Privacy Policy MEDIOEVO ECONOMIA


 
 
 
 

ECONOMIA

L'Alto Medioevo, ovvero il periodo che gli storici fanno iniziare
con la caduta dell'Impero romano e finire intorno all'anno mille,
fu caratterizzato, nei territori dell'occidente europeo,
da una grave decadenza politica ed economica.
Le difficoltà di comunicazione e la distruzione delle città,
avevano reso impossibile il commercio e avevano limitato
la produzione, quasi esclusivamente, all'agricoltura.

La decadenza dei metodi di coltivazione, poi,  rese  scarsi i raccolti,
perciò una grande parte dei terreni agrari
dell'epoca romana, furono abbandonata all'incolto.
Appena fuori dalle colture, si stendevano foreste,
macchie, pascoli, paludi, immense zone selvagge
in cui l'uomo era quasi del tutto assente:
era il regno di carbonai, pastori, eremiti, fuorilegge,
persone che, per diversi motivi, erano costrette
ad una vita di isolamento.

I proprietari terrieri vivevano quasi tutti nelle loro case di campagna,
circondati da un numero variabile di amministratori
che dirigevano vaste proprietà e di servi,
che svolgevano funzioni di contadini e artigiani.

I coloni abitavano in piccole e modeste capanne di legno
con il tetto di paglia, lavorando nel podere del  proprietario.
Le donne svolgevano i pochi lavori artigianali necessari alla famiglia:
la filatura, la tessitura e la preparazione dell'abbigliamento.
Lo spopolamento generava un clima di insicurezza.
I rapporti tra gli individui e i gruppi erano difficili,
perché le strade erano in  stato di abbandono
e quindi le comunità si richiudevano su se stesse.
Di conseguenza, al posto della villa romana,
si era andata affermando una nuova struttura produttiva:
la curtis: un insieme di terre ed edifici
soggetti al potere di un unico signore.

La curtis era un vasto possedimento terriero,
controllato e gestito da un grande proprietario
che poteva essere sia laico che ecclesiastico.
Tipica della curtis era la divisione in due parti:
la riserva dominica e i mansi, affidati ai servi.

La riserva era gestita direttamente dal signore o da un suo dipendente.
Essa comprendeva la casa padronale, i granai e gli altri fabbricati rurali,
i giardini, gli orti, una cospicua estensione di terra arativa, vasti prati, una vigna.
Il manso comprendeva invece una casa con orto, terreno arativo, prati.
Collegato ad ogni manso era il diritto di usare i boschi e i pascoli comuni.
Il campo forniva non soltanto i cereali "maggiori"
(frumento, orzo, segale, farro) e "minori" (miglio, panico, sorgo)
basi canoniche del "pane di mistura", (cioè composto di diversi cereali),
delle minestre/polente contadine e della birra,
ma anche i legumi (fave, fagioli, piselli, ceci),
indispensabili nei duri e lunghi mesi invernali per l'integrazione della dieta.

Esso assicurava un giusto apporto di amidi e di proteine vegetali,
così come l'orto provvedeva al fabbisogno di sali minerali e di vitamine.
L'orto costituiva lo spazio produttivo privato del colono
e ne rifletteva i gusti alimentari: cipolle, porri,
rape, zucche, (non la zucca gialla, che è di provenienza americana),
erbaggi di ogni genere (in particolare spinaci, borragine, lattuga),
erbe aromatiche e medicinali, frutta (mele, mele cotogne, pere, prugne e fichi).

Al pari dell'orto, la vigna era oggetto di preziose cure,
anche se in età medioevale non ci si preoccupava
di selezionare le uve per ottenere vini pregiati,
ma si guardava soprattutto alla resa.

L'uliveto era tenuto in grandissimo conto in tutta l'area mediterranea,
anche se l'olio, almeno nell'economia domestica dei rustici,
sembra valesse più sul piano medicinale che sul piano alimentare.

