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GUERRA ED ARMI

Nel mondo medievale i cavalieri erano i professionisti della guerra.
Normalmente erano i cadetti, cioè i figli minori dei vassalli,
che potevano scegliere di: diventare preti;
diventare mercenari; vagare in cerca di avventure.
Cavaliere era colui che, possedendo un cavallo ed un’armatura, si poneva
al servizio di un signore e per le sue prestazioni di guerriero veniva mantenuto.

L'istruzione del cavaliere cominciava dalla culla.
Il padre lo affidava ad una balia di sangue nobile
e gli metteva accanto un tutore preposto alla sua educazione
che gli insegnava a cavalcare, a giocare a dadi e a scacchi,
che erano le cose ritenute importanti,
mentre l'istruzione scolastica era molto approssimativa.
Fino ai 7 anni il figlio del castellano rimaneva affidato alle donne e al tutore.
Poi, appena compiuta quell'età, al tutore subentrava il padre,
che gli impartiva un’educazione severa, basata su esercizi militari d’ogni genere.
Verso i 9 o 10 anni, era usanza che i ragazzi venissero mandati
nel castello di un signore, per imparare l’arte militare e le virtù cavalleresche.
Inizialmente il ragazzo era un paggio, cioè una specie di cameriere,
che compiva servizi domestici e teneva compagnia alle signore;
poi, verso i dodici anni, diventava scudiero.
Serviva il signore a tavola, lo accompagnava alle giostre e ai tornei
e, in tempo di guerra, su un ronzino, gli portava la lancia e lo scudo.

A 21 anni il giovane era pronto per l’ investitura
che avveniva durante una complessa cerimonia.
In tempo di guerra questa avveniva con la consegna della spada e dell’elmo
da parte del signore allo scudiero e la recita di una semplice formula;
in tempo di pace, invece, l’investitura avveniva durante una festa religiosa
(a Pasqua o a Pentecoste) o civile.
Il giorno prima della cerimonia il giovane faceva il bagno di purificazione,
indossava una tunica bianca che rappresentava la purezza,
un manto rosso, simbolo del sangue che avrebbe versato per il suo popolo
e una cotta nera, simbolo della morte che non temeva.

Il cavaliere rimaneva a digiuno per tutto il giorno pregando in chiesa
e si allenava all'uso della balestra, della spada e della lancia.
La notte pregava con il suo padrino, la cosiddetta " veglia d'armi".
Il mattino successivo, in una chiesa affollata,
arrivavano il castellano, le dame e il Vescovo.
Questo era il momento più importante: il cavaliere si avvicinava al vescovo
con la spada  che il vescovo doveva benedire e  pronunciava il giuramento .
1- Tu crederai a tutto ciò che la Chiesa insegna ed osserverai i suoi comandamenti.
2- Tu proteggerai la Chiesa.
3- Tu difenderai tutti i deboli.
4- Tu amerai il paese dove sei nato.
5- Tu non ti ritirerai mai davanti al nemico.
6- Tu farai la guerra ad oltranza contro gli Infedeli.
7- Tu adempierai i tuoi doveri feudali, se non sono contrari alla legge di Dio.
8- Tu non mentirai mai, e sarai fedele alla parola data.
9- Tu sarai liberale e generoso con tutti.
10- Tu sarai il campione del diritto e del bene, contro l'ingiustizia e il male.
A questo punto il signore diceva:
" In nome di Dio, di San Michele e di San Giorgio
io ti faccio cavaliere. Sii leale, forte, generoso."
e al novello cavaliere veniva subito dato un cavallo.

