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CURIOSITÀ

Per molto tempo si è pensato che il Medioevo, sia stato un periodo buio,
un periodo solo di devastazioni e di imbarbarimento dei costumi.
In realtà, se c'è stato un Rinascimento, si deve proprio al fatto
che c'è stato un Medioevo.
E' in questo periodo infatti,
che vissero Dante, Petrarca e Boccaccio
e che l'ingegno umano diede vita a
molte invenzioni che daranno seguito a molti modi di dire
e locuzioni che usiamo normalmente,
pur non sapendo che sono di origine così antica.
Ecco qualche  esempio.

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Relativamente all'invenzione della staffa, abbiamo le espressioni
"Perdere le staffe" e "partire di spron battuto",
che si riferiscono al fatto che l'invenzione delle staffe
 consentì di montare più agevolmente il cavallo
e di usarlo quindi anche in battaglia

oppure "il bicchiere della staffa" che era l'ultimo bicchiere
offerto al cavaliere pronto a ripartire,
col piede già sulla "staffa del cavallo".

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Poi ci sono altre espressioni molto curiose come
"è un altro paio di maniche" e "dare la mancia".
La prima deriva dall'uso medievale di lavare
solo le maniche dei vestiti, che quand'erano sporche
venivano staccate e sostituite con un paio pulito,

la seconda richiama la tradizione, secondo la quale,
durante i tornei, le dame si sfilavano una manica
(dal francese manche = manica)
e la offrivano come portafortuna al loro eroe.
Successivamente, poiché i servi non ricevevano stipendio,
ma esclusivamente vitto, alloggio e un vestito nuovo all’anno
e siccome le loro maniche erano le prime a consumarsi,
i padroni iniziarono a dare loro una “mancia”,
in modo che si comprassero maniche di ricambio.

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Con il termine "calzolaio", invece, si fa riferimento alle calze solate
ovvero delle calze alle quali veniva applicata una suola di cuoio,
un tempo in uso fra tutte le persone nobili.
Le calze solate erano separate e i due "gambali"
erano allacciati individualmente al farsetto.
A Venezia venivano prodotte da una categoria specifica
di "caligari" detta "solarii".

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L'espressione "andare a Canossa" significa
umiliarsi di fronte a un nemico, ammettere di avere sbagliato
e fare atto di sottomissione, con riferimento
al fatto avvenuto a Canossa  nell' inverno del 1077,
quando l'imperatore Enrico IV attese per tre giorni e tre notti,
scalzo e vestito solo di un saio, prima di essere ricevuto
e perdonato dal papa Gregorio VII,
con l'intercessione di Matilde di Canossa.

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Il conclave più lungo della storia fu quello
che si svolse dopo la morte di Clemente IV,
avvenuta il 29 novembre 1268.
Ebbe inizio nel Palazzo papale di Viterbo e,
all'inizio, i cardinali si recavano una volta al giorno
presso la Cattedrale di Viterbo per incontrarsi e votare
e poi ritornare presso le rispettive residenze.
La città di Viterbo era guidata, in quel tempo,
dal podestà Alberto di Montebuono e, soprattutto,
dal capitano del Popolo Raniero Gatti,
uomo energico e molto stimato; i due, interpretando lo sdegno
e l'insofferenza del popolo viterbese, che doveva mantenere tutti i prelati,
convinti della necessità di sottrarre i cardinali elettori
a tutte le pressioni provenienti dall'esterno,
il 1º giugno 1270 ordinarono la chiusura delle porte della città
e - colti di sorpresa i cardinali - li fecero condurre a forza
nella grande sala del Palazzo dei Papi ove dissero loro
che non li avrebbero più fatti uscire da quelle mura
finché non avessero eletto il nuovo Papa.
Dopo pochi giorni, per aumentare la pressione sul collegio cardinalizio,
Raniero Gatti ordinò di ridurre le somministrazioni del vitto
e di scoperchiare buona parte del tetto dell'aula
dove erano rinchiusi i porporati
(Secondo me, dovremmo prendere esempio per i nostri politici).
Il conclave durò quasi tre anni (1006 giorni) e terminò il 1 settembre del 1271.
Venne eletto Tedaldo Visconti che non faceva parte del conclave,
Si trovava in Terrasanta. per la crociata
al seguito di Edoardo I d'Inghilterra.
Siccome aveva preso solo gli ordini minori,
al suo ritorno, prima fu ordinato sacerdote, poi vescovo
e infine papa col nome di Gregorio X.
Il suo pontificato durò 5 anni, 4 mesi e 10 giorni.
Morì ad Arezzo il 10 gennaio 1276.

