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GRAVIDANZA, MATERNITA',  CURA DEI FIGLI  

Durante il Medioevo  le gravidanze occupavano circa
la metà della vita delle donne maritate prima della quarantina.
L'intervallo medio tra due nascite era di circa ventuno mesi.
Per metà della sua vita coniugale, in teoria, la coppia
non avrebbe dovuto avere rapporti, per paura di danneggiare il feto,
per lo meno a partire dal momento in cui questo si muoveva:
violare questa regola era peccato.
L’assistenza era inesistente e la gravidanza non veniva vissuta
 come oggi, come un evento bellissimo, tutto da scoprire;
al contrario la gravidanza era una tappa obbligatoria della vita della donna.
Una delle grandi paure della donna del Medioevo era il parto.
. Non erano poche le donne che morivano o avevano complicazioni
che causavano danni permanenti.

Le levatrici che seguivano le gestanti avevano conoscenze limitate
e, solo a partire dal XIII secolo si poté praticare il cesareo,
che, comunque, veniva eseguito solo, su donne decedute.
Anche altri interventi più semplici come il taglio perineale,
la stimolazione delle doglie e l'uso del forcipe erano ancora sconosciuti,
quindi molto alto era il numero delle primipare che morivano di parto.
Il parto poi, doveva avvenire nel dolore, in quanto il dolore era vissuto
come una sorta di dovere; per dare alla luce una nuova vita, bisognava soffrire.
Infatti era solida la convinzione che il parto dovesse essere a tutti i costi
un evento doloroso, perché era giusto, era la punizione delle figlie di Eva,
Ogni tentativo di alleviare questo dolore era considerata una grave colpa.

La nutrice aveva il ruolo principale dell’assistenza al momento del parto
e della sorveglianza della gravidanza al suo svolgersi,
specie nei casi di gravidanze pretermine o con aborti.
Date le condizioni igieniche e la scarsità di conoscenze mediche
ogni complicanza era destinata ad evolvere nel 90% dei casi
nella morte sia per la madre che spesso moriva dissanguata,
sia per il bambino che al momento della nascita poteva contrarre
delle serie patologie e morire poco dopo.
Se la madre moriva la gente non sapeva che spiegazione darsi,
forse la madre aveva avuto quel figlio da un possibile amante
e allora Dio la puniva, forse la donna era maledetta,
qualcuno doveva averle fatto il malocchio o, forse ancora
la poverina era morta perché era malaticcia e non era il caso
di farle fare dei figli, era morta però facendo il suo dovere.
Se anche il bambino moriva era la vita, una febbre infantile
oppure nelle casate potenti si poteva pensare anche all’infanticidio.
Insomma, tutte le colpe e tutte le cause tranne quelle logiche!
La mortalità nel Medioevo era abbastanza alta ed era difficile
che un parto andasse a lieto fine, perché le malattie a trasmissione sessuale
erano una delle prime cause dopo la scarsa igiene e l’ignoranza.
Anche le malattie di natura ereditaria all’epoca potevano essere
alla base della mortalità infantile.
Per la madre le complicanze più gravi che potevano
portare alla morte, al momento del parto erano:
1-Emorragia post-partum
2-Non integrità della placenta e degli annessi fetali in quanto,
se il distacco non era completo
e rimanevano delle tracce ancora adese all’utero,
queste potevano essere fonte di sanguinamenti e infezioni.
3-Lacerazioni vaginali e perineali e del collo dell’utero
4-Ematoma puerperale (emorragie tardive)
5-Infezioni puerperali
6-Infezioni uterine post-partum
7-Embolie o trombi.
Non conoscendo né i mezzi per prevenire, né le complicanze in sé,
né i rimedi, la donna era abbandonata al suo destino.
Nei casi in cui il parto non avveniva a causa del decesso
 prematuro della madre, veniva praticato il taglio cesareo
che comportava la successiva benedizione della salma materna
e il battesimo immediato per il bambino perché era ferma credenza
che il battesimo lo avrebbe salvato dall’inferno.
Quando tutto andava bene e la donna partoriva,
per prima cosa le si faceva fare il bagno;
con l’aiuto della comare, si calava nuda in una tinozza
e se tra i presenti c’erano donne sterili, costoro s’immergevano
nella stessa vasca perché era diffusa la credenza che l’acqua
in cui s’era bagnata una partoriente, propiziasse la fertilità.
Il neonato veniva a sua volta lavato con acqua ed erbe aromatiche
o con vino rosso o con una mistura d’acqua e uova sbattute.
Poi la nutrice lo deponeva in una culla arricchita da nastri colorati.
La puerpera stava a letto almeno un mese e s’alzava solo
per cambiarsi e indossare le più belle camice del suo corredo.
Se era molto ricca la sua stanza era addobbata con tendaggi
e cortine di damasco e il suo letto ricoperto
di lenzuola ricamate e trapunte d’argento.
I colori più usati per questi addobbi erano il rosso, il verde, l’azzurro.
Davanti al letto era collocata una credenza colma di ogni ben di Dio:
frutta, dolci, vini in modo che gli ospiti, venuti a festeggiare
il lieto evento, potessero mangiare e bere a volontà.
Se il neonato moriva, durante il parto, si parava la camera di nero.
In quel caso il bambino, non battezzato, andava nel limbo,
un'anticamera dell'Inferno, appositamente studiato nel Medioevo.
Secondo la dottrina cristiana, il Limbo è il luogo dell’oltretomba,
separato dall’Inferno, riservato a coloro che muoiono
 senza peccato alcuno, tranne la macchia di quello originale.
Lì, come pena, vi è la privazione della vista di Dio.
Il battesimo avveniva dopo una decina di giorni
e si svolgeva in chiesa al cospetto dei padrini che erano almeno
una dozzina, ma potevano salire anche a cinquanta.
Il battesimo avveniva nel Battistero che aveva proprio questo scopo.