Il mestiere del cavaliere non era facile:
ci volevano molta abilità, forza fisica e coraggio.
Oltre che robusti, i cavalieri dovevano essere ricchi,
in quanto l’armatura aveva un costo altissimo, così come
il cavallo e il mantenimento degli indispensabili scudieri.
Proprio perché doveva sostenere spese molto ingenti,
il cavaliere era ben contento di partire per la guerra
in quanto, se combatteva per un signore e si mostrava
valoroso, poteva ricevere da quest’ultimo molti benefici.
Ma poteva anche combattere per conto proprio,
per vendicare offese vere o presunte e quindi,
in caso di vittoria, arricchirsi con il bottino.
Guai però se il cavaliere si mostrava indegno non seguendo le regole.
In quel caso le sue armi venivano calpestate e lo scudo infangato,
 veniva portato in piazza, dove era offeso e ingiuriato dal popolo,
poi era deposto su una barella, coperto da un drappo nero
e portato in chiesa, dove gli venivano recitate le preghiere per i defunti;
infine era messo al bando per tutta la vita.
La vita dei cavalieri, era protetta da una corazza o armatura
che ebbe il suo massimo sviluppo nel quindicesimo secolo,
per poi decadere rapidamente nel XVIII.
Già all'inizio dell'undicesimo secolo i cavalieri indossavano
una cotta ovvero una veste di maglia di cuoio
o di stoffa trapunta, coperta con una serie ininterrotta
di file cucite e sovrapposte di  tanti piccoli anelli di ferro intrecciati.

Cadeva molle sul corpo, copriva le gambe fino al ginocchio
in una sorte di brache e proteggeva la testa, sotto l’elmo,
con un cappuccio imbottito detto camaglio.
La cotta pesava all’ incirca quattordici chilogrammi ed era aperta
sulla parte inferiore, sia avanti che dietro, in modo da permettere
al cavaliere di stare a cavallo.
Verso la seconda metà del XII secolo,
dopo la seconda crociata, dal contatto con i guerrieri
musulmani, venne in uso la maglia di ferro detta
usbergo che, progressivamente, coprì tutte le parti del corpo.
Queste armature, caratterizzate principalmente
da una lunga camicia di ferro, erano costituite
da cerchietti di ferro ribattuti a caldo uniti tra loro
a quattro a quattro oppure da scaglie sovrapposte
e unite tra loro da cerchietti di ferro.
Queste ultime erano dette gazzarine.
Su queste maglie i cavalieri, per proteggerle dal sole e dalla pioggia
indossavano una ricca e lunga tunica di stoffa variopinta, la giornea

.

Verso la fine del 1200 cominciarono ad apparire
le prime armature interamente in lamiera
 modellate rozzamente sul corpo come i petti
delle corazze, i cannoni per le braccia, le manopole e le scarpe.
L’elmo era interamente chiuso, con fessure anteriori
per gli occhi e per l’aerazione e poggiava sulle spalle.
Con l’andare del tempo il camaglio che copriva il cranio
sotto l’elmo, venne sostituita da una piastra a calotta,
detta cervelliera, la quale a sua volta si evolse
nella barbuta e nel bacinetto.

Verso il 1300 il cavaliere era coperto di maglia sulle mani,
sulle braccia e sui piedi e indossava
un cappuccio in maglia per proteggere il capo.

L’arma più importante del cavaliere era senza dubbio la spada.
Molte volte era un’eredità trasmessa di generazione in generazione
e in battaglia significava avere la vita nelle proprie mani.
Fino alla fine del 1200 la tipica spada da combattimento
era a lama larga e a doppio taglio.
Con il diffondersi delle armature a piastre si crearono spade
più lunghe e sottili adatte a colpire di punta, in modo tale
da infilarsi nei piccoli e sottili spazi presenti tra una piastra e l’altra.
Avendo la lama più lunga e diventando quindi, la spada più pesante,
il cavaliere fu costretto a tenerla con due mani.
Questa era detta spada a una mano e mezza o bastarda.

Di solito la spada presentava una scanalatura, sulla parte centrale
della lama, che la rendeva leggera e più resistente.
Verso la seconda metà del Trecento, la spada non presentò più
la scanalatura centrale ma aveva una più efficiente lama
a sezione romboidale, molto più rigida e quindi più efficace
nello scaricare la forza del colpo.
Esisteva anche la spada a due mani che era l'esatta
versione ingrandita della spada normale.
Grazie al suo peso e al suo sistema di impugnatura
poteva arrecare colpi di immensa forza.
Lo spadone a due mani divenne noto a partire dal 1200;
 il cavaliere lo portava appeso alla sella in aggiunta alla spada normale.
Per chi era ben esercitato le spade erano facili da gestire
o da brandire perché ben bilanciate.
Infatti il peso totale dell’elsa, del pomo e dell’impugnatura
era equivalente al peso della lama.