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Chi di noi non ha mai dato del “cornuto” a qualcuno?
Nessuno credo.
Ma quanti di noi sanno che questa epiteto è nata nel Medioevo?
Esso risale al tempo dell'imperatore bizantino
Andronico I Comneno (1118-1185) che,
oltre ad essere un arguto uomo politico
e di grande coraggio in battaglia, era famoso, tra i contemporanei,
anche come “collezionista di amanti”.
Ebbene, per rendere note a tutti le sue conquiste,
era solito far esporre teste di cervo sul portone delle donne
che avevano ceduto alle sue lusinghe,
(sempre che avessero potuto non concedersi);
per cui, da quel momento, il marito della donna in questione,
veniva definito da tutti....."cornuto"

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Avete presente la statua equestre di Marco Aurelio
situata nella Piazza del Campidoglio a Roma?
C'è un aneddoto ad essa legato .
Si racconta che, in occasione dei festeggiamenti
in onore di Cola di Rienzo e della cacciata degli Orsini e dei Colonna,
in piena epoca tardo medievale, precisamente nella serata del
1 Agosto del 1347,  il popolo romano si abbandonò
alla baldoria generale e, nell’euforia del momento,
versò una tale quantità di vino all’interno del cavallo,
che esso fuoriuscì a fiumi dalle sue narici.
Fortunatamente l’evento non causò alcun danno alla statua,
che  tutt’oggi può essere ammirata in tutta la sua maestosità.

C'è una leggenda su questa statua, legata alla fine del mondo.
Il giorno del giudizio, infatti, secondo la tradizione,
sarebbe stato annunciato da una civetta e
. per molti, la criniera arruffata del cavallo di Marco Aurelio,
rappresenterebbe proprio una civetta.
Si racconta che nel Medioevo, ad un certo punto,
la statua cominciò a gracidare, destando il panico nella popolazione
che pensava fosse giunta la fine del mondo.
In realtà la pancia cava del cavallo si era riempita d'acqua
per le molte piogge, favorendo la nascita di numerosi girini
che, divenuti ranocchi avevano cominciato a gracidare
tutti insieme ed erano stati scambiati per civette!!!!!

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Sembra che la cintura di castità sia stata
un'invenzione fiorentina del '300;
attraverso il suo uso, i mariti che partivano per la guerra
si assicuravano la fedeltà delle proprie mogli rimaste a casa.
Il pensiero che le signore  avrebbero potuto non limitarsi
a trascorrere le giornate tra lavori domestici e preghiere
assillava talmente i nobili fiorentini in partenza per la guerra,
che qualcuno, inventò per loro una specie di mutanda di ferro
chiusa da un lucchetto, la cui chiave, ovviamente, era tenuta dai mariti.

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Come si curava l'impotenza maschile nel passato, quando non c'erano
né viagra né adeguate cure mediche?
La soluzione per le problematiche inerenti al problema
stava, secondo il santo e filosofo medievale Alberto Magno (1206-1280),
in una dieta che comprendesse carne di passero e pene di lupo
cotto al forno, tagliato a piccoli pezzetti e mangiato in modica quantità,
che possedeva, a suo dire, la fondamentale caratteristica
di agire in fretta, provocando nell’uomo un irrefrenabile ed istantaneo desiderio.
Se i genitali del lupo rappresentano un novità medievale,
i passeri venivano utilizzati come afrodisiaci già nei secoli precedenti;
considerati volatili “passionali” e particolarmente “focosi”,
si riteneva (o meglio, si sperava), che potessero trasmettere
tali peculiarità a chi se ne nutriva.

