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RELIGIONE E SUPERSTIZIONE
(l'attesa della fine del mondo)

Il male che affliggeva l'anno mille, secondo molti dell'epoca, era riconducibile
al grande disordine che si era creato all'interno della Chiesa.
La sua immagine, infatti, si era appannata per due gravi piaghe:
il concubinato e la simonia.
Negli ultimi anni, l'obbligo del celibato ecclesiastico
era di fatto scomparso, in quanto tutti i sacerdoti
erano più o meno regolarmente sposati.
Questa convivenza, indicata con il termine di concubinato,
faceva si che gli uomini di chiesa avessero a cuore, più che
la cura delle anime e dei beni patrimoniali delle diocesi e dei monasteri,
il sostentamento e l'avvenire delle proprie donne e dei propri figli
e cercassero perciò di ricavare il massimo profitto possibile
dalle proprietà e dalle funzioni connesse al loro ufficio.
L'altro scandalo era costituito dal commercio delle dignità ecclesiastiche,
che venivano attribuite quasi sempre non ai più degni,
ma a coloro che riuscivano ad ottenerle con veri e propri acquisti.
Le ricchezze e i privilegi legati alle cariche religiose
attiravano dunque l'interesse di uomini avidi e ambiziosi,
primi fra tutti i cadetti della nobiltà che, non avendo diritti ereditari
sui beni di famiglia, giungevano a corrompere con il denaro le persone
 più influenti pur di ottenere un vescovato o la direzione di un grande monastero.

La presenza di abusi e corruzione resero inevitabile la necessità di riforme,
a ciò si andò ad affiancare anche il problema della povertà
che, alla vigilia del XIII secolo, preoccupava quanto l'eresia.
Così nacquero centri monasteriali secondo cui la Chiesa
doveva rendersi indipendente dagli interessi materiali della vita,
che la sua missione esclusiva era quella di preparare la salvezza
eterna dell'umanità e che i sacerdoti non appartenevano allo stato
o alla famiglia, ma alla comunità dei credenti.
I nuovi ordini glorificavano la povertà esortando i ricchi
a liberarsi dei loro beni, creando le condizioni perché essa
diventasse una scelta di tipo volontario.
I monasteri non si isolarono dai centri cittadini, ma si impegnarono
in essi operando a sostegno della Chiesa, entro i suoi quadri organizzativi.
La condizione monastica non fu più concepita come volta alla santificazione
personale, ma alla "conquista del mondo" attraverso l'insegnamento e la carità.
A differenza di quanto accade nel mondo attuale, nel mondo medievale
le donne iniziarono la loro liberazione.... in convento.
Fu in convento che per loro si aprirono nuovi spazi di libertà,
perché vivevano in un luogo in cui esisteva spesso una biblioteca
nella quale ci si poteva istruire;
nel convento dunque le donne leggevano, studiavano, imparavano:
tutte cose negate nella vita reale.

I conventi femminili erano sempre stati centri di preghiera, ma al tempo
stesso di dottrina religiosa, di cultura; vi si studiava la sacra scrittura,
considerata come base di ogni conoscenza e di tutti gli altri elementi del sapere.
Le religiose erano ragazze colte: d'altronde l'entrare in convento era
la via "normale" per le donne che volevano approfondire le proprie conoscenze.
Per questo in età medievale abbiamo i primi esempi
di letterate famose e importanti, come Rosvita,
la grande autrice di testi teatrali del X secolo.
Nel VI°sec. San Benedetto da Norcia fondò il suo primo monastero
a Monte Cassino, dando vita ad un'esperienza che avrebbe avuto
un'enorme influenza sulla successiva storia europea,
da un punto di vista religioso, culturale ed economico.

San Benedetto pose alla base di ogni monastero
la regola , che era il modo di vita che i monaci accettavano di seguire.
Le regole principali di un monastero erano:
tutto ciò che veniva consumato nel monastero doveva essere
prodotto esclusivamente al suo interno;
era vietato mangiare carne, ma c'era la possibilità di mangiare il pesce;
non si poteva mangiare il pane bianco;
si poteva bere latte e mangiare il formaggio.
La Regola Principale era riassunta nel motto di ogni convento benedettino:
"Ora et labora " ossia: prega e lavora.

