Privacy Policy MEDIOEVO PERSONAGGI FAMOSI: Federico II parte seconda


 
 


 

FEDERICO II

La vita e le opere

Il piccolo Federico trascorse la sua infanzia a Palermo,
vagabondando per le strade,  con gli amici della Kalsa e della Vuccirìa
con cui amava giocare e dire le parolacce; le sue abitudini scostumate
erano poco consone ad un ragazzo che, sebbene re solo di nome,
era destinato a reggere le redini del potere del mondo.
I suoi occhi  vedevano il popolino alle prese con la miseria
ed i tedeschi rubare e dilapidare ogni ricchezza.
Crescendo in quelle condizioni di strada, il fanciullo imparò
  usi, costumi e lingue delle popolazioni che coabitavano nella città:
 siciliani, saraceni, normanni, greci, tedeschi ed ebrei.

Cresceva forte nel corpo, abile nell’uso delle armi, bravo a cavalcare;
soprattutto osservava la natura e quanto lo circondava e, nel suo girovagare
per i boschi che circondavano Palermo, restava affascinato
da tante varietà di piante, uccelli ed animali.
Aveva un amore innato per la cultura e molto lo aiutò il contatto con
i musulmani che formavano uno strato ampio della popolazione.
Dal suo precettore Guglielmo Francesco imparò il latino e
da Gregorio da Galgano le scienze naturali;
studiò i classici arabi e cominciò a conoscere l’Islam.
L’ambiente influì sull’indole di Federico e l’atmosfera cosmopolita
che lo circondava forgiò in lui tendenze intellettuali e politiche
difformi dal suo tutore Papa Innocenzo III.
Da uno scritto anonimo risalta nella figura di Federico un eccezionale intuito
ed una ostinata volontà, insofferente verso ogni subordinazione.
Ancora fanciullo lesse l’opera del geografo prediletto
da suo nonno Ruggero II, Ibn ’ Idris, che affermava:
"Diciamo dunque che la Sicilia è la perla del secolo
 per abbondanza e bellezza; primo paese al mondo
 per bontà di natura e antichità d’incivilimento.
Vi vengono da tutte le parti i viaggiatori ed i trafficanti
delle città e delle metropoli, i quali tutti a una voce la esaltano,
lodano la sua splendida bellezza, parlano delle sue felici condizioni….
E veramente i re di Sicilia vanno messi innanzi di gran lunga
a tutti gli altri re, per possanza, per gloria e per altezza dei propositi".

Abu Abdallah Muhammed ibn Muhammed ibn Abd Allah ibn Idris,
noto come Al Idrisi o più semplicemente come Edrisi,
era un geografo arabo che era stato incaricato
da Ruggero II, di scrivere un trattato di Geografia,
il cui titolo significa, in italiano,  all'incirca:
“Il piacere di andarsene in giro per il mondo”
o più semplicemente "Il Libro del Re Ruggero".
La stesura del libro durò all'incirca 15 anni
e fu terminato nel 1154, anno della morte di Ruggero II.
Al Idrisi era uno strano geografo, non si limitava a fare
mappe e rotte, raccontava anche usi e costumi dei popoli.
Ecco cosa diceva, ad esempio, a proposito di Trabia:
“A ponente di Termini Imerese vi è l'abitato di Trabia, sito incantevole,
ricco di acque perenni e mulini, con una bella pianura e vasti poderi
nei quali si fabbricano vermicelli in quantità tale da approvvigionare,
oltre ai paesi della Calabria, quelli dei territori musulmani e cristiani,
dove se ne spediscono consistenti carichi”.
La parola  “vermicelli” è la traduzione di “triyah”
ovvero “cibo di farina a forma di fili”.
Questo significa che nel Sud Italia, già nel 1150 e cioè prima del ritorno
di Marco Polo dalla Cina (1256), era nota la pasta secca in fili.

Ecco invece cosa dice il geografo arabo Ibn Gubayr di Palermo:
"Città antica ed elegante, splendida e aggraziata, ci appare
 con aspetto allettante: superba tra le sue piazze e i suoi dintorni
che sono tutti un giardino; graziosa nelle strade maggiori e minori,
affascina dovunque per rara bellezza del suo aspetto;
stupenda città che ricorda Cordova per lo stile,
coi suoi edifici tutti di pietra intagliata.
Un limpido fiume la divide e acque purissime
sgorgano da quattro fontane sulle sue rive.
I palazzi del re circondano il centro della città come monili
intorno alla gola e al seno di una bella fanciulla, così che il sovrano
può sempre, attraversando palazzi e giardini amenissimi,
passare da un punto all’altro della capitale".