In genere la spada era completa di fodero in legno, ricoperto spesso di pelle.
La punta aguzza delle spade poteva spezzare senza difficoltà
la cotta di maglia e quindi provocare ferite profonde, a volte anche mortali.
Gli uomini più importanti possedevano parecchi tipi di spade:
ad una mano per colpire di taglio, spade lunghe a due mani
per colpire in profondità, armi di eccellente fattura
da esibire a dimostrazione di gusto personale e ricchezza.
La lancia da torneo fu ideata per usarsi esclusivamente da cavallo;
generalmente veniva impiegata nei tornei e più precisamente nelle giostre,
dove coppie di cavalieri si affrontavano in modo diretto scontrandosi frontalmente.
Era costituita da un'asta lunga in legno e la sua impugnatura era protetta
da un piccolo scudo a forma di imbuto che serviva
a proteggere la mano dai colpi dell'avversario durante lo scontro.
La lancia  appoggiava direttamente all'armatura del cavaliere
per mezzo della "resta", un arresto che aiutava il lanciere
a sopportare il colpo inferto all'avversario nello scontro.

Lo scudo serviva per parare i colpi inferti dall'avversario
sia che esso usasse la spada, la mazza o l'arco.
Serviva anche da distintivo, infatti sopra di esso vi erano disegnati i simboli
del casato o i simboli del cavaliere stesso.
Generalmente queste protezioni avevano diverse forme,
alcuni erano rotondi, altri rettangolari, ma la forma più consona
alla difesa del corpo era la classica forma "a scudo".
Era composto da una piastra di ferro, portante al suo interno due asole in cuoio
per sostenerlo infilandovi il braccio e una sul bordo superiore
per appenderlo al cavallo quando non serviva.

Le battaglie coinvolgevano, generalmente, un numero limitato di combattenti.
Non esistevano divise e ciascun cavaliere, il cui volto era nascosto dall’elmo,
era riconoscibile grazie all’insegna dipinta sullo scudo.
Se lo scontro avveniva tra cavalieri, si seguivano determinate regole di lealtà,
se si combatteva invece contro contadini ribelli o infedeli,
allora la ferocia non lasciava scampo agli sconfitti.

LE ARMI DA GUERRA

Molteplici erano le armi, nell'assedio e nella difesa
e una delle armi innovative più usate fu

La Balestra
che nacque come arma da caccia ed il cui uso si diffuse
in particolare in Germania, in Svizzera e in gran parte dell’Italia.
Essa era costituita da un arco detto braccio,
collegato perpendicolarmente ad un’asta di legno ed azionato,
per il ricarico dei dardi, da una manovella che tendeva la corda,
opportunamente fissata mediante un gancio.

Rispetto all’arco, la balestra era molto più precisa e potente,
ma anche molto più lenta da ricaricare e pertanto veniva
spesso utilizzata nei castelli dove questo difetto assumeva
poca importanza, in quanto il tiratore all’interno
delle mura aveva più tempo per armare la balestra.
Talvolta, per evitare gli inconvenienti causati da questo difetto,
il tiratore aveva a disposizione due balestre ed era affiancato
da un’aiutante, il cui compito era quello di ricaricare l'arma.
Successivamente, con l’introduzione del martinetto,
un attrezzo munito di una manovella di avvolgimento e di un dente
di arresto, fu possibile ricaricare l’arma anche stando a cavallo.

Di solito la balestra si utilizzava mettendo una goccia di cera d’api
sulla punta del dardo in modo da facilitare la penetrazione
della freccia nelle piastre delle armature.
Sin dalla sua comparsa, il tiro a bersaglio fu incoraggiato
a livello agonistico; infatti ogni città aveva la propria società
di tiro con la balestra al fine di poter gareggiare
contro quelle di altre città.
La sua comparsa fece diminuire l’importanza dell’ arco,
tipica arma medievale molto diffusa in tutti i paesi europei.