Questa semplice regola modificò, col tempo, l'economia
all'interno e all'esterno del monastero, dando vita ad attività
e ad innovazioni sorprendenti per i loro effetti;
grazie ai monaci benedettini si sviluppò infatti la selvicoltura,
la pescicoltura, l'apicoltura, si crearono nuovi tipi di formaggio
(oggi noti in tutto il mondo), si studiarono nuovi metodi
di cura con erbe officinali, ecc.
Chi, anche laico, viveva nei pressi del monastero
usufruiva di una serie di servizi senza
precedenti (scuole, ospedali, assistenza) e cibo.
Nei pressi dei monasteri si coltivavano in particolare orzo, segale,
farro e poco grano che veniva utilizzato per le ostie
poiché il pane bianco, che veniva fatto solo per cerimonie importanti,
era vietato dalla regola ed era distribuito ai poveri.
La dieta di un monaco era basata principalmente su legumi
quali fagioli, lenticchie, piselli, il tutto accompagnato dal pane nero.
Ma, fatta eccezione degli ordini mendicanti,
la Chiesa si schierò di fatto a favore dei più forti.

Anche se il suo compito era quello di controbilanciare la debolezza
dei poveri per far regnare l'armonia sociale, era portata
a propendere per la parte dove si trovava di fatto.
Gli stessi monaci dichiaravano nel preambolo di un atto:
"Dio stesso ha voluto che fra gli uomini, gli uni fossero signori
e gli altri servi, in modo che i signori siano tenuti a venerare e ad amare Dio
e che i servi siano tenuti ad amare e a venerare il loro signore".
Se la Chiesa  divideva la popolazione tra ricchi e poveri,
faceva lo stesso tra uomo e donna.
Il matrimonio ufficializzava la disuguaglianza fra moglie e marito;
quest'ultimo e Dio si trovavano un gradino più in alto rispetto alla donna.
I mariti dovevano essere comprensivi verso degli esseri fragili
come le donne, colpevoli della cacciata dal Paradiso e per questo
punite con le doglie e il dominio dell'uomo.
Prima della cacciata, Adamo ed Eva erano vergini, poi si unirono nella maledizione:
da qui l'opinione che il matrimonio fosse maledetto e che la sua unica funzione
fosse la riproduzione ovvero il ripopolamento del Paradiso.
Il sesso, quindi, non doveva essere concepito come un piacere,
ma come un male: se un uomo desiderava troppo ardentemente
la sua donna, lei veniva considerata una prostituta.
Dal XIII secolo prese piede l'idea che ogni città o paese,
ogni parrocchia ed ogni professione dovesse avere un proprio patrono;
S. Dionigi si erse a simbolo della Francia (anche perché i suoi resti erano
conservati in un'abbazia vicino a Parigi), S. Giorgio fu quello dell'Inghilterra
e S. Marco divenne patrono a Venezia.

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Alla fine del primo millennio la grande maggioranza delle popolazioni europee
viveva nelle campagne, producendo e consumando quasi esclusivamente
tutto ciò di cui aveva bisogno; ogni vallata, ogni villaggio, ogni feudo
era come chiuso in se stesso, le comunicazioni risultavano difficili e incerte,
le guerre private e le violenze si ripetevano con regolare frequenza.
In questa generale situazione di precarietà e di incertezza,
solo la fede dava conforto e speranza, anche se si trattava
di un sentimento religioso estremamente semplice ed ingenuo,
in quanto la religione cristiana era penetrata solo parzialmente
nella cultura popolare a causa di un'evangelizzazione
troppo affrettata e superficiale e si mescolava alle antiche
credenze pagane popolate di maghi, demoni, spiriti e fantasmi.