Questa era la città che vide Federico fanciullo.
Una città cosmopolita, dove accanto alle numerose moschee
sorgevano chiese e sinagoghe.
I palazzi ricordavano lo stile bizantino ed accanto
ai cupi e mastodontici castelli medioevali
sorgevano giardini esotici ricchi di sole e palmizi.
Grandissima era l’eredità che i  normanni avevano lasciato in Sicilia.
A Federico non restava  che, superate le difficoltà contingenti
dovute alle sua tenera età, continuare l’opera  interrotta
dalla morte prematura del padre Enrico VI e della madre Costanza.

La conquista della Sicilia da parte dei normanni, nel 1091,
aveva ridotto la popolazione musulmana che vi abitava da secoli,
in quasi servitù, ma Ruggero I e suo figlio Ruggero II
conobbero molto presto la grande civiltà dei conquistati
e riuscirono ad amalgamare con intelligenza i due popoli,
assorbendo quanto di meglio poteva offrire il loro sapere orientale.
Nel 1130 Ruggero II era stato incoronato re nella
 splendida Palermo e dopo l’unificazione della Sicilia
alla Calabria ed alla Puglia, ebrei, normanni, greci e arabi
avevano imparato a convivere pacificamente,
mantenendo proprie leggi ed usanze.
Palermo era diventata la capitale del regno più ricco d’Europa
e Ruggero II, nello splendido mosaico della chiesa della Martorana,
si era fatto rappresentare, quale imperatore bizantino,
nell’atto d’essere incoronato direttamente da Dio.

La cultura greco-bizantina aveva, infatti, un notevole influsso
e lo stesso Ruggero II si era formato in un ambiente
in cui si parlava e si scriveva in lingua greca.
I successori, Guglielmo I e Guglielmo II, non furono da meno,
cosicché Palermo divenne una città da "Mille e una notte",
con lussuosi palazzi, ville sempre fiorite e fontane,
mentre la corte siciliana fu centro di cultura e di sapere.
Furono tradotti in latino Aristotele, Tolomeo e Platone,
trattati di geografia, di matematica, di retorica, di astronomia.
Cospicua fu la circolazione dei codici bizantini
e fu coltivato persino il papiro, proveniente dalle terre orientali,
 indispensabile per la scrittura, prima della pergamena.
Guglielmo II, che amava vestire all' orientale, soleva dire:
"Che ognuno si rivolga al suo dio.
In pace è il cuore di chi crede al proprio dio".
L’incontro tra popoli di diversa estrazione è sempre stato
l’elemento fondamentale dell’evoluzione umana e non v’è dubbio
che la Sicilia, per la sua posizione geografica strategica,
è stata uno degli scenari per questi appuntamenti storici,
come, appunto, la fusione dei barbari normanni venuti dal nord
e le civiltà di Roma e dell’orientale Bisanzio.
L’epicentro di questo scenario fu l’antica Palermo.
E non c’è da stupirsi se ancora oggi Palermo e non solo,
mostra gli splendori di quell’epoca da fiaba:
El Kasar, la via che porta al castello, la bella Cattedrale,
il Palazzo dei Normanni con la stupenda Cappella Palatina,
la Zisa, castello arabo da fiaba, l’incredibile Duomo di Monreale,
dove campeggia l’imponente figura del Cristo "Pantocrator"
(Signore di tutte le cose), il Duomo di Cefalù.

In una lettera del 1208 Innocenzo III descrisse Federico con queste parole:
"La statura del re non è piccola, ma neppure superiore a quella che la sua età richiede.
L’Autore universale della natura gli ha dato membra robuste in corpo solido.
A ciò aggiungi una maestà regale, un volto e un tratto maestoso,
uniti ad un aspetto gentile e bello: fronte serena, occhi brillanti,
viso espressivo, animo ardente e ingegno pronto",
e aggiunse, con benevolenza che nel giro di qualche anno scomparve
per lasciare il posto al rancore e al malanimo:
"è insofferente d'ammonizioni, si prende l’arbitrio d'agire
secondo la sua libera volontà e stima vergognoso per sé
 o d'essere retto da un tutore o di essere considerato un ragazzo".
Una quindicina d'anni dopo il cronista Salimbene da Parma, coevo di Federico
e non certo un suo agiografo, osservava a proposito del fanciullo
ormai cresciuto e incoronato imperatore:" ...era un uomo scaltro,
avaro, lussurioso, collerico e malvagio.
Di tanto in tanto tuttavia rivelava anche buone qualità,
quando era intenzionato a fare mostra della sua benevolenza e liberalità:
allora sapeva essere lieto, amabile, pieno di grazia e di nobili aspirazioni.
Leggeva, scriveva, cantava e componeva melodie.
Era bello e ben fatto, seppure di non alta statura".

