeno parte
della stoffa e della tela che erano necessarie.
La castellana doveva presiedere a tutte queste operazioni
e fare – alla fiera, al mercato o nelle città vicine -
tutti gli acquisti necessari di vino, vettovaglie,
stoffe che non potevano essere prodotti nel feudo.

L’infanzia era breve, soprattutto per le ragazze che
 venivano date in sposa giovanissime, poco più che bambine,
spesso contro la loro volontà.
Il loro principale compito era generare tanti figli, possibilmente maschi.
in un periodo in cui alta era la mortalità infantile.
Nelle classi nobili difficilmente la madre si occupava del neonato,
generalmente, era affidato a una nutrice,
tanto che si citava come segno speciale di affetto,
il fatto che una madre desse il suo latte al bambino.
L’influenza della famiglia era predominante; la giovane figlia
non osava rifiutare di sposare colui
al quale suo padre o la sua famiglia la destinavano.

All’età di 30 anni le donne erano considerate anziane
e il periodo di mortalità, date le ripetute gravidanze
e le scarse condizioni igienico-sanitarie,
era compreso tra i 30 e i 39 anni.
Anche la donna che viveva in campagna, doveva prendersi cura
di tutti i membri della famiglia, quando erano ammalati,
non meno di quando erano sani e doveva dunque
essere non soltanto la padrona di casa, ma anche,
in assenza del marito, soldato, “uomo di casa”
e medico quando non c’era un medico disponibile.
Doveva essere anche qualcosa di più di un agricoltore dilettante,
perché i molti doveri di una donna di casa
che viveva in campagna, la ponevano a stretto contatto
con l’economia feudale in tutti i suoi aspetti.

Sposate giovanissime, spesso contro la loro volontà,
mettevano al mondo dagli otto ai dieci figli,
da accudire, nutrire, educare e di cui molti,
dall’anno ai quattro anni, morivano di malattia,
malnutrizione o incidenti:
morsi di animali selvatici, annegamento, ustioni o cadute.
Non avendo balie per la tutela dei bimbi più piccoli,
questi erano lasciati in custodia alle figlie più grandi,
(sei-sette anni) o alla suocera.
Dovevano inoltre tessere stoffe,
preparare pasti, ma anche lavorare
nei campi e nel pollaio aiutando l' uomo.

Lavori come la tosatura erano affidati sempre alle donne.
I bambini, appena erano in grado di lavorare, aiutavano i genitori,
perché a quei tempi le scuole non esistevano;
quindi i contadini non sapevano né leggere né scrivere.
La preparazione del cibo quotidiano occupava molto tempo.
Il camino, come lo intendiamo noi, non esisteva,
c’era solo un focolare privo di canna fumaria,
il fumo usciva dal tetto. I treppiedi, dove collocare
padelle e paioli di rame o ferro, erano molti diffusi.
I bimbi più piccoli aiutavano la madre
nel prelievo di acqua da bere e cucinare.
Questa non si beveva mai pura, ma aromatizzata
con spezie, frutta, erbe e aceto, l’unica possibilità d’evitare
infezioni, considerando le grossolane tecniche
per l’estrazione e la creazione di pozzi.
Alla donna spettava la raccolta della piccola legna,
l’accensione del fuoco e la sua sorveglianza,
la pulizia degli abiti (se di tessuto con cenere, se di lana
semplicemente spazzolandola), della casa e della tessitura.
All’esterno si occupavano principalmente della mietitura,
fienagione, essiccazione del fieno,
creazione di covoni di paglia, areazione del foraggio,
potatura delle vigne e spremitura dei grappoli.

La raccolta degli ortaggi, delle erbe medicinali, della frutta
spettava a loro, come pure la loro conservazione o lavorazione.
Se la famiglia possedeva animali, (galline, maiali e capre),
spesso il nutrimento di questi era compito femminile,
così come la creazione di burro e formaggio.
Molto laboriosa era anche le vita della donna borghese;
essa non si limitava affatto a far andare avanti
la casa e sorvegliare i domestici,
essa doveva, non meno di una dama feudale,
essere pronta a prendere il posto del marito.
Bisogna dire, però, che le donne non entravano
nel mondo del lavoro solo in sostituzione del marito
o perché vedove, esse avevano spesso una loro attività e molti
regolamenti cittadini ne prendevano atto
e consentivano che esse fossero perseguitate per debiti
e punite per malefatte come fossero uomini.
Più si scende nella scala sociale e più laboriosa, naturalmente,
era la vita della padrona di casa perché, di solito,
oltre ad avere cura della casa e dei figli,
essa era obbligata ad aiutare il marito nel suo mestiere
o a dedicarsi a una propria attività sussidiaria.