L'Arco
era costituito da un’asta di legno a forma di D,
alle cui estremità, più sottili, erano presenti degli incavi
necessari per fissarvi la corda di canapa.
Generalmente, per la sua fabbricazione, veniva usato il legno di tasso,
ma anche quello di olmo, nocciolo, frassino e altri ancora.
Vi erano vari tipi di arco, ma il più noto era sicuramente l’arco lungo,
tipico degli inglesi, ricavato da un ramo flessibile di legno di tasso
alto all’incirca quanto l’arciere che doveva utilizzarlo.

Un arco lungo da battaglia era in grado di scagliare una freccia
a trecento metri di distanza e di perforare una corazza di maglia;
ciò, chiaramente, richiedeva una grande forza
da parte dell'arciere. che si addestrava costantemente.
Gli arcieri erano tenuti in grande considerazione,
per la loro abnegazione, in quanto, non potendo portare
lo scudo erano di facile bersaglio e oltretutto
sempre in prima fila durante le guerre campali.
Agli arcieri era affidato il compito di difendere le mura
del castello, pertanto dovevano essere in grado
di colpire il nemico a distanza e con precisione.
A volte alle frecce veniva legato del tessuto impregnato di pece
e appiccato ad esso il fuoco, per incendiare le torri d'assalto
in legno usate dal nemico per forzare le bastionate.
Durante i combattimenti ogni arciere aveva circa una dozzina di frecce
che potevano essere di vario tipo a seconda della loro funzionalità;
ad esempio, erano alettate quando dovevano essere scagliate contro gli animali
e a stiletto quando dovevano perforare una corazza a piastre.
Per costruire una freccia, un esperto impiegava circa un ora e tre quarti
e venivano usati molti tipi di legno, circa dodici,
ma quello più utilizzato in assoluto, era senza dubbio il pioppo.
Bisogna ricordare che la produzione degli archi era un’attività
molto bene organizzata in quanto venivano controllate
le quantità prodotte e registrate le importazioni,

La Scure
da sempre usata sia per tagliare il legno che come arma in guerra,
nel Medioevo la scure cambiò foggia e alleggerita sia nel ferro
che nell'impugnatura divenne una delle armi più usate
tanto dai cavalieri che dai fanti.
Molto tagliente, riusciva a fendere anche una corazza;
la sua forma variava a seconda dell'uso che se ne faceva,
poteva anche avere due taglienti o un tagliente ed una punta.
Le prime indicazioni di una scure d'arme ben definita
si hanno negli arazzi di Bayeux che rappresentano episodî
delle ultime invasioni dei Normanni in Gran Bretagna
sotto Guglielmo il Conquistatore ( 1066-70 circa ).
Esse erano assai semplici, col ferro lunato e lungo manico
e sembra avessero attorno all'occhio
qualche sagoma ornamentale.

La Mazza Snodata
 fu ideata per sfondate le armature
e veniva usata prevalentemente a cavallo.
Composta da una palla di ferro munita di punte e congiunta
al manico da una catena, poteva essere roteata
prima di colpire l'avversario, così facendo la forza dell'impatto
era maggiore e di conseguenza il danno che provocava poteva
disarcionare o addirittura uccidere l'avversario.

L'Alabarda
era costituita da un'asta in legno portante sulla sommità
una punta con incorporata un'ascia e dalla parte opposta un rostro.
Furono i mercenari svizzeri i primi a utilizzarla in Europa
e con il passare del tempo divenne una loro arma distintiva
che pian piano fu adottata in vari altri eserciti,
in primo luogo dai lanzichenecchi tedeschi.
Nell’alabarda la lama in cima all’asta si presentava obliqua,
simile a quella di una mannaia ma, in seguito, i modelli si affinarono
e differenziarono: la lama divenne una lama di scure,
la punta sulla sommità sempre più simile a una lama di lancia,
la cuspide posteriore si differenziò in modelli a uncino
e a punta, di varie dimensioni a seconda dei casi.
L’arma era un temibilissimo strumento di battaglia,
un vero incubo per i soldati a cavallo, che potevano essere facilmente
disarcionati con l’uncino o la punta o anche proiettati sul terreno
 da un colpo dal lato della scure, per poi essere finiti
con un nuovo affondo da parte del soldato provvisto di alabarda.