Federico II ebbe quattro mogli: le prime tre gli furono imposte
dalla ragion di Stato, mentre l'ultima fu l'amore della sua vita
con la quale visse un rapporto avvolto dal mistero, fra storia e leggenda.
La prima moglie fu Costanza d’Aragona che Federico sposò
all’età di quindici anni nel 1209 (lei aveva circa 25 anni ).

Al matrimonio fu quasi costretto da papa Innocenzo III, il tutore
che la madre Costanza d’Altavilla, in punto di morte, gli aveva assegnato.
Con questo matrimonio il pontefice intendeva affiancare al giovane delfino,
una donna religiosissima, affidabile, in grado di indirizzarlo
sulla via dell’obbedienza verso l’autorità papale.
Federico accettò l’imposizione "obtorto collo" ma non modificò la sua vita.
Amava molto la caccia soprattutto la caccia col falcone che
per lui rappresentava da un lato una manifestazione simbolica del potere
legata a precisi rituali e dall’altro uno svago, anzi, una vera e propria passione
che coltivò per tutta la vita, oltre che un mezzo per conoscere meglio la natura.
Egli non si contentò della sola pratica di questo sport,
ma volle conoscere tutto e si documentò leggendo ciò che fino allora
si conosceva degli uccelli e della caccia con i rapaci;
convocò alla sua corte molti abili falconieri mediorientali
ed introdusse l'uso dell'azione tranquillante del cappuccio
in sostituzione alla  tecnica araba di "cigliare",
cioè cucire le palpebre dei rapaci per poi allentare gradualmente
la chiusura della sutura con l'avanzare del livello di addestramento.

In pratica aprì la strada della falconeria nel mondo occidentale,
concepita nel rispetto del rapace e scrisse anche un libro:
“De arte venandi cum avibus”.
L'imperatore voleva forse solo scrivere un testo per l’addestramento
alla caccia dei rapaci,  ma la padronanza del problema ed
il metodo scientifico adottato, gli consentirono
 di produrre un vero e proprio trattato di ornitologia.
L’opera è divisa in due parti: la prima, corredata da 500 miniature,
presenta circa ottanta esemplari di volatili che possono essere
catturati dai rapaci e ne descrive le abitudini, l'aspetto fisico,
i modi di difesa, le tecniche di volo, tutte conoscenze indispensabili
per addestrare con successo un falco;

  la seconda parte, utilizzando minuziose descrizioni e miniature,
illustra le varie fasi dell'addestramento del falco
con tutte le specifiche attività del falconiere.

Dalla lettura di questo trattato traspare un Federico scienziato
 e naturalista che dedica molto del suo tempo all'osservazione degli uccelli.
Per far questo egli si recava spesso a San Lorenzo in Pantano, presso Foggia,
dove realizzò un parco dell'uccellagione, alle saline del Gargano, nei pressi
dell'attuale Margherita di Savoia, ove ancora oggi sostano gli uccelli migratori,
a Salpi, l'attuale Trinitapoli, ove c'era una vera e propria oasi
ed in altri luoghi della Capitanata, nei boschi vicino Melfi in provincia di Potenza.
Purtroppo il manoscritto originale dell'imperatore è andato perduto
durante la disfatta di Parma del 1248; quello che ci è pervenuto
è una copia redatta dal figlio Manfredi dopo il 1258.

Costanza d'Aragona gli portò in dote trecento cavalieri, grazie ai quali
Federico II riuscì a riaffermare i sui diritti in Germania,
sconfiggendo l'usurpatore Ottone IV di Brunswick
e ripristinando pace ed ordine.
Dall’unione nacque Enrico VII, un uomo che assunse nei confronti del padre
atteggiamenti di competitività prima e di aperta sfida poi,
e morì, forse suicida, mentre era prigioniero nelle carceri imperiali.