Nei ceti inferiori a quelli della nobiltà, dei proprietari terrieri
e della borghesia più ricca, poche donne potevano dedicarsi
esclusivamente alla casa, al cui bilancio spesso la moglie
doveva contribuire non meno del marito.
Il Medioevo conobbe donne scrivane, fabbro, artigiane
e dall’università di Bologna uscirono donne medico o architetto.
Nei registri delle tasse si menzionano donne pellicciaio,
artigiane del cuoio, fabbricanti di aghi, di passamaneria e tessitrici.
Non si esitava, però a considerarle streghe
e come tali si bruciavano sul rogo.

Sebbene non fosse legalmente “libera
e con tutti i poteri legali” (che non ebbe fino al XX° secolo),
tuttavia godeva in pieno dei diritti e doveri connessi
al possedimento della terra ed ebbe parte considerevole
nell’industria, ad onta dello svantaggio rappresentato
dalle paghe basse e, talvolta, dall’esclusivismo maschile.

 

MATRIMONIO

Fino al 1000 il matrimonio si svolse, almeno in Italia,
secondo l’uso longobardo che consisteva nella compravendita della donna.
Successivamente gli antichi istituti romani
presero il sopravvento e fra questi il più importante fu la dote.
Il matrimonio veniva combinato dal padre della ragazza
(se questa era orfana dal tutore) che stipulava
un vero e proprio contratto col futuro genero.
Costui donava al suocero una pelliccia di volpe
e riceveva in cambio il mundio con il quale gli venivano riconosciuti
il possesso ed la tutela della donna,
(considerata poco più di un oggetto), che s’accingeva a sposare.
Una volta sposata, usciva dalla tutela paterna
per passare a quella del coniuge e si spostava a casa con il marito.
Le più fortunate divenivano le padrone del focolare domestico,
ma nella maggior parte dei casi si spostavano a casa dei suoceri,
dove dovevano subire l'autorità della nuova famiglia
e dove potevano essere sorvegliate in assenza del marito.
I matrimoni erano molto precoci e una donna a 25 anni
era già considerata una zitella senza speranze.
A sette- otto anni si poteva già essere fidanzati.
Si dice che una certa Grazia di Saleby andò sposa
a un vecchio gentiluomo quando aveva appena 4 anni,
a 5 rimase vedova, a 6 si risposò con un nobile,
ma poiché anche questi morì prematuramente,
a 11 anni celebrò le sue terze nozze che
non sappiamo se furono le ultime.
Grazia fu un’eccezione perché le leggi fissavano
l’età della sposa a 12 anni e quella dello sposo a 14
e anche la Chiesa si opponeva ai matrimoni troppo precoci,
ma con una buona somma di denaro era facile ottenere
la dispensa con la quale anche i lattanti potevano sposarsi.

Fu il Cristianesimo ad introdurre il matrimonio monogamico
(un solo uomo e una sola donna), ma questa regola
non valeva per l’uomo perché la donna poteva essere scambiata
o ripudiata a suo capriccio.
Bisogna notare anche che, mentre l'adulterio delle donne
o i rapporti prematrimoniali, erano puniti
o con un'ammenda o, spesso, con la morte per fuoco,
le donne sposate dovevano spesso convivere e tollerare
la presenza di schiave, amanti del marito e di figli bastardi.
Le mogli potevano inoltre essere ripudiate per sterilità,
ma potevano loro stesse divorziare se il marito
non era in grado di dar loro dei figli
o se questi avesse dissipato la loro dote,
bene inalienabile che doveva tornare
interamente alla moglie dopo la morte del marito.
Va inoltre notata una particolarità,
se, come abbiamo detto l'adulterio era ferocemente punito,
l'abbandono del tetto coniugale non prevedeva nessuna pena.
In quei casi, i mariti si limitavano ad emettere un bando
per invocare il ritorno della moglie, ma le donne non erano punite.
I matrimoni cominciarono ad essere celebrati
da un sacerdote soltanto nel X secolo.
La cerimonia si svolgeva sul sagrato ma iniziava
a casa della sposa dove si formava il corteo che,
snodandosi per le vie della città,
muoveva verso la chiesa.
Lo guidava la sposa scortata da due paggetti
che reggevano una pianticella di rosmarino,
seguiti da una specie di fanfara o da un gruppo
di vergini vestite di bianco.
Chiudevano la processione i parenti e gli amici.
Sulla soglia della chiesa il prete e lo sposo
attendevano il corteo e, quando questo giungeva,
cominciava il rito che culminava nel fatidico “si”
suggellato dalla promessa della sposa di essere
“fedele e sottomessa” al marito.
Il sacerdote celebrava quindi la messa che era seguita
dal banchetto nuziale che veniva allestito
nella navata centrale della chiesa e durava fino a sera
quando gli sposi, accompagnati dagli amici
e inseguiti da masse di corbellatori
che li bersagliavano con escrementi e acqua sporca
s’avviavano verso casa.