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Il pianto del neonato, ovvero quanto di più naturale possa esistere,
trattandosi dell’unica forma di espressione evidente
di cui i più piccoli sono capaci, era considerato nel Medioevo
un segno del demonio e pertanto qualcosa da temere.
A supporto di questa teoria furono addirittura pubblicati dei testi
in cui venivano analizzate una ad una queste presunte
manifestazioni del Maligno: bambini che camminavano carponi,
che emettevano suoni inarticolati e mangiavano di tutto,
erano "chiaramente" posseduti.
Cosa fare allora?
Ovviamente bisognava tentare di proteggerli con ogni mezzo,
il che di solito si traduceva nel riempire la loro culla
con ogni sorta di amuleti, che avevano il compito
di tenere lontani gli spiriti cattivi.
L’insopportabile fasciatura cui venivano sottoposti per mesi,
oltre ad evitare loro di incorrere in possibili storture degli arti,
doveva servire anche a limitarne il pianto, grazie alla compressione sul torace.

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 L'espressione "Nato con la camicia" , invece,
che indica una persona fortunata, si riferisce al fatto che nel Medioevo si pensava
che un neonato che nasceva ancora avvolto nel sacco amniotico (camicia),
caso molto rara, avrebbe avuto una vita felice e fortunata.

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Per parlare poi di una cosa molto vecchia,
ancora oggi si usa l'espressione
"ai tempi in cui Berta filava".
Berta era la moglie di Pipino il breve e madre di Carlo Magno,
personaggi quindi, vissuti nella "notte dei tempi".

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L'espressione "Per un punto Martin perse la cappa"
che si usa per dire che basta un niente, a volte, a provocare
il fallimento di un progetto che è costato molta fatica,
deriva da un aneddoto che ebbe molto credito nel Medioevo.
Martino era l'abate dell'abbazia di Asello e da persona molto caritatevole,
volle sulla sua porta questa iscrizione:
"Porta patens esto. Nulli claudaris honesto."
(Porta, resta aperta. Non chiuderti a nessuna persona onesta).
Ma chi eseguì il lavoro, sbagliò a mettere il punto e scrisse invece:
"Porta patens esto nulli. Claudaris honesto."
(Porta, non restare aperta a nessuno. Chiuditi alla persona onesta).
Lo scandalo prodotto dalla trasposizione del punto fu enorme
e il papa dovette privare Martino dell'abbazia,
facendogli così perdere la cappa di abate.
L'espressione originaria sembra però che fosse un po' diversa:
"Uno pro puncto caruit Martinus Asello" (Per un punto Martino perdè Asello).
E di qui viene il proverbio francese: "Pour un point Martin perdit son âne!"

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Anche l'espressione "Non avere né arte né parte"
cioè non conoscere un mestiere e non avere né beni né appoggi.
è di derivazione medievale. Nel Medioevo infatti,
per poter praticare un'arte o un mestiere, bisognava essere  iscritti
alla corporazione relativa all'attività che si voleva svolgere.
Queste corporazioni, vere e proprie associazioni,
avevano il compito di salvaguardare gli interessi
degli iscritti e li aiutavano a raggiungere determinati fini economici.
Distinte per categorie professionali, esse riunivano
solamente i proprietari delle imprese.
Ogni arte aveva il proprio statuto, che stabiliva il prezzo delle merci,
i salari e le condizioni di lavoro per la manodopera.
In questo modo le arti svolgevano un’efficace azione nell’impedire
la concorrenza sleale e vegliavano sulla serietà e la correttezza degli iscritti.
Chi non faceva parte di un’arte non poteva intraprendere un’attività
e la sua ammissione dipendeva dalla decisione
dei membri della corporazione.
Le arti furono caratterizzate da una forte solidarietà interna:
se un loro membro era  vittima di un infortunio o di una malattia,
esse provvedevano a fornirgli un sussidio,
prendendosi anche cura di vedove e orfani.
Ma non bastava conoscere il mestiere per far parte di una corporazione.
Per prima cosa bisognava trovare una bottega dove imparare il mestiere,
poi occorreva pagare una somma più o meno alta per le spese
del proprio apprendistato che durava circa sei -sette anni.