Federico, amava molto gli scherzi e si dice che giocò un tiro birbone
anche al nonno Ruggero II sottraendo dal Duomo di Cefalù
due bei sarcofagi di porfido rosso, facendoli spostare
nella Cattedrale di Palermo, come ultima dimora per sé e per la moglie.

 Dopo la morte del Papa, avvenuta nel 1216,
Federico si sentì libero delle sue azioni; era re di Germania,
Sicilia e Puglia e poteva muoversi politicamente.
Per prima cosa riordinò il Regno di Sicilia a lui prediletto,
elesse suo figlio Enrico re dei Romani e nel 1220
si fece incoronare ufficialmente imperatore a San Pietro.

Costanza morì nel 1222 e fu seppellita nella Cattedrale di Palermo.


Nel 1223 la capitale fu trasferita da Palermo a Foggia,
poiché la posizione geografica assegnava alla Puglia
un ruolo strategico anche rispetto ai territori dell'impero.
Federico amò particolarmente la terra di Puglia che chiamò
"pupilla dei nostri occhi" e in questa terra fece costruire
o rimaneggiare un gran numero di castelli (circa 200).
Divisa in quattro province per nulla omogenee:
Capitanata, Terra di Bari, Terra d'Otranto e Basilicata,
l'Apulia fu particolarmente coinvolta dal piano di riorganizzazione.
Un ruolo fondamentale nella gestione dei vastissimi latifondi demaniali
svolsero sia le masserie regie, strutture agro-pastorali, che le foreste,
da cui si ricavava il legname impiegato nella costruzione dei castelli.
Non minore cura fu dedicata alle coste, inserite nel piano 
di revisione commerciale, che riservò molta attenzione ad alcune città,
fra cui Brindisi, sede di un importante cantiere.
Nella sua Corte, specchio del mondo, Federico accolse
saraceni con turbanti e scimitarre, matematici come il Fibonacci
astronomi, musici, poeti, medici, legislatori, canonisti e filosofi.

In questo periodo sorsero la Scuola poetica siciliana
e l'Università di Napoli (1224), vero centro culturale europeo;
si dettarono nuovi regolamenti per la Scuola medica salernitana,
elevandola ad Accademia ed istituendovi la prima cattedra di Anatomia.
Alla sua corte accolse anche i poeti e i minnesanger (poeti e trovatori)
tedeschi e albigesi, che fuggivano dalla Provenza (Francia)
perchè perseguitati come eretici dal Papa.
La Corte di Palermo costituì così uno straordinario centro
culturale e scientifico come non se ne ebbero per secoli.
Federico II conosceva e apprezzava fin da fanciullo il canto
(il padre, Enrico VI, si circondò di poeti
ed era egli stesso un discreto cantore di poesia cortese)
Costanza d’Aragona poi, educata alla lirica musicale
presso la corte paterna, aveva portato con sé a Palermo
trovatori e canzoni provenzali.
Un ambiente familiare dunque dotato di una vena lirica che Federico II
trasmise a tutti i suoi figli e in particolare: al primogenito Enrico VII.

Dopo la morte di Costanza, Federico su consiglio di Ermanno Von Salta,
sposò, nel 1225, l'appena tredicenne Jolanda di Brienne,
figlia di Giovanni, un valoroso crociato che le avrebbe lasciato in eredità
la Corona di Gerusalemme, a cui Federico aspirava.

Le nozze erano state sollecitate da papa Onorio III
in vista della VI Crociata in Terra Santa.
Nell'agosto 1225 Federico inviò a Gerusalemme venti galee
per accompagnare in Italia la tredicenne Jolanda col padre.
L’unione fu benedetta il 9 novembre 1225 nel duomo di Brindisi.
ed ebbe un avvio decisamente difficile.
Jolanda era immatura, bruttina, poco all’altezza
di  un trentenne colto, avviato alla gloria.
Giusto la prima notte di matrimonio, Federico trovò il modo
di consolarsi e lo fece con la cugina della moglie, Anais,
una dama di compagnia ventenne, procace, disinibita.
Quando il suocero Giovanni di Brienne apprese l'accaduto,
si offese e si rivolse al pontefice per avere soddisfazione.
 Il papa si guardò bene dal tediare Federico ed evitò lo scandalo
limitandosi ad indennizzare il deluso padre con un remunerativo incarico.
Jolanda diede al marito due figli: Margherita, morta in tenerissima età
e Corrado che successe al padre come imperatore con il nome di Corrado IV
Jolanda morì appena sedicenne,  ad Andria, di setticemia, dieci giorni dopo
aver dato alla luce Corrado e venne sepolta
nella cripta sottostante la Cattedrale di Andria.