Si dirigevano subito verso la camera da letto
 e si spogliavano davanti a tutti
in attesa del prete che doveva venire a benedirli
spruzzandoli di acqua santa e cospargendoli d’incenso
per cacciare il demonio che stava sempre in agguato.
A mezzanotte gli sposi licenziavano gli amici
e si calavano nell’alcova costruita a mo’ di baldacchino
e nascosta da una tenda agli sguardi indiscreti dei servi.

In teoria, per tre notti, le cosiddette notti di Tobia,
non doveva succedere niente, pena la scomunica,
ma nella realtà il matrimonio veniva regolarmente consumato.
Nei castelli feudali vigeva il cosiddetto “jus primae noctis”
che dava il diritto al signore di dormire
con tutte le donne che si sposavano.
Di questo privilegio godevano anche i membri della Chiesa
che erano anche feudatari.

PARTO

In questo periodo i figli si facevano in casa
col solo aiuto della levatrice.
La puerpera, dopo aver dato alla luce il bimbo,
era circondata dalle amiche e festeggiata.
Poi, con l’aiuto della comare, si calava nuda in una tinozza
e, se fra le presenti c’era una donna sterile,
questa si immergeva nella stessa vasca
perché si pensava che l’acqua in cui si era lavata
una partoriente propiziasse la fertilità.

La puerpera stava a letto almeno un mese
e s’alzava solo per cambiarsi e indossare
le più belle camice del suo corredo.
Se era molto ricca, la sua stanza era addobbata
con tendaggi e cortine di damasco
e il suo letto era ricoperto da lenzuola
ricamate e trapunte d’argento.
I colori più usati per questi addobbi erano
 il rosso, il verde, l’azzurro.
Se, però, il neonato moriva durante il parto,
si parava la camera di nero.
Davanti al letto era collocata una credenza
colma di ogni ben di Dio: frutta, dolci, vini,
poiché gli ospiti festeggiavano il lieto evento
con ricche mangiate e omeriche bevute.
Il neonato veniva lavato con acqua ed erbe aromatiche
o con vino rosso o con una mistura di acqua e uova battute.

Poi la nutrice lo deponeva in una culla con nastri colorati.
Il battesimo avveniva dopo una decina di giorni
e si svolgeva in chiesa al cospetto dei padrini
che erano almeno una dozzina, ma potevano essere anche cinquanta.

Nel Medioevo le donne erano considerate instabili,
irrequiete nell’anima, curiose, spinte a cercare sempre
qualche cosa di nuovo che le faceva cedere agli impulsi
e alle passioni, per cui, le donne dovevano essere  custodite.
Custodite dagli uomini, naturalmente,
laici o chierici che dividevano con Dio
questo difficile compito per salvare la loro anima.
In particolare tra il XII e il XV secolo sono numerosissimi
i trattati e le prediche che cercavano di regolare
l’abbigliamento, il modo di mangiare, l’uso della parola e la gestualità.
Si diceva che la donna truccata e vestita in modo troppo curato
privilegiasse l’esteriorità del suo corpo rispetto alla sua anima;
i cibi e le bevande potevano eccitarla e perciò andavano limitati,
niente vino e niente cibi troppo caldi;
ad esempio; i sio gesti dovevano essere  controllati
per non attirare l’attenzione.