All'avvicinarsi dell'Anno Mille si diffuse l'attesa della prossima fine del mondo.
Questa attesa, intrisa di inquietudine e di paura, si fondava
sull'Apocalisse di Giovanni Evangelista che profetizzava,
mille anni dopo Cristo, la venuta di Satana e il Giudizio Universale.
Sempre secondo le cronache del tempo, i fedeli scrutavano il cielo e osservavano
gli eventi naturali per trovarvi i segni premonitori della punizione divina.
Il passaggio di una cometa,  un'eclissi, una moria di bestiame, una siccità prolungata
o un inverno troppo rigido sembravano altrettante conferme del pauroso evento

Le reliquie dei santi, furono  uno dei più grandi motori per la fede:
c'era il braccio dell'apostolo Bartolomeo che il vescovo di Benevento
cedette a peso d'oro alla regina Emma d'Inghilterra
 per salvare la sua regione dalla carestia;
c'erano due schegge di osso che il vescovo inglese Ugo di Lincoln prelevò
dal presunto scheletro di Maria Maddalena sperando di attirarne la protezione
e c'era la presunta lancia che trafisse Gesù, nelle mani di un pellegrino
di Marsiglia per infondere coraggio ai crociati.
Attorno a frammenti di vestiti, di legno, di ossa o di crani si sviluppò
un gran movimento religioso anche se per la maggior parte si trattava di frodi.
E’ noto come nel basso Medioevo il culto per le reliquie iniziò a macchiarsi
di veri e propri abusi finendo per scadere in superstizione,
simonia o nella costruzione di reliquie false per fine pecuniario.

Chi non ricorda la famosa novella del Boccaccio "Fra Cipolla e la penna dell'arcangelo Gabriele"?
In questo periodo nacque una nuova professione: il ladro di reliquie
e fra i più famosi in epoca carolingia, ci fu il diacono Deusdona
che organizzava carovane che in primavera attraversavano
le Alpi e facevano il giro delle fiere monastiche.
Desudona forniva soprattutto martiri romani, mentre altri ladri
franchi che lavoravano in Italia, fornivano santi provenienti
anche da altri luoghi, come per esempio Ravenna.
I trafficanti le compravano da chierici senza scrupoli
o le rubavano in chiese e catacombe non custodite.
Deusdona era diacono della Chiesa di Roma e approfittava di questo
suo rango per muoversi liberamente nelle catacombe dell’Urbe.
Deusdona non lavorava da solo, ma era capo di un gruppo
organizzato di mercanti di reliquie.
Diventò famosissimo perche procurò i corpi dei martiri
Marcellino e Pietro a Eginardo, biografo di Carlo Magno,
che aveva ricevuto in dono da Ludovico il Pio, successore di Carlo Magno,
di alcuni territori dove si era ritirato e aveva fondato
il monastero di Mulinheim, oggi Selingenstadt.
per il quale aveva bisogno di reliquie importanti .
Durante l’inverno Deusdona e soci raccoglievano
sistematicamente reliquie nei vari cimiteri di Roma.
Per non destare sospetti, ogni anno si concentravano
in una sola zona (Labicana, Salaria-Pinciana, Appia…).
Quest’occupazione era molto redditizia, anche se l’equipaggiamento
di carovane e la traversata delle Alpi non era un’impresa da poco.
In primavera facevano in modo che il loro passaggio coincidesse
con le ricorrenze importanti celebrate nei monasteri dei loro clienti,
perché i pellegrini che si recavano a tali celebrazioni
erano, a loro volta, potenziali clienti.
Questo commercio di reliquie, anche se era illegale, non era mal visto
neanche da parte del clero e delle comunità monastiche che spesso
loro stesse diventavano trafficanti perché avevano bisogno di reliquie.

Ma l'Anno Mille trascorse come tutti gli altri: molte paure cominciarono
a svanire e già si intravedeva quanto di nuovo e positivo stava emergendo:
"le tenebre si rischiarano", scriveva un ignoto poeta.
La morsa di ghiaccio che a lungo aveva assediato l'Europa,
dovuta sembra a forti perturbazioni solari, si andava attenuando.
I movimenti per le "paci di Dio" e la nuova dignità assunta
dalla cavalleria, posta dalla chiesa al servizio della fede,
andavano smorzando i soprusi e le violenze feudali.
Agli inizi del nuovo millennio, il fenomeno dell'incastellamento,
con la costruzione di un villaggio fortificato intorno alla rocca signorile,
comportò anche un'estensione degli spazi coltivati e un aumento
del numero dei contadini, consentendo al signore, detentore del potere
e della proprietà terriera, di dividerne i profitti
con un ristretto numero di cavalieri fedeli.
Sono i milites, il cui sogno è fondare a loro volta un castello
dal quale dominare le proprie terre e i contadini che lo coltivano.