Alla morte di Onorio III (1227) il successore Gregorio IX pretese
che Federico tenesse fede al giuramento di organizzare una Crociata,
minacciando di togliergli la corona del Regno di Sicilia.
In tutta fretta, Federico radunò nel porto di Brindisi, nell'agosto del 1227,
42.000 Crociati, ma una epidemia ( così disse Federico) ne impedì la partenza.
Il papa allora scomunicò l'Imperatore che finalmente si decise
a partire per Gerusalemme nel giugno del 1228, dando vita alla VI Crociata,
detta appunto "degli scomunicati".

Federico conquistò senza spargimenti di sangue Gerusalemme
e se ne fece incoronare Re nel 1229.
In sua assenza intanto erano scoppiate ribellioni ovunque, fomentate
da Giovanni di Brienne suo suocero, appoggiato dal Papa Gregorio IX
che gli aveva messo a disposizione un esercito.
Federico fu così costretto a tornare in gran fretta in Italia
dove nel giro di poche settimane ridusse i ribelli all'obbedienza.
Fu in questa occasione che chiamò Andria "fidelis",
perchè fu una delle poche città rimastagli fedele.
La politica amministrativa e le costituzioni legislative di Federico,
che anticipavano gli ordinamenti delle moderne monarchie,
non erano ben accette al Papa che vedeva pericolosamente minato
il proprio potere politico ed economico.
Persino suo figlio Enrico, Re di Germania, gli si rivoltò contro.
Federico fu allora costretto a spodestarlo e condannarlo a morte,
mettendo al suo posto Corrado IV che  nominò anche  suo successore.

Nelle Costituzioni di Melfi, emanate nel 1231, alcuni titoli riguardano
la professione medica e le disposizioni di polizia sanitaria.
L'attività professionale dei medici era regolata per legge.
Ad ogni tipo di prestazione sanitaria corrispondeva un onorario.
Le visite fuori città davano diritto ad un costo aggiuntivo.
Il medico doveva fornire all'ammalato due consulti al giorno
e uno, a richiesta, nel corso della notte.
Ai poveri, consulto gratuito.
Nel "Liber Augustalis", come vennero subito ribattezzate
le Costituzioni Melfitane, abbiamo la prima raccolta di leggi
riguardanti la salute delle popolazioni nel mondo occidentale.
Potremmo suddividerle, oggi, in due grandi argomenti:
norme di deontologia professionale e norme di polizia sanitaria.

Per diventare medici occorreva una minuziosa preparazione:
tre anni di logica e cinque di studi specifici da svolgersi
nell'Università di Salerno, l'unica in grado di preparare
adeguatamente i neofiti, l'unica in tutto il Regno deputata
 ad impartire l'insegnamento di medicina.
La parte teorica della preparazione prevedeva lo studio
accurato dei testi autentici di Ippocrate e di Galeno;
la parte pratica riguardava la chirurgia.
Terminato il corso, durissimo, l'allievo si sottoponeva
all'esame di una commissione composta dai professori dell'Università.
Al riconoscimento degli studi seguiva un anno di tirocinio
presso un medico, poi un altro esame (l'Esame di Stato si direbbe oggi),
davanti ai Commissari della Curia Regia e delle Curie provinciali.
Dopo di che si otteneva la "Licentia Medendi " o "Praticandi".
Tutti potevano diventare medici: anche chi proveniva
da altri paesi, anche le donne e gli ebrei, con qualche limitazione,
fatto assolutamente inusitato per la cultura del tempo.
I chirurghi avevano l'obbligo di studiare nei minimi dettagli l'anatomia umana,
 direttamente sembra, sui cadaveri, prima di intervenire sul corpo.
Non si sa bene, però, se si potevano eseguire autopsie.
Fra le tante voci che circolavano, sulla figura e l'opera di Federico,
anche quella secondo cui l'imperatore avrebbe vivisezionato
alcuni condannati a morte, per osservare i processi chimici
 nello stomaco durante la digestione.
Dunque, dopo gli Editti di Melfi, la medicina poteva essere
 insegnata soltanto nell'Università di Salerno.