Ogni chiesa aveva il suo registro battesimale nel quale
il neonato veniva regolarmente iscritto,
anche se dapprincipio il registro non esisteva e si usavano
due urne in cui il prete deponeva una fava o una pallina,
nera per i maschi, bianca per le femmine.
La scelta del nome dei neonati spettava al padrino e alla madrina.
Gli si dava un nome che era di solito quello di un santo o di un martire
e un cognome che era quello della famiglia e spesso derivava
da una caratteristica fisica o morale
come ad esempio i Bonomi, i Boccaccio, i Piccolini.
Nella Roma del tardo medioevo si cominciò a scommettere
sul sesso dei bambini; gli allibratori facevano combutta
con le levatrici e le balie e alcuni diventarono molto ricchi.
Il gioco fu proibito dai Papi ma continuò a prosperare clandestinamente.
Il neonato veniva dapprima immerso tre volte nell'acqua battesimale,
ma siccome questa pratica non era esente da rischi .
si passò all’aspersione, che consisteva nel versare
acqua sulla fronte del piccolo.
Compiuti questi atti, il neonato veniva vestito di bianco
ed era pronto ad entrare nella comunità cristiana a tutto titolo.

Il battesimo del neonato veniva seguito da una cerimonia
di purificazione della madre che segnava, dopo alcune
settimane dal parto, il suo rientro nella vita sociale.
Naturalmente per il popolo la cerimonia era più semplice
ed ai padrini non era richiesta una preparazione meticolosa
come avveniva per quelli delle classi più alte, anche perché
 il duro lavoro delle campagne non lo avrebbe consentito.
Entrambi i rituali, per ricchi e nobili o per contadini e povera gente,
aveva proporzionalmente un costo elevato, anche se i preti dei contadi
accettavano di buon grado compensi in natura.

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Se una donna non era in grado di generare figli,
non c’erano né medici né tecniche diagnostiche per stabilire
il tipo di sterilità e la donna, specie nei piani alti della società,
poteva anche essere ripudiata per una più feconda.
La donna era  considerata come un forno
per fare dei bambini, una macchina che, se era rotta
o difettosa si poteva accantonare per una più funzionante.
Non era difatti inconsueto il caso di donne ripudiate
perché sterili, anche dopo molti anni di matrimonio.
In questo periodo la media di bambini per famiglia era 8-10.
Un matrimonio riuscito doveva essere ricco di figli anche
 perché i figli rappresentavano un investimento per la vecchiaia.
Per essere fertili, oltre a ricorrere a pellegrinaggi e voti,
le donne ricorrevano anche a pratiche magiche
Non si sa bene che cosa si facesse, esistono poche fonti al riguardo.
Si diceva che passeggiando sfiorassero di nascosto un sasso per terra,
simbolo del fallo; per liberarsi dalla "maledizione della sterilità,
facessero anche bagni con erbe aromatiche e tinture medicinali.....