Si usava sia in battaglia sia all'interno del castello
dove due guardie che le incrociavano davanti ad una porta
all'arrivo di un estraneo, di fatto ne vietavano l'ingresso .
A partire dal XVIII secolo non fu più usata in battaglia,
ma continuò a far parte del cerimoniale di corte
dando un tono di maestosità a tutto l'insieme.
Ancora ai giorni nostri è usata dalle Guardie Svizzere in Vaticano
appunto come cerimoniale e segno di maestosità nei corridoi
di S. Pietro e dalla Guardia Real spagnola.

L'Ariete
fu una fondamentale arma di distruzione.
La sua invenzione fu a lungo attribuita ai Cartaginesi da Ateneo,
un autore di incerta nazionalità e di difficile collocazione storica
che, in un suo trattato sulle macchine d’assalto, sostiene
che i Cartaginesi l’avrebbero usato per la prima volta
nell’assedio di Gades, oggi Cadice, in Spagna, nel 206 a.C.
nel corso della seconda guerra Punica.
In realtà esso appare in diverse raffigurazioni storiche,
come le pitture egizie e i bassorilievi degli Assiri.

L’ariete nel Medioevo era usato come strumento d’urto,
per abbattere porte o creare brecce nelle mura durante gli assedi.
Era costituito da una trave molto grande, avente all’estremità
una grossa scultura in legno o in bronzo spesso a forma di ariete
per evocare il modo di attacco a testa bassa.
La trave era manovrata da più uomini, ma talvolta,
per evitare oscillazioni, era anche sostenuta
da una struttura in legno o semplicemente poggiata su carri.
A volte era dotato anche di un tetto atto a proteggere
chi manovrava l'ariete evitando che venissero colpiti da frecce o liquidi bollenti.
Una volta sfondato il portone l'ariete indietreggiava
permettendo così l'ingresso ai soldati e ai cavalieri che invadevano il castello dall'interno.
Era chiamata anche Montone o Gatto, ma molto più frequentemente rompimuro.

I Cannoni
ebbero il loro battesimo del fuoco nel Basso Medioevo.
Tuttavia, il loro tiro assai modesto (spesso un solo colpo per un'intera battaglia),
accompagnato dall'imprecisione, ne fece soprattutto un'arma psicologica,
più che una valida arma anti-uomo.

Successivamente, una volta che si diffusero i cannoni "a mano",
la cadenza di tiro venne solo leggermente migliorata,
ma i cannoni divennero molto più facili da puntare,
in gran parte a causa delle dimensioni più ridotte
e del fatto che rimanevano più vicini a chi li manovrava.
Gli operatori, inoltre, potevano facilmente essere protetti,
perché i cannoni erano più leggeri e potevano essere
spostati con maggiore rapidità.
I progressi negli assedi incoraggiarono lo sviluppo di una serie
di contromisure, in particolare, le fortificazioni medievali
divennero sempre più solide (ai tempi delle Crociate,
comparve il castello concentrico) e sempre più insidiose
per gli attaccanti, come testimonia il crescente uso
di trabocchetti, botole,  dispositivi
per il getto di pece fusa, acqua bollente
(non olio, come viene erroneamente creduto perché era
un bene troppo prezioso), piombo fuso o sabbia arroventata.

 Il fumo veniva usato per confondere o deviare gli assalitori.
Sostanze quali ossido di calcio e zolfo potevano essere tossiche e accecanti.
Grandi tratti di terra, villaggi e città venivano spesso distrutte
come strategia di terra bruciata.
Le misture incendiarie, come il fuoco greco basato sull'olio,
potevano essere usate con armi da lancio o con un sifone.
Materiali intrisi d'olio o zolfo venivano accesi e lanciati sul nemico,
o attaccati a lance, frecce e quadrelli e lanciati a mano o grazie a macchinari.

Vi erano poi feritoie, porte segrete per le sortite e profondi canali
colmi d'acqua, essenziali per resistere agli assedi.
I progettisti dei castelli prestavano particolare attenzione
alla difesa delle entrate, proteggendo le porte con ponti levatoi,
grate scorrevoli e barbacani che erano delle strutture difensive
che servivano come sostegno al muro di cinta.
Tali fortificazioni erano spesso solo dei terrapieno addossati alle mura
in vicinanza delle zone più vulnerabili di un castello o di una casa forte.