Ma questi piccoli aristocratici, che erano riusciti ad ottenere
da un nobile più potente una proprietà e, talvolta, una sposa,
dovevano legittimare al più presto il proprio lignaggio,
e a questo scopo non esitavano ad inventare genealogie fantastiche.
Anche i lignaggi di grande fama si legittimizzarono in modo fantasioso,
traendo ispirazione, in alcuni casi estremi, dalle leggende e dai miti  locali.
L'insicurezza materiale e spirituale dominava la mentalità del medioevo.
Il pericolo di dannarsi per l'eternità a causa degli artifici del Maligno
era così grande e opprimente, che spesso la paura
aveva il sopravvento sulla speranza.
Gli uomini del medioevo vivevano immersi in un mondo popolato di paure,
di spiriti, costantemente divisi fra il bene
impersonato da Dio e il male impersonato dal maligno.

Da una parte c'è Dio, dall'altra il diavolo, due poteri
che non conoscono né compromessi, né incontri.
l'azione buona viene da Dio, l'azione cattiva proviene dal diavolo.
Il maligno appariva sotto aspetti diversi, ma la forma più sinistra
da lui assunta, era quella di un essere deforme, orrendo e ripugnante.
Era opinione diffusa, peraltro, che il diavolo fosse
un essere quasi umano, pieno di astuzia e di malizia.
Quando si presentò a un monaco di Cluny che stava a letto malato,
gli apparve come un piccolo etiope nero orribilmente deforme,
con le corna che gli uscivano dalle orecchie e le fiamme dalla bocca
come se volesse mangiare la carne stessa del monaco malato.

Proprio come Dio viveva nel giusto, così il diavolo possedeva il peccatore.
Il peccato consegnava fisicamente il peccatore nelle mani del maligno.
Gli avvenimenti più comuni della vita quotidiana erano interpretati
come segni del divino favore o sfavore provocando
manifestazioni di giubilo generale o di infinito terrore.
Una delle superstizioni popolari più irragionevoli era la paura del buio:
"Molti uomini, - scrive il canonico Bucardo di Worms- non usano uscire
di casa prima dell'alba perché dicono che gli spiriti maligni
hanno più potere di colpirli prima del canto del gallo".
Chi ne aveva la possibilità poneva di notte accanto al letto
un lume per tenere lontani i demoni.
Il male era qualcosa di reale, di visibilmente tangibile,
qualcosa in grado di provocare un effettivo danno fisico:
un colpo di vento avrebbe potuto essere il respiro di satana.
Tutta l'atmosfera era piena dello spirito del male che stava dovunque,
sapeva tutto e spiava ogni più intimo pensiero e ogni minima debolezza dell'uomo.
Alla preoccupazione suscitata da queste forze maligne si sommava
la paura della morte e dell'inferno; una paura che rasentava l'ossessione,
anche perché i predicatori avevano diffuso la credenza
che la stragrande maggioranza degli uomini fosse formata da dannati.
Le impressionanti e drammatiche descrizioni dell'inferno erano perciò
costantemente presenti nella mentalità collettiva medievale.
Uno dei più diffusi manuali dei predicatori offre un quadro
estremamente truce dell'inferno: un fracasso spaventoso, urla di torturati,
infuriar dei diavoli, il battere e il risuonar dei loro martelli infuocati,
e una fitta massa umana che sbanda da una parte e dall'altra del forno
 infernale, colpendosi a vicenda, ciascuno graffiando il viso del vicino
con un ghigno folle o lacerando la propria carne con indicibile collera.

Buona parte di queste descrizioni scaturivano dalle visioni o dai racconti
di coloro che sostenevano di essere discesi con il proprio corpo nell'inferno.
Forse gli uomini colti non sempre credevano a queste storie, ma esse
riflettevano concetti sostenuti più o meno coerentemente da ogni generazione.
Comunque erano ascoltate ovunque con grande interesse e tutti
erano convinti che la salvezza eterna non era nulla più di un miracolo,
che bisognava chiedere a Dio attraverso l'intercessione dei santi e della chiesa.
Così gli uomini nel Medioevo vivevano costantemente sotto un doppio controllo:
dei demoni che si precipitano sulla terra richiamati dai loro peccati
e degli angeli che vigilano sulla loro salute spirituale.







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