Molto importante in questo periodo
fu anche l'allevamento delle api.
Le arnie erano costruite in legno e paglia intrecciati,
a forma di cono e permettevano la raccolta
sia del miele che della cera.
Spesso le arnie venivano messe in foreste o boschi,
dove le api erano libere di trovare il loro nettare.
Quando si voleva farle rientrare, bastava battere un oggetto in rame
che simulando il rumore del tuono, le riportava nell'alveare.
Vi erano poi molte api selvatiche e, andando per i boschi,
non era difficile imbattersi in esse e nei loro favi.

Il miele conobbe, durante il Medio Evo, un uso costante
essendo l'unico dolcificante utilizzato.
Anche se lo zucchero, infatti, era già conosciuto,
veniva utilizzato solo per scopi medici.
Con il miele si produceva poi, una bevanda, l'idromele,
il cui consumo fu molto forte nel Medioevo.
Era considerata una bevanda propiziatoria e si dice che,
bevuto una settimana dopo il matrimonio,
aumentasse le probabilità di nascita di un erede maschio.
Alcuni pensano che il termine "Luna di miele"
derivi proprio da quest'usanza,
visto che la dote della sposa, prevedeva una scorta di idromele,
pari ad un mese lunatico (28 giorni).

Fu durante il Medioevo che venne introdotto l'uso della cera d'api
per la realizzazione di candele.
La cera, infatti, presentava numerosi vantaggi:
la fumosità della candela era molto ridotta,
rispetto all'uso del sego, la fiamma era più stabile
e l'odore sprigionato più gradevole.
Le candele in cera d'api a causa del loro costo elevato
ebbero diffusione solo nel clero o nelle classi più abbienti.
La produzione di candele restò un'attività quasi esclusivamente
domestica fino al XIII secolo, periodo in cui cominciarono
a comparire le prime botteghe.
Nonostante la comparsa di questi primi laboratori cerai,
la produzione di candele continuò per lungo tempo
ad essere molto comune tra le attività svolte dalle donne
in casa, come fare il pane, il sapone e cucire.
La cera, poi, durante l’anno 1000 era usata,
nell’Italia Meridionale,  per il rito della vigilia di Pasqua,
durante il quale si recitavano gli “Exultet”,
rotoli di pergamena, lunghi alcuni metri e larghi da 20 a 40 centimetri,
costituiti da pelli di capra o di pecora, raschiate fino a raggiungere
uno spessore medio di 27 centesimi di millimetro e legati tra loro.
Gli abati e i vescovi di Bari, come pure di Napoli, Pisa e Gaeta
si contendevano le stesse pergamene con le migliori illustrazioni.

Il rito Pasquale prevedeva l’accensione di un grande cero,
rigorosamente in cera d’api e la recitazione cantata
di un testo sulla resurrezione di Cristo.
Addirittura, in alcuni rotoli, le api vengono paragonate agli angeli.
Un’eredità mitologica proveniente probabilmente dall’antica Grecia,
dove gli attributi delle api erano la castità, la purezza e l’operosità.
Tuttavia, a poco a poco, la formazione di grandi latifondi coltivati
prevalentemente a cereali e la privatizzazione delle terre incolte,
privarono il contadino di quelle risorse silvo - pastorali
su cui aveva sempre potuto contare.
Il contadino medievale si trasformò in colui che non possiede nulla
e andò ad infoltire le fila dei proletari cittadini.
Intanto incominciava a profilarsi una nuova classe sociale,
quella degli agiati borghesi, portatrice di un nuovo sistema alimentare,
fondato simbolicamente sul contrasto "pane bianco/pane nero"
ed economicamente sul rapporto "cibo - mercato - denaro".

La caccia era lo sport prediletto dai signori, ma destava anche
l'interesse del popolo, per l'amore delle armi tipico di questo periodo.
Le armi usate nella caccia erano le stesse usate in guerra,
soprattutto archi e frecce, ma anche fionde di pelle.

Le tecniche per cacciare erano diverse: quella classica,
ossia in gruppo e a piedi con le reti per catturare gli uccelli di passaggio
e la difficilissima e prestigiosa caccia con il falcone,
una tecnica molto difficile e complessa poiché bisognava
fare affidamento solo ed esclusivamente sull'animale che,
grazie alla sua vista acuta e alla sua velocità di volo,
scovava e catturava la preda per poi riportarla al padrone.