Pelli di animali umide erano spesso stese sopra le porte per contrastare gli incendi.
Fossati ed altre difese idrauliche, sia naturali, sia modificate  erano altrettanto importanti.
Nel Medioevo europeo ogni grande città aveva le sue mura
- Ragusa (Dubrovnik) in Dalmazia ne è un suggestivo e ben conservato esempio -
e le città più importanti avevano cittadelle, forti o castelli.

Si facevano grandi sforzi per garantire un'adeguata scorta d'acqua in caso d'assedio.
Talora venivano scavate lunghe gallerie sotterranee per portare acqua alla città.
In città medievali quali Tábor in Boemia, venivano impiegati complessi sistemi
di tali gallerie sia per l'immagazzinamento, sia per le comunicazioni.
Contro tali difese, a volte gli assedianti facevano ricorso alla maestria
nell'escavazione, di squadre di zappatori ben addestrati.

Una ritirata precipitosa poteva causare un numero di caduti
ampiamente superiore a quello derivante da un ripiegamento ordinato
o dal combattimento vero e proprio.
In quanto, quando la parte soccombente iniziava a ritirarsi,
la cavalleria, che faceva parte della retroguardia del vincitore,
si lanciava sul nemico in fuga, eliminando fanti ed arcieri
non più protetti dalla cortina dei picchieri.

I MERCENARI
I soldati di ventura come venivano definiti nel Medioevo
i soldati mercenari, combattevano anzitutto per tornaconto personale,
Si trattava di soldati di diversa origine e provenienza
che si organizzarono in compagnie di cavalieri (lancieri),
sostenuti da una fanteria di arcieri e balestrieri.
Erano riuniti in compagnie di ventura, il cui comando
era affidato a un capitano, scelto per le capacità e il valore.
Era il capitano che fissava con i Signori committenti i termini delle prestazioni,
le norme d’ingaggio, il numero dei soldati e la durata dell’impegno,
in un preciso contratto detto condotta, donde la definizione di Condottiero.
Il patto era a soldo disteso, se l’incarico imponeva la militanza
di un determinato numero di Fanti e di Cavalieri agli ordini
del Capitano generale di una città o di una Signoria;
a mezzo soldo se il Capitano di Ventura combatteva
in posizione sussidiaria rispetto al Capitano Generale,
in tal caso non percepiva paga piena esponendosi a minore rischio.

I capitani avevano talvolta origini oscure (il Carmagnola era di famiglia contadina),
ma più spesso provenivano dalla nobiltà, esperta per tradizione nell'arte militare.
Molti erano figli cadetti (cioè non primogeniti), i quali non potevano ereditare il feudo,
che spettava al primo figlio, e cercavano una fonte di reddito nella professione militare.
Se alcuni capitani furono guerrieri valorosi e coraggiosi,
molti altri, come osservò Niccolò Machiavelli,
consideravano l'attività militare solo un lavoro
e non si facevano scrupolo di tradire chi li assumeva
per passare al servizio di un miglior offerente.
Talvolta capitani schierati su fronti opposti si accordavano
per ridurre al minimo i rischi, in quanto la vita di ogni soldato
e dei cavalli erano beni preziosi da salvaguardare,
arrivando persino, in casi limite, acombattimenti prolungati
ma con scarsissimo spargimento di sangue.
Dall'altra essi si dimostrarono abili nel maneggio delle armi,
introducendo per primi la tecnica dei combattimenti
da cavallo con indosso pesanti armature.
L'abitudine di far rivestire i propri uomini di ferro
anziché di cuoio è, per primo, attribuita al capitano Mostarda da Forlì.
Le compagnie più importanti arrivarono a contare fino a 10.000 soldati,
assunti a tempo determinato dai capitani.
In battaglia i nemici erano fatti prigionieri, invece che uccisi,
per poter ottenere il pagamento di un riscatto.
In tempo di pace le compagnie si mantenevano con saccheggi, minacce,
taglieggiamenti e ricatti, per cui erano molto temute dalle popolazioni.
Solamente con l'introduzione delle armi da fuoco e di agguerrite milizie nazionali,
il periodo aureo dei capitani di ventura tese ad esaurirsi.
Il ricorso a milizie mercenarie si diffuse a partire dall'11° secolo.
Erano mercenari i Normanni giunti in Italia meridionale e le milizie usate
dai re di Francia e d'Inghilterra per reprimere le ribellioni dei vassalli
(le utilizzò, per esempio, Enrico II d'Inghilterra nel 1159).
Essi in Italia svolsero un ruolo particolare nel XIII secolo
con una funzione prevalentemente di truppe di rinforzo.
In questo senso, li troviamo nella battaglia di Campaldino nel 1260
a fianco dell'esercito fiorentino, ma anche in altre,
concorrendo spesso a determinarne l'esito.