Dopo l'emanazione del Liber Augustalis, le farmacie
furono sottoposte a un rigido controllo da parte dei sovrintendenti regi.
Coloro che preparavano i medicinali, gli sciroppi, i medicamenti,
sempre e comunque sotto la responsabilità e alla presenza del medico,
prestavano giuramento davanti agli stessi funzionari.
Questi vigilavano che nelle botteghe non ci fossero veleni
o preparati nocivi per la salute e controllavano il confezionamento,
la durata e i prezzi dei farmaci.
Obblighi e controlli anche per chi svolgeva l'insegnamento
universitario, non riscontrabili in altre nazioni europee.
I professori non potevano dedicarsi ad altra attività durante
 il periodo di preparazione degli allievi, nemmeno alla medicina.
Per essere abilitati a dare lezioni occorreva superare un esame.
I docenti giuravano fedeltà al Sovrano e dovevano rigorosamente
rispettare i programmi stabiliti, che prescrivevano
la lettura e il commento dei testi autentici degli antichi autori.
Per quanto riguarda lo studio del polso e l'esame delle urine,
una pratica quest’ultima allora molto diffusa, obbligatori
gli approfondimenti suggeriti dai testi arabi, ebrei, bizantini e latini.
In fatto di polizia giudiziaria e di pubblica igiene,
Federico II regolamentò la vendita della carne e del pesce,
la mescita del vino nelle cantine, il confezione delle candele di sebo,
per le quali stabilì quanto materiale dovesse essere usato
per la produzione di ciascun pezzo.
Vietò il seppellimento dei morti entro le mura cittadine,
ordinò di gettare nelle acque dei fiumi, ad almeno
400 metri dalla città  le carcasse degli animali
e quant'altro potesse ammorbare l'aria.
Impedì che nelle acque si riversassero sostanze inquinanti.
Ogni infrazione, una pena: dalla multa al carcere, dalla confisca
dei beni al taglio della mano, alla condanna capitale.
Nelle sale più esclusive dei suoi castelli, circondato dai profumi odorosi
che si faceva portare dall'Oriente, Federico avrebbe anche potuto
non occuparsi, come tanti predecessori, del suo popolo
costretto in città fatiscenti e sovraffollate, prive di servizi igienici,
preda molto spesso di contagi ed epidemie.
Emanò invece a Melfi queste norme sanitarie che si rivelarono
di grande portata per la convivenza civile e che contribuirono a rendere
meno pericolosa la vita delle popolazioni a lui sottoposte.
Lo stesso imperatore possedeva importanti cognizioni di medicina
e di anatomia e conosceva con dovizia di particolari l'opera di Ippocrate.

Nei numerosi trasferimenti era solito portare con sé
una fila di muli con casse zeppe di libri.
Gelosamente ne custodiva alcuni, rivelatori delle abitudini
di vita e dei comportamenti personali del sovrano.
Un volumetto era d’abitudine accostato al suo guanciale:
"Secretum Secretorum" dello pseudo-Aristotele che i traduttori
avevano riportato direttamente dal greco.
Vi si descrivevano le diete alle quali l'imperatore si sottoponeva,
quel che era bene mangiare e quel che doveva essere rifiutato
per chi  volesse sempre mantenere la migliore forma corporea.
Un altro libricino, che gli aveva dedicato Adamo da Cremona
"De regimine iter agentium vel peregrinantium",
era immancabile negli oggetti da toeletta dello Svevo.
Il volumetto. conteneva preziosissimi consigli per i bagni e la pulizia,
precetti di igiene personale, esercizi ginnici per combattere la stanchezza,
sistemi naturali di difesa contro i parassiti che affliggevano i viaggi
di Federico e del suo seguito, composto da giocolieri, giullari, poeti,
cantori, ballerine, donne bellissime con le quali era solito trascorrere
notti infuocate, gente di ogni razza e religione.

Rimasto vedovo di Jolanda di Brienne, Federico pensò di legare le sue sorti
ad una potente casa straniera e, su suggerimento dello stesso papa
Gregorio IX, decise di unirsi in matrimonio con Isabella,
sorella ventunenne del re d’Inghilterra Enrico III, al quale mandò
un’ambasciata tramite Pier delle Vigne, come rileva una lettera
spedita da Foggia il 15 novembre del 1234.