Ma l'apprendista, a differenza del lavoratore salariato
senza specializzazione, poteva sperare un giorno di diventare maestro,
con una propria bottega e una ricca clientela.
Nei periodi di crisi, però, quando il lavoro diminuiva,
i maestri potevano ostacolare l'accesso al grado di maestro,
di coloro che avevano finito l'apprendistato,
per impedire loro di aprire nuove botteghe.
In questo modo le corporazioni difendevano i loro membri.
Le prove da superare per diventare maestro diventavano così sempre di più:
sostenere un esame, eseguire un 'capolavoro' nella casa del maestro,
pagare una tassa al re, offrire un banchetto e via di seguito…
Le corporazioni poi, entravano nelle divisioni politiche, "prendevano partito",
anche questo sempre a vantaggio degli iscritti.
In definitiva, avere arte e parte ( infatti esiste anche il detto: "chi ha arte ha parte")
significava appunto essere in grado di svolgere una "professione"
che dava sicuramente da vivere e forniva un appoggio in caso di bisogno,
mentre coloro che non erano iscritti alle corporazioni venivano considerati
poveri diavoli, gente, appunto, che non ha né arte né parte.
Esiste anche il detto "Impara l'arte e mettila da parte"
per dire che l’apprendimento di un mestiere, anche se al presente non serve,
può essere utile nell’avvenire.

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Nel Medioevo nacquero  le prime fabbriche di spaghetti;
si producevano "vermicelli" e "macaluni", cibo molto in voga
soprattutto sulle navi perché costituivano
un piatto caldo e buono che si poteva preparare in poco tempo.
I Romani conoscevano già la pasta fresca da cuocere
in forno o friggere, ma non la tecnica innovativa
di far seccare gli spaghetti sui graticci
e poi di immergerli nell'acqua bollente.
La pasta si portò dietro anche l'invenzione della forchetta,
essenziale per gustare un cibo caldo e scivoloso.
Ne 'Il diletto per chi desidera girare il mondo' o 'Libro di Ruggero'
pubblicato nel 1154, Al-Idrisi, geografo di Ruggero II di Sicilia,
descrive Trabia, un paese a 30 km da Palermo,
come una zona con molti mulini, dove si fabbricava una pasta
a forma di fili leggermente arrotondati, chiamata 'itrya'
(dall'arabo itryah che significa "focaccia fine tagliata a strisce" .
Questa pasta veniva spedita con navi in abbondanti quantità
in tutta l'area del Mediterraneo, sia musulmano che cristiano,
dando origine ad un commercio molto attivo
che, dalla Sicilia , si diffondeva soprattutto verso nord
lungo la penisola italica e verso sud fino all'entroterra sahariano,
dove era molto richiesto dai mercanti berberi.
Nel 1279 il notaio marchigiano Ugolino Scarpa, facendo un elenco
di ciò che un milite genovese, tale Ponzio Bastone, lasciava alla sua morte,
 descrive in italiano medievale:"una bariscella plena de maccaroni'',
facendo riferimento appunto
ad una ''cesta di vermicelli (o spaghetti)'' ed ancor prima,
nel 1244, un medico bergamasco promette ad un lanaiolo di Genova
che l'avrebbe guarito da un'infermità alla bocca se
non avesse mangiato né carne, né frutta, né cavoli,
né pasta, scrivendo testualmente in latino volgare:
"... et non debae comedare aliquo frutamine, neque de carne bovina,
nec de sicca, neque de pasta lissa, nec de caulis..'',
vietandogli appunto di mangiare, tra altri alimenti, anche la pasta;
Altro esempio è anche quello del 1221 presente in una ''cronica''
di Fra' Salirnbene da Parma, che parlando di un frate grosso e corpulento,
tale Giovanni da Ravenna, annota: “Non vidi mai nessuno che come esso
si abbuffasse tanto volentieri di lasagne con formaggio”;
ed ancora si potrebbero menzionare gli scritti
dell' umanista e filosofo Jacopone Da Todi, che nel 1230,
in una sua lettera al Papa, parla e descrive ampiamente i ''maccaroni'',
trattandoli come se fossero un oggetto di piacere sublime ed ultraterreno.