Fra i mercenari si distinguevano i mercenari svizzeri, rozzi montanari,
che operarono, in maniera più o meno organizzata, sino al XV secolo,
quando con l'avvento degli stati nazionali, il loro utilizzo
cominciò a ridursi a favore delle forze armate regolari.
La loro opera cambiò il modo di combattere  e le tecniche belliche, e
insieme alle armi da fuoco, segnarono la disfatta
del cavaliere e della cavalleria medievale.
Il motivo per cui il mercenariato si sviluppò soprattutto nei cantoni
elvetici di montagna, è da ricercarsi nella loro grande povertà.
L'unica loro risorsa disponibile, oltre la scarna agricoltura,
era infatti costituita dall'emigrazione e questa,
sostanzialmente, voleva dire prestazione all'estero di servizio
militare dietro pagamento di una mercede.
Gli ultimi loro epigoni sono le attuali guardie svizzere dello Stato del Vaticano.
I primi comunque a proporsi  come soldati di ventura,
furono i cavalieri normanni della famiglia Drengot che si posero
al soldo dei principi longobardi (contro le incursioni
saracene a Napoli e Salerno) e poi degli insorti
baresi nelle lotte antibizantine.
Degli Almogavari, mercenari che seguirono Pietro III d'Aragona
nella conquista della Sicilia (1288), abbiamo una descrizione
particolarmente significativa ed eloquente:
« Breve saio a costoro, un berretto di cuoio, una cintura, non camicia,
non targa, calzati d'uose e scarponi, lo zaino sulle spalle col cibo,
al fianco una spada corta e acuta, alle mani un'asta con largo ferro,
e due giavellotti appuntati, che usavan vibrare con la sola destra,
e poi nell'asta tutti affidavansi per dare e schermirsi.
I lor condottieri, guide piuttosto che capitani,
chiamavansi anche con voce arabica Adelilli.
Non disciplina soffrian questi feroci, non avean stipendi,  ma quanto bottino
sapessero strappare al nemico, toltone un quinto pel Re; né questo medesimo
contribuivano quand'era cavalcata reale, ossia giusta fazione.
Indurati a fame, a crudezza di stagione, ad asprezza di luoghi;
diversi, al dir degli storici contemporanei, dalla comune degli uomini,
toglieano indosso tanti pani quanti dì proponeansi di scorrerie;
del resto mangiavan erbe silvestri, ove altro non trovassero: e senza bagagli,
senza impedimenti, avventuravansi due o tre giornate entro Terre de' nemici:
piombavano di repente, e lesti ritraevansi; destri e temerari più la notte
che il dì; tra balze e boschi più che in pianura »
(Michele Amari, La guerra del Vespro siciliano.)