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Per contro, durante il Medioevo, più che in passato, venne aperta
la strada ai mezzi contraccettivi. per evitare le gravidanze,
,soprattutto per donne che lavoravano nei bordelli o per l'adulterio.
Non si sa molto sui questi metodi, poiché venivano tramandati
oralmente di donna in donna.
Sappiamo comunque, che usavano i diaframmi di cera d'api
o le pezze di lino per bloccare la vagina (utilizzati in Ungheria e Germania),
a cui si aggiungevano quelli derivanti da vere e proprie superstizioni popolari
come il bere bevande fredde, rimanere passive durante il rapporto sessuale
oppure trattenere il fiato e saltare violentemente dopo il rapporto.

La necessità, per motivi economici, di controllare le nascite
era però impellente soprattutto nelle masse contadine,
che costituivano la maggioranza della popolazione.
Il numero dei figli doveva essere esattamente quello utile
per lavorare e sfruttare appieno la terra: uno di più
poteva voler dire la miseria più nera.

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Se una donna rimaneva involontariamente incinta ricorreva all'aborto.
Le conoscenze sull'aborto erano scarse e
i mezzi abortivi erano gli stessi del passato:
lavande interne, purghe, sale, miele, olio, catrame, piombo,
succo di menta, semi di cavolo, segale cornuta, rosmarino,
mirto, coriandolo, foglie di salice, balsamina, mirra, prezzemolo,
semi di trifoglio e perfino urina animale.
Il problema consisteva soprattutto nel riconoscimento precoce della gravidanza.
Molte donne capivano di essere incinte solo quando
il ventre cominciava a gonfiarsi.
Una gravidanza ad uno stadio avanzato rendeva ovviamente
più pericolosa la pratica dell'aborto.
Così l'alternativa più usata era l'uccisione del neonato o l'abbandono.
L'infanticidio, se scoperto, era considerato un grave delitto
e quindi duramente punito.
L’infanticidio assumeva talvolta l’aspetto di una morte accidentale,
come quella che poteva accadere per soffocamento
del neonato nel letto dei genitori.
Questa pratica assumeva l’aspetto di un infanticidio selettivo
 ai danni delle femmine, ritenute meno desiderabili dei maschi;
in questo modo, infatti, "morivano" più femmine che maschi.
Solo lo stato di povertà della madre veniva riconosciuto come attenuante,
in altri casi poteva anche essere punito con la pena capitale.
Spesso a causa della povertà i genitori vendevano i propri figli.
I bambini avevano pochissimi diritti tanto che,
se si doveva scegliere tra la vita del neonato
e quella della madre, era la vita della madre la più importante.
Anche se l'aborto era  pratica diffusa, fu affiancato dal metodo astinenziale
e dalla interruzione del coito, quest'ultimo però osteggiato da sant'Agostino.
Se la donna di casa, nonostante tutte le precauzioni,
rimaneva incinta, ricorreva agli abortivi e se, nonostante ciò,
fosse nato un bambino indesiderato (soprattutto nel caso di una femmina),
lo si abbandonava: tutto come nel passato.
Nel complesso il comportamento della Chiesa verso il fenomeno dell’abbandono,
come verso la schiavitù e la povertà, fu orientato verso l’accettazione
rassegnata di questi, come aspetti del mondo che andavano
 regolati e gestiti nel migliore dei modi.
Fu per questo che non ci fu mai da parte della Chiesa una esplicita condanna
dell’abbandono, neppure da parte di uno dei padri della Chiesa come S. Tommaso.
Nella società medievale, di forte impianto religioso, dove la preoccupazione
per la salvezza dell’anima era prevalente su quella del corpo,
l’impegno nel recupero dei bambini abbandonati era motivato soprattutto
da preoccupazioni di ordine spirituale e la salvezza fisica del bambino
ne era la logica conseguenza.
Una delle principali preoccupazioni della Chiesa, infatti, fu quella che
i bambini esposti fossero recuperati per essere battezzati;
se appena c’era il dubbio che non lo fossero e se questi venivano trovati
morti, nel dubbio, era vietata la loro sepoltura nei cimiteri consacrati.