Scrisse quindi una lettera al Pontefice il 9 dicembre
(salutem et reverentiam filialem!), con la quale lo informava
di avere mandato Pier delle Vigne a chiedere la mano di Isabella,
in base al suo paterno consiglio e lasciava alla sua discrezione
stabilire la giusta dote.
Matteo da Parigi, nella "Historia Maior Angliae", così riferisce:
"Nel mese di febbraio del 1235, vennero a Westminster
due frati dell’ordine teutonico con soldati ed altri ambasciatori,
mandati dall’Imperatore dei Romani, Federico II al re d’Inghilterra,
portando una lettera con l’aureo bollo, nella quale domandava
in isposa la sorella di quel monarca, Isabella.
Arrivati al cospetto del Re, il 23 febbraio, chiesero la risposta
alla lettera, affinché potessero prestamente darne
notizia all’Imperatore, loro signore.
Ma quel monarca volle prima interrogare intorno a ciò
i Vescovi e i Grandi del suo regno, i quali, dopo avere accuratamente
esaminata la cosa, tutti di unanime accordo dopo il terzo giorno,
stabilirono che si desse la donzella a Federico.
E così il 27 febbraio Enrico III concesse agli ambasciatori
di vedere la futura sposa, mandando subito a chiamare Isabella che,
con grandissime cure, veniva custodita nella torre di Londra.
Lestamente e con grande rispetto fu condotta alla presenza
degli ambasciatori e di Enrico III a Westminster la fanciulla,
che allora aveva anni ventuno, di grande bellezza
e graziosamente vestita degli abiti reali.
E quelli poiché ebbero alquanto contemplato il vago volto
dell’avvenente giovinetta, che giudicarono degnissima di Federico,
confermarono il matrimonio, giurando sull’anima di Federico,
a nome del quale offrirono alla fanciulla l’anello nuziale.
Riferite tali cose, per mezzo di fidi messi, all’Imperatore, questi,
dopo le feste di Pasqua, mandò in Inghilterra l’Arcivescovo di Colonia
ed il duca di Brabante con numeroso seguito di nobili uomini,
perché con grande onore conducessero a lui l’Imperatrice".
Grandissimi furono i preparativi, solenni le feste e molto ricca la dote:
scrigni ripieni d’oro, collane finemente lavorate, gioielli,
vasellame d’oro e d’argento e splendide le donazioni e gli onori
che Federico prometteva alla futura sposa.
Dopo giorni di feste e di giuochi, Isabella giunse a Colonia,
dove prese alloggio nel Palazzo Arcivescovile, osannata dalla popolazione.
Isabella rimase a Colonia circa sei settimane, dopo di che,
accompagnata dall’Arcivescovo di quella città, partì
alla volta di Worms dove s’incontrò con Federico.
La donzella piacque molto al sovrano che l’accolse con gioia,
"supra modum sibi placuit decoris, inspectis puellaris illam
enim natura speciali quodam studio decoraverat".
La domenica del 20 luglio 1235, si celebrarono
 solennemente a Worms le nozze con Isabella.

Ligio alle credenze, Federico volle consultare gli astrologi
ed ecco cosa ci racconta Matteo da Parigi:
"Nocte vero prima, qua concubuit Imperator cum ea, noluit eam carnaliter
cognoscere, donec, competens hora ab astrologis ei nunciaretur.
Consummata autem carnali commixtione, summo mane, deputavit eam
quasi praegnantem diligenti custodiae, dicens ei: custodi
te sapienter, quia habes in utero masculum!".
(La prima notte Federico non volle giacere con la moglie
fino a quando gli astrologi non gli comunicarono l’ora giusta.
Consumato il matrimonio le disse che avevano concepito un figlio maschio).
Stando ai cronisti pare che la predizione di Federico, si sia avverata
in quanto nacque un maschio chiamato Giordano, vissuto però poco tempo.
Passati cinque giorni dalla fastosa cerimonia, gli ospiti
venuti dall’Inghilterra vi fecero ritorno colmi di doni.
Federico affidò quindi Isabella alla severa e rigidissima custodia
degli eunuchi, secondo il suo geloso costume.
Nel 1237 venne alla luce Margherita e l’anno successivo, sul finire del 1238,
Isabella entrò in Italia dimorando prima a Ravenna dove nacque Enrico
detto Carlotto, morto in giovanissima età e poi per qualche tempo a Parma,
assieme a Federico, per poi ritirarsi ad Andria.
Dopo la morte di Gregorio IX, Federico si recò in Puglia,
ma l’attendeva una grande tragedia: Isabella, nel dare alla luce
una bambina, moriva di parto, all' età di ventisette anni.
La notizia si sparse in tutto il regno e addolorò tutti
soprattutto in Inghilterra,dov’era molto stimata.
Federico ordinò che fossero fatti solenni funerali, che per
un mese intero si celebrassero messe in suo suffragio.
Da Foggia la salma fu trasportata ad Andria e sepolta nella cattedrale
dov’era già stato deposto il corpo di Jolanda di Brienne.