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Napoleone soleva dire che "un esercito marcia sul suo stomaco":
intendendo che un soldato che non ha fame, combatte meglio di uno con lo stomaco vuoto.
Elemento decisivo infatti, della sua vittoria contro gli Austriaci
ad Austerlitz, nel 1805, fu la perfetta organizzazione degli approvvigionamenti
dei viveri, in patria e sul territorio nemico, così come fu proprio
lo stomaco vuoto dei suoi soldati (ed il generale inverno che giunse
 prematuramente con un intensità mai riscontrata nei 20 anni precedenti)
uno dei fattori determinanti della successiva disfatta napoleonica in Russia.
Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, gli strateghi europei medievali
avevano ben poche nozioni di logistica e
mentre i castelli erano attentamente riforniti,
gli eserciti non sapevano o non volevano approvvigionarsi razionalmente.
Il metodo consueto di risolvere i problemi logistici medievali era
foraggiarsi ovvero "far fruttare la terra".
Un esercito in viaggio requisiva con la forza tutte le risorse
disponibili sui territori attraversati, dal cibo
alle materie prime ed agli equipaggiamenti.
Far fruttare la terra non è molto facile quando non vi è
cibo pronto da mangiare, ragion per cui esisteva, almeno in teoria,
una canonica "stagione di campagna",
volta a condurre la guerra in un tempo prevedibile, quando cioè
vi sarebbero stati sia cibo sul terreno sia condizioni meteorologiche relativamente buone.
Questa stagione andava dalla primavera all'autunno, poiché per l'inizio della primavera
tutti i prodotti agricoli sarebbero stati messi a dimora, lasciando in tal modo
i maschi liberi per la guerra fino al tempo del raccolto, ad autunno avanzato.
Il saccheggio di per sé era spesso l'obiettivo di una campagna militare,
sia per pagare i mercenari, sia per catturare risorse, ridurre
la capacità bellica del nemico oppure come affronto al governo avversario.
Esempi del genere sono gli attacchi vichinghi attraverso l'Europa
o le chevauchées (escursioni) estremamente distruttive condotte dagli inglesi
nella Francia settentrionale nel corso della Guerra dei Cent'anni (1337 - 1453).
Queste escursioni avevano principalmente lo scopo di recuperare bottino
e rovinare i ricchi territori che rifornivano il re di Francia
sia di risorse finanziarie che umane.
In questo modo essi riuscirono ad indebolire il re di Francia e i suoi vassalli.
Quando un esercito faceva la scelta, o vi era costretto,
di portare con sé i rifornimenti, si istituiva una catena
di rifornimento o coda logistica, da un territorio amico all'esercito stesso.
La catena di rifornimento dipendeva dal controllo sulle strade
(in Europa soprattutto le vecchie strade romane)
o su vie d'acqua navigabili come fiumi, canali o mari.
Proprio il trasporto via acqua era la soluzione logistica preferita,
in quanto il trasferimento massiccio di materiali via terra era piuttosto complicato.
Durante la Terza crociata (1189-1192), Riccardo I d'Inghilterra fu costretto
a rifornire il suo esercito come se fosse stato in marcia
attraverso un territorio deserto e sterile,
tanto da essere costretto a spostare costantemente
le truppe lungo la costa, per ottenere rifornimento dalla propria flotta navale.
L'equivalente terrestre era costituito dalle carovane merci (salmerie),
che spesso costituivano un aspetto problematico.
Infatti, le salmerie costringevano gli eserciti
a spostamenti più lenti e relativamente meno protetti.
Gli attacchi ai carriaggi avversari infatti,
potevano paralizzarne definitivamente l'efficienza operativa.
Poiché la carovana delle salmerie era sprovvista di scorta,
attacchi del genere erano considerati sleali.
Ciononostante, il convoglio logistico di un nemico allo sbando
era spesso avidamente saccheggiato dai vincitori.
L'insuccesso della logistica per un esercito medievale
si traduceva sovente in carestia e malattie, con ovvi riflessi sul morale delle truppe.
Frequentemente l'assediante pativa la fame mentre aspettava che
l'assediato capitolasse, in tal caso era l'assediante
che si sbandava e desisteva dall'assedio intrapreso.
Epidemie di vaiolo, colera, tifo e dissenteria si diffondevano
comunemente negli eserciti medievali,
specie se mal riforniti o in condizioni di ozio.
Nel 1347 la peste bubbonica esplose nelle file dell'esercito mongolo
intento all'assedio delle mura di Caffa in Crimea
ed il morbo in seguito si diffuse in tutta Europa,
tristemente ricordato come Morte nera.
Per gli abitanti di un luogo conteso era abbastanza normale
patire la fame nei periodi prolungati di guerra, per tre ragioni:
gli eserciti alla ricerca di cibo consumavano tutte le scorte che trovavano;
i percorsi terrestri seguiti dagli eserciti in movimento devastavano
i terreni seminati, vanificando il successivo raccolto;
i contadini, che costituivano la massa dell'esercito ossia la fanteria,
pativano le perdite maggiori nei combattimenti e ciò comprometteva
ulteriormente le rese della stagione agricola.





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