Tuttavia le disposizioni di legge erano molto variabili, secondo i diversi
territori dell’Europa di allora, perché in alcuni di essi le norme
sull’abbandono prevedevano pene molto severe.
Al tempo della dominazione normanna in Sicilia la legge prevedeva
il taglio del naso per quelle madri che vendevano le figlie,
mentre nella Spagna era previsto il rogo.
Il Fuero Real castigliano del XIII secolo è molto severo nei confronti dei genitori
che causano la morte del figlio per averlo esposto e recita:
Chiunque esponga un figlio che poi muore perché nessuno se ne prende cura
deve essere punito con la morte egli stesso: causare una morte è lo stesso che uccidere”.
Ma nel codice castigliano che sostituì il Fuero Real, Las Siete Partidas,
veniva concesso ai genitori di vendere i figli per fame o miseria,
allo scopo di utilizzare il ricavato per mantenere in vita
il resto della famiglia ed è sconvolgente apprendere che lo stesso codice
consentiva ad un genitore, costretto dalla fame durante un assedio,
di mangiare un figlio (piuttosto che arrendersi senza il permesso del suo signore).
Alla madre invece era vietato vendere o mangiare un figlio (!).
Fenomeni di cannibalismo al danno di bambini sono descritti nel XIII secolo
in Sicilia e in Puglia durante una terribile carestia;
nel XIV secolo in Spagna, durante un lunghissimo assedio della città
di Toledo, gli Ebrei mangiarono le carni dei figli. (Cronaca ebraica).
Per tornare al solo fenomeno dell’abbandono, altri motivi erano
le deformità o la cattiva salute del bambino, anche perché si era convinti
che i bambini nati deformi o, comunque, cagionevoli in salute,
fossero il risultato di concepimenti avvenuti durante il ciclo mestruale,
l’allattamento o la Quaresima, comportamenti che erano vietati
dalla morale comune, mentre i parti gemellari
erano attribuiti a comportamenti adulterini
. Quest’ultima convinzione induceva la madre dei gemelli,
pur innocente, a liberarsi di uno dei due neonati esponendolo,
per non essere accusata di adulterio.
L’abbandono nel basso Medioevo era da attribuirsi anche a motivazioni
religiose: infatti non era infrequente il caso di genitori che, abbracciando
la vita religiosa, abbandonassero la famiglia, figli compresi.
Una nuova categoria di illegittimi venne a crearsi quando,
a partire dal XIII secolo, fu proibito il matrimonio ai preti
Ciò non portò ad una diminuzione del numero dei loro figli,
ma al fatto che, da quel momento, essi vennero considerati illegittimi
e non poterono più entrare negli ordini e nelle comunità religiose,
né contrarre matrimoni validi, né ereditare legalmente.
Ciò portò ad una rivoluzione culturale di grande impatto
sulla condizione religiosa e sul destino dei figli, un tempo legittimi, dei preti.
Nella seconda metà del XIII secolo il Vescovo di Liegi si era vantato
di aver generato addirittura quattordici figli maschi in ventidue mesi.
Ma dopo il giro di boa dell’imposizione del celibato, il generare figli,
dovette passare nell’ombra, portando spesso all’abbandono.
Anche l’antisemitismo fu una causa di abbandono, ma in questo caso forzato,
perché la legge ecclesiastica prescriveva che i figli nati da matrimoni misti
con mogli ebree, fossero tolti dalla custodia delle madri perché
“non trascinassero i figli nell’errore di una falsa fede”.
D’altro canto sono descritti episodi di ebrei che, durante i pogrom,
uccisero i figli per impedire che venissero battezzati.
Un altro fenomeno non infrequente fu quello dell’affidamento,
che era una via di mezzo fra l’abbandono e la scelta di far allevare
un bambino lontano dalla famiglia naturale, da una famiglia che
se ne prendesse cura e lo amasse come un figlio suo.
Nel corso dell’XI secolo infine si videro nascere organizzazioni ispirate
all’esercizio della carità che andarono a sostituirsi alle funzioni
benefiche delle chiese parrocchiali e dei monasteri.
Queste organizzazioni furono sempre più assunte da ordini religiosi spontanei
fondati per nutrire gli affamati, curare i malati, accogliere i senzatetto
e i bambini abbandonati, animate perciò da uno spirito di volontariato
che andava oltre l’accoglimento passivo del neonato,
trovato sulla soglia di un monastero.
Esemplare a questo proposito fu la figura di Guido di Montpellier
che nell’XII secolo (1170) fondò nel sud della Francia
l’Ordine di S. Spirito che aprì case per gli esposti ed orfani.
La casa madre dell’Ordine fu in seguito trasferita a Roma
per volontà di papa Innocenzo III e l’Ospedale di S. Spirito,
nuova Casa madre dell’ordine, fondato nel 1198, fu dotato della rota.