Non mancarono le polemiche sulle cause della morte di Isabella,
così com’era successo per la sua seconda moglie.
Federico fu accusato di tenere segregate per gelosia le sue mogli,
anzi Innocenzo IV, dal Concilio di Lione, gli rinfacciò di avere
fatto castrare per precauzione le guardie poste alla loro custodia.

Rimasto ancora una volta vedovo, Federico si unì a Bianca Lancia,
della famiglia dei conti di Loreto, che fu l’unica donna che riuscì
a conquistare veramente il suo difficile cuore.

I due si erano conosciuti nel 1225, pochi mesi dopo lo sfortunato matrimonio
con Jolanda di Brienne: fu un reciproco colpo di fulmine.
Non potendo convolare a giuste nozze, i due mantennero
una relazione clandestina ma tutt’altro che segreta, tanto che da essa
nacquero due figli, forse tre: Costanza, Manfredi, forse Violante.
Secondo una leggenda tramandata da padre Bonaventura da Lama
e ripresa dallo storico Pantaleo, durante la gravidanza di Manfredi,
Federico tenne rinchiusa l’amante in una torre del castello di Gioia del Colle.
Desiderio di riservatezza, capriccio, gelosia?
Il Bonaventura propende per quest’ultima, anche se l’aspetto del figlio,
somigliantissimo al padre, smentì ogni più lieve dubbio.
Resta il fatto che la sensibile principessa non poté resistere
all’umiliazione e vinta dal dolore, si tagliò i seni e li inviò
all’imperatore su di un vassoio insieme al neonato.
Dopo di che, conclude il cronista, "passò ad altra vita".
Da quel giorno, ogni notte, nella torre del castello detta ora
Torre dell’Imperatrice, si ode un flebile, straziante lamento:
il lamento di una donna offesa che protesta  la propria innocenza.
Se questa è leggenda, la storia è un po’ più controversa ma non meno toccante.
Secondo alcuni nel 1246 la donna chiese a Federico
— nel frattempo vedovo della terza moglie Isabella —
di legittimare i tre figli nati dal loro amore, unendosi a lei
con un regolare matrimonio: cosa che avvenne e che consentì
a Bianca di essere per pochi giorni un’imperatrice.
Secondo la Chronica di fra Salimbene da Parma, il matrimonio
avvenne invece in punto di morte, quindi alla fine del 1250.

Intanto nell'Italia del Nord, i Comuni, riuniti in Lega a Pontida,
erano decisi a liberarsi del dominio di Federico.
L'Imperatore li sconfisse nella battaglia di Cortenuova (Bergamo) nel 1237,
sciolse la Lega ed espose il Carroccio del Comune di Milano in Campidoglio.

La situazione però andava precipitando: nel 1241  Papa Gregorio IX
gli scagliò una nuova scomunica e convocò un Concilio che fu
 audacemente boicottato da Federico  che arrivò a sequestrare
la nave che trasportava gli alti prelati da Genova a Roma.

A Papa Gregorio succedette, nel 1243, Innocenzo IV
(Sinisbaldo Fieschi) che, pur essendo stato amico di Federico,
rinnovò la scomunica definendolo "eretico e predatore delle chiese...".
La Germania si ribellò e a Bologna fu imprigionato il figlio Enzo.
Alla fine di novembre del 1250, forse tradito finanche
dai suoi più fedeli amici come Pier delle Vigne, l'Imperatore
si ammalò: divise il suo regno tra Corrado e Manfredi e,
avvolto nel saio grigio dei Cistercensi, ricevette
l'estrema unzione dal fedele Berardo, Arcivescovo di Palermo.
Il 13 dicembre lo "Stupore del Mondo" si spense
a Castelfiorentino, in provincia di Foggia, lasciando attorno a sé un'aura
di mistero e di leggenda, di esecrazione e di venerazione, di odio e di compianto.
Il sogno di Federico, di una monarchia forte e intelligente, rigida e disciplinata,
il sogno della rinascita dell'Impero Romano, si spense con lui.





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