Il mondo allora conservava la sua natura selvaggia
che era il perfetto scenario per una partita di caccia;
ciò offriva anche la possibilità di un buon mercato di carni
in quanto quelle da macello scarseggiavano.

La caccia era praticata soprattutto dal re e dai nobili;
i servi avevano il divieto di cacciare, mentre i contadini,
potevano cacciare, ma dovevano dare
una parte della selvaggina al proprietario del fondo.
Restrizioni nella caccia, riserve venatorie, protezione di alcune specie,
esistevano anche nel Medioevo e dimostrano che già
in quel tempo l'uomo rappresentava una minaccia per l'equilibrio ambientale.
A poco a poco, infatti, le grandi riserve cominciarono a impoverirsi
e la diminuzione della selvaggina indusse all'allevamento
di animali da macello e a fissare prezzi per licenze di caccia.
Così la caccia si trasformò progressivamente in uno sport per pochi,
riservato a quanti potevano affrontarne le spese,
quindi cessò di rappresentare il naturale sistema
di procurarsi il cibo, da parte degli abitanti delle campagne.
Una delle risorse principali della povera gente dell’epoca era la raccolta.
Nell'Europa settentrionale, infatti, oltre alle zone coltivate,
si trovavano molte foreste ampie che costituivano
una fonte di risorse quasi inesauribili soprattutto per la legna.

Il permesso dell'erbatico (pascolo degli ovini e dei bovini)
e del glandatico (pascolo dei suini), consentivano ai contadini
una redditizia attività di allevamento da cui ricavavano
la quasi totalità dei necessari apporti proteici,
integrati con la pesca, la caccia (selvaggina di piccola taglia)
e l'allevamento domestico del pollame.

L'incolto offriva dunque un ampio ventaglio di risorse alimentari,
in quanto i contadini sfruttavano le risorse della foresta
raccogliendo bacche, miele, erbe, da cui estraevano
sostanze chimiche a loro utili (ad esempio per conciare le pelli
o fabbricare il sapone), carni di diversa specie,
frutti selvatici (ricchi di vitamine), funghi, lumache,
castagne, noci e nocciole (da cui si ricavava anche l'olio),
nonché il cibo necessario ad allevare gli ovini,
i bovini e l'apprezzatissimo maiale, che rappresentava
una vera e propria dispensa naturale dell'uomo medioevale,
in quanto fornitore di carne per l'inverno (grazie alle tecniche della salatura,
dell'affumicatura e della conservazione nel grasso), di lardo e di sugna.

Le castagne costituivano un alimento essenziale per l'uomo medievale
e spesso venivano consumate al posto del pane.
Erano vendute in tutto il corso dell'anno e cucinate in diverse maniere;
dopo averle disseccate al sole e cotte a fuoco lento
venivano date anche ai malati.

Noci (da cui veniva ricavato  un olio largamente usato)
e nocciole erano mangiate per l'intero corso dell'anno
alla fine di ogni pasto; triturate, impastate con uova,
cacio e pepe, costituivano un ripieno per le carni nella stagione invernale.
Anche la pesca era molto importante per la popolazione medioevale.
Nei mari settentrionali la pesca e la preparazione
di pesci salati e affumicati costituivano
un ottimo guadagno per pescatori e commercianti.

La pesca veniva praticata previa richiesta della licenza di pescare
al proprietario delle terre confinanti con il mare.
Era considerata un'arte, tramandata spesso ai figli e ai nipoti.
Spingendosi verso nord i marinai cacciavano pesci di grande taglia
(balene, capodogli e trichechi) per la loro pelle, il loro grasso, le loro zanne.
Sulla terra ferma si pescava in fiumi e vivai appositamente realizzati.
Carlo Magno ad esempio, nel Capitulare de villis sollecita i funzionari
ad allestire o ad aumentare i vivai di pesci.
Questo perché il pesce, specialmente nelle città,
non era facile da reperire a causa della freschezza precaria
e dei trasporti difficili.