Si racconta che negli ultimi anni del 1100 papa Innocenzo III assistette
alla "pesca" nel Tevere dei corpi di 3 neonati annegati;
ne rimase talmente sconvolto che stabilì che un apposito reparto
dell'Ospedale di S. Spirito, fosse dedicato ai bambini abbandonati.
Il racconto forse è immaginario, ma purtroppo abbastanza plausibile.
Era infatti una pratica assai diffusa, fra le prostitute
che andavano incontro ad una gravidanza indesiderata,
quella di disfarsi dei figli appena nati gettandoli nel Tevere.
Ed ecco l'idea della ruota degli esposti. una sorta di barile ruotante,
cavo, in cui dall'esterno veniva deposto, in forma anonima, l'"esposto",
cioè il neonato di genitori ignoti (da cui il cognome "Esposito" e similari).
Al suono di una campanella veniva poi fatta girare la ruota,
prelevando così, dall'interno, come in una sorta di portavivande,
il neonato, per affidarlo alle cure dei frati.
Spesso insieme al neonato veniva deposta una moneta spezzata
o comunque qualcosa che potesse consentire in futuro
un eventuale ricongiungimento e doveva anche essere comunicato
se il bambino fosse già stato battezzato o meno.
Le ruote si diffusero rapidamente in Francia, Italia, Spagna, Grecia,
ma non nei paesi germanici e anglosassoni dove cadaverini di feti e neonati
uccisi nei modi più diversi, continuavano ad essere trovati
nelle fogne e nelle discariche di questi ultimi paesi.
Non si deve però credere che la società medievale in genere
e i genitori, fossero poco affezionati ai figli o addirittura
indifferenti al loro destino.
Molti educatori medievali consideravano, ad esempio, giocattoli e giochi
elementi essenziali per il corretto sviluppo dei bambini
(la pratica ludica era incoraggiata anche nelle sedi religiose).
Numerose sono le pitture in cui sono raffigurati giochi.
Dei giocattoli medievali, purtroppo, restano poche tracce
in quanto erano costruiti prevalentemente in legno o argilla;
tuttavia l'iconografia e le fonti scritte ci dicono che
i bambini medievali giocavano con bambole, sonagli,
mulinelli ad alette, barche in miniatura,
cavalieri in piombo o in terracotta

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Nel Medioevo l’uomo vedeva la gravidanza della moglie
alla stregua di una malattia, per questo ben si guardava
dal cedere al desiderio.
Se la donna allattava, la coppia doveva astenersi,
dai rapporti sessuali perché la nascita di un altro bambino,
rischiava di abbreviare l’allattamento e dunque la vita, del fratello maggiore.
Le coppie, però, non sempre rispettavano queste proibizioni
e riguardo ai rapporti durante il ciclo mestruale delle donne
il grande predicatore Bernardino da Siena ed il mercante Paolo da Certaldo
ricordano, l’uno alle donne e l’altro agli uomini, che
"se si generassero in tal tempo, nascono poi figlioli mostruosi o lebbrosi",
figli "malatti o tignosi", "e mai la creatura generata in tal tempo,
non è senza grande e notabile difetto";
la macchia sarebbe ricaduta sul padre che non aveva rispettato il divieto:
"E anche puoi fare male a te grandissimo…".
Ai medici si ricorreva di rado, solo in casi estremi, la spesa era infatti,
ingente e la diagnosi poi, per lo più incomprensibile per l’ammalato
e la sua famiglia e adornata di belle parole, non si basava sull’osservazione
del corpo, ma sulle nozioni apprese dai libri (le prime dissezioni anatomiche
furono eseguite a Bologna alla fine del XIII secolo e solo gli anatomisti
del Rinascimento modificarono veramente le concezioni medievali),
nozioni che a loro volta si basavano sul sapere antico, sugli antichi trattati
di Ippocrate o Galeno accessibili solo tramite traduzioni spesso fuorvianti;
spesso i medici (come anche i copisti che glossavano i manoscritti)
giungevano al significato di un termine dall’etimologia,
secondo il principio tutto medievale per il quale i nomi sono conseguenza delle cose
(nomina sunt consequentia rerum) e visto che il medioevo non conosceva il greco
antico spesso la stessa etimologia era sbagliata o anche inventata ad hoc.
Né deve stupire che un’epoca gerarchica e teocentrica come quella medievale
si cercassero nella Sacra Scrittura risposte anche a questioni mediche
vedendo, ad esempio, gli organi del corpo femminile, come “progettati”
da Dio al solo fine di procreare, unica finalità assegnata
alla donna dal Creatore e dalla Scrittura.