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Cominciarono ad essere usati in questo periodo anche i bottoni,
arrivati in Europa dall'Oriente, per mezzo dei Crociati,
Prima indice di ricchezza e venduti dai gioiellieri,
in breve tempo si trasformarono in pratici oggetti in ottone e rame,
che permisero, soprattutto alle donne,
di poter indossare abiti più stretti, che potevano
semplicemente essere slacciati per essere infilati.
La prima menzione letteraria risale al XII secolo nel poema
La Chanson de Roland, dove figurano come piccole cose senza valore.

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Non dimentichiamo poi che nel Medioevo comparvero per la prima volta,
i pantaloni e le mutande.

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Riguardo alle case, le finestre guadagnarono i vetri,
che permisero l'entrata della luce ma non del freddo.
A mantenere il caldo pensarono anche i caminetti con canna fumaria,
che sostituirono i bracieri fumosi della domus romana.

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Nel Medioevo cominciarono a girare per casa i gatti,
considerati dai Romani solo animali selvatici;
dono dei Crociati di ritorno dal Medio Oriente,
spicca fra tutti il soriano, il cui nome rivela
la sua origine dalla terra di Siria.

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Oltre ai numeri e al libro, un’importantissima invenzione fu senz'altro
quella dell'orologio, che cambiò non solo la vita,
ma anche la mentalità delle persone.
Prima la durata delle giornate era legata alle stagioni,
con ore lavorative lunghe d'estate e corte d'inverno
e il tempo era essenzialmente un tempo religioso,
ritmato dal suono delle campane;
con l'arrivo dell'orologio, i giorni lavorativi diventarono tutti uguali
e i rintocchi delle campane non furono più l'unico modo per misurare le ore.
Quando in seguito l'orologio passò dal campanile alla torre
e infine anche in casa, il tempo si trasformò da pubblico in privato
e così ognuno divenne padrone della propria giornata.
Ricordiamoci, però, che nel Medioevo non si contavano ancora i minuti
e che ci si accontentava di conoscere l'ora.

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Risale poi al Medioevo una delle più importanti
invenzioni di tutti i tempi, gli occhiali.
Pare che le prime lenti fossero state realizzate a Venezia
già qualche anno prima della fine del Duecento;
ma fu solo dopo la metà del Trecento che se ne trova  testimonianza
fuori dalla città, prima a Treviso
(che tra il 1339 e il 1381 fu governata proprio dai veneziani)
e poi anche in Toscana e in altre parti d’Europa.
La prima documentazione dell’uso di quelli che potremmo chiamare occhiali,
ovvero delle lenti usate con costanza per attenuare i difetti della vista,
è il ritratto del cardinale Ugone di Provenza eseguito da Tommaso di Modena
e conservato, assieme a quello di altri trentanove domenicani illustri,
nella Sala del Capitolo della Chiesa di San Nicolò a Treviso.
Le prime lenti vennero lavorate a Murano, dove già da tempo
si lavorava il vetro e nei Capitolari delle Arti Veneziane
della fine del Duecento e dell’inizio del Trecento
non a caso si parlava di lapides ad legendum e roidi da ogli,
cioè probabilmente lenti di ingrandimento e occhiali da vista.
Ma la tecnica di produzione di questi primi occhiali , era un segreto
custodito gelosamente dalla Serenissima, che su tutta
la lavorazione del vetro, voleva mantenere uno stretto riserbo,
timorosa delle imitazioni e delle contraffazioni che,
mercanti provenienti da ogni parte d’Italia e d’Europa
non vedevano l’ora di poter immettere sul mercato.

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Gli scacchi, inventati in India nel corso del VI secolo,
giunsero in Europa senza dubbio nell'XI secolo se, nel 1058,
il cardinale riformista Pier Damiani deplora di aver visto
il vescovo di Firenze intento a giocarvi.
Un superbo gioco di scacchi in avorio, risalente alla fine dell'XI sec.
e detto "scacchiere di Carlomagno", è conservato presso il Cabinet des Médailles
dell'antica Bibliotheque Nationale di Parigi.
Dall'Oriente in Occidente, i pezzi degli scacchi cambiarono
nome e simbolismo in maniera significativa.
l'elefante ad esempio,  diventa un alfiere in italiano,
un pazzo in francese e un vescovo in inglese.
Il cammello diventa una torre, il visir cambia sesso e diventa la Vergine,
la dama o la regina.

 





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