Alla chiusura del mercato del Venerdì, ai poveri venivano lanciati
dai proprietari dei banchi, i pesci invenduti;
questo non avveniva per generosità ma per legge, per evitare che al prossimo mercato
potesse essere rivenduto il pesce avanzato al mercato precedente.
Probabilmente nelle campagne (quelle lontane dalla riva del mare),
non si conosceva il pesce di acqua salata.
Nei primi secoli dopo la caduta dell'Impero romano,
l'economia medievale strettamente di tipo curtense,
dove ogni comunità rurale cercava di produrre
 tutto quanto le fosse necessario,
non consentiva per mancanza di prodotti
lo scambio sulle grandi rotte tra occidente e oriente.
Comunque nell' ottavo e nono secolo, nonostante
il persistente e pericoloso intralcio della pirateria saracena,
il commercio per grandi vie, svoltosi prevalentemente
lungo le rotte del bacino mediterraneo, procedette
quasi regolarmente data la grande richiesta di spezie
e capi preziosi da parte dei nobili e del ricco clero.

Tuttavia nella prima parte dell'alto medioevo, il principale tipo di mercato
e di conseguenza il principale tipo di commercio
fu quello delle fiere locali, dove gli abitanti dei villaggi,
esponevano i loro prodotti agricoli in eccesso
o delle piccole opere di artigianato.

Dal decimo al tredicesimo secolo, grazie a importanti scoperte
e miglioramenti nei campi dell'agricoltura e della nautica,
si assistette alla rinascita prosperosa del commercio.
Infatti, grazie al cambio di posizione dell'attaccatura dell'aratro,
che non strozzava più l'animale e alla utilizzazione del ciclo
triennale dei campi, i raccolti agricoli tornarono abbondanti
favorendo la crescita demografica e i prodotti in eccedenza.

Così, con la costruzione di nuove barche
(la schapa per il cabotaggio e la barca per l'alto mare)
sempre più veloci e alla risistemazione delle vecchie strade romane,
vi fu una seconda rinascita commerciale che portò alla lenta formazione
di una nuova classe sociale: la borghesia ovvero il mercante.
La rinascita commerciale dell'Europa coincise con l'affermarsi
delle Repubbliche marinare come intermediarie tra l'occidente e l'oriente.

Venezia, in particolare, favorita dalla prevalenza
dei porti adriatici su quelli tirrenici,
accrebbe sempre più saldamente il proprio prestigio,
garantito, tra l'altro, dalle facili comunicazioni con Pavia.
Infatti, nella città padana, massimo centro commerciale
occidentale italiano del tempo, convergevano
le tre più importanti vie di comunicazione col nord europeo
(Francia, Spagna, Germania, Olanda, Inghilterra).

Da Pavia, le merci francesi e germaniche partivano
verso l'Oriente, tramite Venezia o Bari.
Dalle regioni centrali dell'impero carolingio
una fascia di strade convergeva verso le foci del Reno,
costituendo un grande asse nord-sud.
Le comunicazioni est-ovest, all'interno dell'Europa,
erano invece assicurate da una pista che seguiva il tracciato
della strada romana Reims-Colonia.
Le merci che venivano trasportate, si distinguevano in «grosse» e «sottili».
Le merci sottili erano principalmente di alto pregio e di notevoli guadagni
come le perle e le pietre preziose, le scimmie, i profumi,
le spezie per la cucina, qualche materiale tintorio ecc...
I loro carichi erano costosi e pericolosi.
Le merci grosse erano i materiali per lo più agricoli
o arboricoli più significativi, in quanto erano generi di prima sussistenza.
I più importanti erano: il sale, il vino, il grano,
la lana, il cotone, gli schiavi.

I modi più diffusi per effettuare i pagamenti erano: i pagamenti
saldati in natura o in moneta, detti sistema opzionale
e i pagamenti dei debiti fissati soltanto ed esplicitamente
in una data quantità di moneta.
Per esempio negli statuti di Alessandria che riguardano il tardo Medioevo,
possiamo osservare come chiunque si recasse a quei tempi da un barbiere
dovesse pagare la rasatura o un denaro o un sestario di grano,
così notiamo come, anche nelle più irrilevanti operazioni quotidiane,
si adottavano i diversi tipi di pagamento.