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Per quanto riguardava i figli, il primo dovere della moglie
era metterli al mondo, "generare figli in continuazione fino alla morte".
Non a caso il termine "matrimonio" indica le funzioni materne
nei confronti dei figli, al contrario del termine "patrimonio"
che si riferisce al rapporto maschile per i beni materiali.
Col dovere di generare figli, incombeva come una condanna
la paura della sterilità, il timore di generare
figli malati o deformi, l'ossessione dei figli illegittimi.
Suonerà strano ma la madre che amava i figli, non era ben vista
e anzi era condannata dai chierici, perché
anche se il suo amore è più forte e costante di quello paterno,
certamente è meno nobile perché non razionale.
Per questo motivo, dicevano, i figli amano di più il padre
perché riconoscono in lui la loro generazione
e la fonte di beni che sono destinati a ereditare.

Per la cura dei bambini le classi elevate ricorrevano alle balie,
per i ceti inferiori le madri accudivano personalmente i figli,
pur con l'aiuto di parenti e servi, anche perché il lavoro
veniva prima della cura dei figli
Non a caso erano soprattutto i bimbi dai 2 ai 4 anni
a subire incidenti anche mortali, proprio perché poco seguiti.
Già da quattro anni i bambini potevano essere chiamati a collaborare
nei lavori di casa, così le donne potevano già contare
su un alleggerimento del lavoro.
La madre aveva il compito di sorvegliare i figli,
soprattutto se femmine, tenendole lontane dalle tentazioni,
garantendone la castità, mentre i patri erano responsabili
dei figli maschi una volta che uscivano dall'infanzia.
Comunque, nobili, borghesi o contadine, le madri dovevano innanzi tutto
insegnare a servire Dio, a dire le preghiere e a reprimere il peccato;
quindi  esse erano costantemente impegnate a correggere i figli,
soprattutto le figlie che dovevano imparare fin da subito
ad essere mansuete e prudenti, per essere preparate
ad entrare in un mondo maschile che le voleva così.
Secondo la morale medioevale, le donne dovevano uscire poco
perché le uscite dalla casa e dai monasteri erano molto pericolose.
Nelle piazze e nelle strade, nel percorso che da casa porta alla chiesa,
la donna poteva essere vista e quindi suscitare negli uomini
desideri di lussuria, rischiando di compromettere quella castità
che per tutti (padri, mariti, chierici) è l'unico
bene supremo delle donne, seminando disordine
e discordia nella famiglia e nella comunità.
Preoccupazione maggiore suscitavano le donne che
partecipavano alle feste, danze, riunioni, spettacoli in quanto
in queste occasioni, le donne esibivano la loro ricchezza,
il prestigio e l'onore della famiglia, ma bastava
uno sguardo più acceso o una mossa più ardita
perché ricchezza e onore corressero seri rischi.
Bisognava dunque insegnare alle donne un comportamento pubblico
composto e pudico: non divertirsi troppo, mangiare poco,
danzare con compostezza, muoversi con misura.
Irrequiete nel corpo e nell'anima le donne dovevano essere
dunque custodite, represse, sorvegliate, rinchiuse, protette.
L'uomo esercita il potere, la donna esegue gli ordini ricevuti.

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pagina 3 La Morte

 





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