Non doveva ridere ma sorridere senza mostrare i denti,
non spalancare gli occhi ma tenerli socchiusi
e rivolti verso il basso, piangere senza far rumore,
non agitare le mani, camminare lentamente…
Ma per quanto fossero controllate nel cibo, negli abiti e nei gesti,
il loro difetto più grande era........la parola!
Le donne parlano, parlano e naturalmente
parlano troppo e male.
Molti uomini del Medioevo scrivevano libri
per insegnare alle donne come dovevano comportarsi.
Ecco come un anziano marito cercava di istruire
la giovanissima moglie sul comportamento da tenere per strada:
“Quando vai in città o in chiesa, vai convenientemente accompagnata
da donne onorate secondo la tua condizione, e fuggi
qualsiasi compagnia sospetta, senza mai permettere
che una donna malfamata sia vista vicino a te.
E mentre cammini porta la testa alta, le palpebre abbassate,
senza sbatterle e guarda dritto davanti a te,
senza guardare intorno a te né uomini né donne,
né a destra né a sinistra, e senza guardare in su,
e sbirciare qua e là, e senza fermarti
a parlare con nessuno per la strada….”
(dal Ménagier de Paris)

Secondo i predicatori dell’epoca le donne mentono con abilità,
sono insistenti e lamentose, litigano,
si scambiano maldicenze e parlano inutilmente.
Per mettere in evidenza questo difetto,
in alcune prediche si sostiene che Cristo sarebbe apparso,
dopo la resurrezione, alla Maddalena perché sapeva bene che,
in quanto donna, avrebbe immediatamente diffuso la notizia.
Anche il rapporto con la parola scritta era guardato con sospetto.
Secondo Filippo da Novara la donna non deve imparare
né a leggere né a scrivere, se non per diventare monaca,
perché dal leggere e dallo scrivere delle donne
sono derivati molti mali.
Sulle parole femminili incombe l’autorità di San Paolo
che proibisce alla donna di insegnare (I Timoteo XIV, 12)
e di parlare nelle assemblee (I Corinzi XIV, 34-35).
Questi due passi sono stati usati, per lungo tempo,
per giustificare il controllo sulla parola femminile.
Le donne inoltre, non potevano entrare nei tribunali,
governare, insegnare e predicare perché
le parole del potere, del giudizio e della cultura
erano esclusivamente parole maschili.
Alle donne era vietato esprimersi in pubblico, tanto che,
anche nelle cause legali, queste dovevano farsi rappresentare da un uomo,
ossia dal padre, dal marito o dal parente maschio più vicino.
Va evidenziato però che dal XIII al XV secolo alcune donne,
anche se in modo sporadico, osarono farsi sentire,
benché la loro voce sia stata coperta.........
 dal frastuono del coro degli uomini.
Come abbiamo fin qui detto, castità, modestia, umiltà,
sobrietà, silenzio, custodia, sono le parole
che per moltissimi anni le donne si sono sentite dire.
Le hanno ascoltate dai predicatori nelle chiese,
dai familiari nelle case, le hanno ritrovate nei libri
che venivano scritti per loro.
Questo è il modello femminile imposto nel Medioevo.

Alla morte del marito, salvo uno specifico testamento,
le donne dovevano lasciare la casa e tornare a casa del padre.
Dagli atti giuridici del tempo, risulta che a volte i figli
obbligavano la madre a compilare un inventario delle cose portate via!
Questi erano comunque dei casi limite,
infatti la maggior parte delle volte, i mariti lasciavano
alle loro mogli l'usufrutto della casa in cui queste
potevano dirigere la famiglia, fino alla maggiore età dei figli maschi.
Spesso la vedovanza permetteva alle donne di liberarsi sessualmente.
Infatti, vergini fino al matrimonio e minacciate di morte,
in caso di adulterio, le donne potevano avere rapporti
con uomini diversi, sempre nell'ambito della più grande discrezione,
solo dopo la scomparsa del marito.
Giunte all'età giusta, le fanciulle, se non venivano date in sposa,
erano inviate in convento, spesso con "vocazioni" forzate.

Abbiamo testimonianze posteriori di suore scrittrici
come Suor Maria Clemente Ruoti,
che si lamentano della vita del convento.
Bisogna però dire che la clausura ha rappresentato,
per lungo tempo,l'unica possibilità, per una donna,
di accedere alla cultura.
I conventi servivano anche da ricovero per le donne bisognose.
A partire dagli inizi del XIII secolo, comparvero molte fondazioni
di ordini e di monasteri per donne.
Queste comunità femminili di religiose vivevano
soprattutto grazie ai compensi ricavati dall'artigianato e dalla cura dei malati





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