Questo fa capire come all'epoca si concretizzava nella vita quotidiana
la distinzione fra "misura di valore" (ammontare del debito)
e "mezzo di scambio"(ciò che serviva per saldare il debito).
Nella maggior parte dei casi i "mezzi di scambio"
erano le monete metalliche, ma in altri casi questi erano rappresentati
da merci di ogni tipo:generi alimentari, spezie, stoffe, gioielli e animali.
Riguardo la "misura di valore" in uso,
dai documenti affiora che i debiti venivano espressi in:
solidi, denarii, mancusi o in termini analoghi, ovvero i nomi
delle monete metalliche che assumevano nomi differenti
a seconda delle città o delle regioni o dell'autorità
di chi le utilizzava (mercanti).
Il termine solidus indicava originariamente una moneta d'oro,
mentre dopo l'ottavo secolo fu usato anche per indicare dodici denarii.
Il denario, che derivava dalla dracma greca, divenne l'unità monetaria
per parecchie centinaia di anni, prima sotto i romani dove assumeva
il valore della 240° parte della libbra ( coniata da Carlo Magno
nell’ 800 con il valore di 20 soldi), poi fino al 1700, quando
 i Savoia la sostituirono con una moneta di rame del valore di due denari.
Tra tutti i tipi di pagamenti, il più diffuso era quello convenuto
e saldato in natura o in lavoro, ma questo fatto non significa
che la moneta non circolasse o che la moneta fosse scomparsa del tutto,
ma che questo sistema era semplicemente più vantaggioso
sia per i signori che preferivano riscuotere con merce di scambio,
sia per coloro che erano indebitati con il signore o con il re.
Nell'Europa dell'alto Medioevo il mercato non funzionava
né in modo continuativo né in modo efficiente e per questo motivo
la gente non potendo fare affidamento su di esso per acquistare
ciò di cui aveva bisogno, preferiva
l'uso del baratto  piuttosto che l'uso della moneta.

Ma assieme alla moneta, si diffuse anche un altro tipo di pagamento:
il versamento in banca.
Questo contratto veniva stipulato intorno al 1186 e veniva usato principalmente
per finanziare grandi imprese commerciali e marittime,
diffuse nel periodo delle crociate, ma ignote nel periodo feudale.
Invece di far viaggiare grosse quantità di denaro,
operazione pericolosa e faticosa,
il mercante depositava presso un banco il suo denaro
e si faceva dare in cambio alcune ricevute
che valevano come il denaro depositato.
I mercanti poi, che andavano per mare, avevano bisogno
di coprirsi dal punto di vista del rischio.
Così nacquero le prime assicurazioni che in qualche modo li tutelavano.
I bancari versavano a coloro che depositavano il denaro
anche interessi del 10%.
Nel documento si attestava quanto denaro veniva versato o prestato,
i nomi dei diretti interessati, la data di restituzione
del denaro e i nomi dei testimoni.
Questo accadeva soprattutto durante le fiere, quando i cambiavalute
si trasformavano in banchieri (chiamati così perché
svolgevano tutte le azioni finanziarie su un banco).

In Italia i primi ad accumulare ingenti fortune furono i Piacentini,
originari di Genova, ma capaci di controllare ampi commerci
e fiere (come quelle della Champagne).
Poco alla volta i bancari italiani si fecero conoscere anche
negli altri paesi vicini,dove furono soprattutto i toscani ad emergere.
Col tempo si formarono compagnie di banchieri così ricche
da fare prestiti al Papa o al Re anche se spesso andavano in fallimento
perché i Re non saldavano i debiti.
I banchieri guadagnavano in molti modi: prestavano ad interesse denaro
ai propri clienti anche se l’usura restava vietata dalla chiesa
(per questo veniva praticata dai cittadini non-cristiani, spesso da ebrei).
Ma ormai un tasso di interessi che non superasse il 20%
era ammesso nella pratica quotidiana.

 





Le immagini e le notizie sono prese dal web
il copyright è dei rispettivi autori