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LA MORTE

Nel Medioevo tutto era pubblico, anche la morte.
Al capezzale di un moribondo si davano convegno i parenti,
gli amici e i preti che non lo abbandonavano un istante,
specialmente se si trattava di un ricco.
Tutti pregavano, cantavano e recitavano salmi.
Subito dopo la morte si preparava la sepoltura alla quale attendevano
gli stessi familiari perché i becchini comparvero solo alla metà del Trecento,
dopo la grande epidemia di peste che nel 1348 decimò la popolazione europea.
Presso i romani avevano funzionato le pompe funebri ma coi secoli bui
se ne era persa la traccia.

Il morto veniva denudato, calato in una vasca e lavato
con acqua calda profumata di salvia e di altri aromi.
Le esequie tributate ai ricchi erano molto solenni:
il corteo funebre s’apriva con una banda di suonatori di flauto,
corno e tuba seguiti dalle prefiche, vedove o zitelle
che piangevano su ordinazione e dietro compenso.
Venivano poi i parenti del morto e le donne esprimevano il loro dolore
strappandosi i capelli, lacerandosi le vesti e lamentandosi rumorosamente.
Alcune, in preda a crisi isteriche, si gettavano a terra,
strabuzzavano gli occhi, roteavano la testa fino quasi a svitarla,
s’avventavano contro un muro o cercavano di sradicare un albero.
Non era raro il caso che un funerale mietesse qualche vittima .
Anche un funerale poteva diventare una sorta di spettacolo pubblico;
se il defunto era degno di particolari onori, poteva essere salutato
da una processione con bandiere e cavalli bardati, uomini e donne
di tutte le classi nei loro abiti migliori.
La dipartita era prima annunciata dai gridatori dei morti a cavallo,
seguiva poi un grande pranzo nella casa del lutto e poi il rito funebre,
con costi e numero di partecipanti variabile a seconda
della disponibilità economica della famiglia del defunto

In segno di lutto i Romani indossavano abiti scuri e quest’uso fu conservato nel Medioevo.
Le donne smettevano le vesti chiassose e attillate e infilavano
ampi mantelli neri con cappuccio; si coprivano il volto
con veli bianchi e si cingevano le tempie con bende dello stesso colore.
Dopo il funerale si celebrava un banchetto.
Riguarda i luoghi ed i modi della sepoltura, gli antichi avevano separato
i luoghi riservati ai viventi da quelli destinati ad accogliere i defunti
che si trovavano fuori dalle città.
Col Cristianesimo l'usanza cambiò, in principio perché si desiderava
essere sepolti ad sanctos (vicino ai santi) ovvero accanto
alle spoglie dei primi martiri per esserne protetti.
La costruzione di basiliche intorno alle tombe dei santi
e poi la fondazione degli edifici sacri sulle reliquie,
insieme all'espandersi dei centri urbani, fece presto cadere
la separazione tra i luoghi destinati ai vivi e quelli ai morti.
Dopo un certo periodo il morto veniva riesumato e le sue ossa finivano negli ossari.
Non importava quanto si fosse ricchi, la sorte era la stessa per tutti.
Non c'era insomma l'idea che i resti mortali dovessero avere una loro "casa"
distinta per l'eternità; il corpo era affidato alla chiesa
e non importava dove fosse, solo che rimanesse nel sacro recinto.
Qui i corpi restavano in somno pacis fino al giorno
del Giudizio universale atteso alla fine dei tempi.
Le iscrizioni funerarie ed i ritratti (il ritratto nasce
come ricordo dello scomparso) erano frequenti nell'antichità
e fino all'inizio dell'epoca cristiana,
verso il V secolo iniziano a scomparire.
In perfetta sintonia con l'atteggiamento della sepoltura ad sanctos
si ha di fatto una sepoltura anonima.
Le iscrizioni ritornano nel XII secolo, dapprima sulle tombe dei personaggi illustri.
Anche l'effige ricompare, dapprima è astratta, idealizzata
il beato, l'eletto, riposa in attesa della resurrezione)
per poi farsi sempre più realistica fino al calco preso sul volto del morto.

In questo processo si esprime quindi il bisogno di individualizzare
il luogo della sepoltura e soprattutto tramandare il ricordo della persona.
Questo bisogno si esprime anche con l'altra diffusissima pratica:
i servizi religiosi ordinati nei testamenti e assicurati
con generose elargizioni di denaro ai monasteri ed alle chiese.
L'arte funeraria del Trecento ricorderà lo "spettacolo" delle esequie,
tramandando una sorta di sacra rappresentazione intorno al morto.
Il sarcofago diventa il letto di parata che ha ospitato la salma,
una statua giacente sulla tomba rappresenta il morto a dimensioni naturali.
Tutto questo non deve stupire anche perché la morte faceva parte
dell’esperienza quotidiana molto più di quanto ne sia parte oggi;
la mortalità infantile era altissima (il 10/20% dei bambini moriva entro i 10 anni),
quasi ogni donna prima o poi passava per l’esperienza della perdita di un figlio
e molto alta era la morte per il parto o le sue conseguenze,
un uomo di sessant’anni era considerato vecchissimo.
 





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