Il nome schiavo deriva da "slavo", cioè barbaro, questo perchè gli
schiavi,
in un primo momento, provenivano da quelle regioni.
Nella mentalità delle antiche civiltà, la schiavitù
era considerata come cosa naturale e necessaria.
Allinizio del Medio Evo le condizioni di vita degli schiavi erano sempre durissime,
ma al tempo dei Carolingi la schiavitù propriamente detta
venne trasformata in servitù della gleba.
Ebbe così origine un nuovo ceto di lavoratori legati alla terra da padre in figlio
e costretti a prestare duri servizi a vantaggio del padrone;
essi costituirono la base della grande piramide feudale
e resteranno a lungo privi di qualsiasi speranza
di rinnovamento sociale ed economico almeno fino agli inizi del secolo X.
Nel corso del X secolo, infatti, si ebbero le prime forme di liberazione dei servi,
dovute soprattutto alliniziativa dei Comuni in continua lotta
con la classe feudale per la conquista del contado.
Lo schiavo diventò servo e si incominciò a trattarlo
come un essere umano e non più come una cosa.
Grazie a questo cambiamento il servo acquisì tutti i diritti di un uomo:
infatti ebbe la possibilità di sposarsi e di fare figli ai quali
poteva lasciare tutti i suoi possedimenti.
Nell'Europa medievale in realtà la schiavitù finì anche perché la Chiesa
estese a tutti gli schiavi i sacramenti e proibì
la schiavitù per i cristiani e gli ebrei, tanto da ottenere
una abolizione totale della schiavitù nelle terre dei re cristiani.
.
Non mancarono però, anche provvedimenti dei comuni: si ricordi ad esempio
il Liber Paradisus con cui nel 1256 furono liberati a Bologna
i servi della gleba e anche gli schiavi al cui traffico i comuni partecipavano.
Il 25 agosto 1256, infatti, la campana dell'Arengo del palazzo del Podestà
chiamò a raccolta i cittadini bolognesi in piazza Maggiore:
il Podestà (Bonaccorso da Soresina) ed il Capitano del popolo annunciarono
la liberazione di circa 6.000 servi, appartenenti a circa 400 signori
(solo la famiglia Prendiparte, proprietari dell'omonima torre, ne possedevano più di 200).
Essi furono riscattati con il pagamento, da parte del tesoro comunale,
di 8 (per i bambini) o 10 (per i maggiori di quattordici anni) lire d'argento bolognesi;
questi erano grossomodo i prezzi di mercato dei servi.
Per la liberazione di 5.855 servi il comune pagò 54.014 lire bolognesi.
In quell'occasione parlò anche Rolandino de' Passaggeri:
« Adamo aveva peccato d'orgoglio e debolezza per questo fu cacciato dal Paradiso.
Adamo prima di morire volle che Seth chiedesse al Cherubino il perdono divino.
Il Cherubino colse il seme dal pomo dell'albero fatale e lo pose sotto la lingua del morente.
Da quel seme nacque un grandissimo albero che seccò dopo mille e mille anni e fu tagliato alla radice.
Un giorno giunsero degli uomini che ne segarono due tronchi e con quelle fecero una croce... la Croce di Cristo.
Quindi l'albero del Paradiso, principio della colpa e della schiavitù,
diventa l'albero della redenzione e della libertà »
(Rolandino de' Passeggeri)
Nel salone del Palazzo del Podestà è presente un affresco di Adolfo De Carolis che ricorda tale avvenimento.
Con questo atto (uno dei principali atti liberatori servili medievali), chiamato anche Paradisum voluptatis,
Bologna fu il primo comune italiano (e forse fra le prime città al mondo)
ad approvare un atto che aboliva la servitù.
Nel 1257 il Comune fece compilare da quattro notai - fra cui Rolandino de' Passaggeri -
un memoriale con cui si elencavano nel dettaglio i nomi dei servi liberati.
Il libro, ora conservato presso l'Archivio di Stato (in piazza dei Celestini a Bologna),
è detto Paradiso perché la prima parola scritta è appunto Paradiso,
a ricordare che Dio in Paradiso creò l'uomo in perfettissima e perpetua libertà.
In realtà la liberazione di tanti schiavi fu anche una mossa dettata da interessi economici:
oltre ad una probabile miglior resa lavorativa dei servi, dopo la loro liberazione
Bologna pianificava di sottoporre alle tasse migliaia di nuovi individui fino ad allora esenti.
Per questo il Comune vietò ai servi liberati di spostarsi fuori dall'ambito della diocesi di appartenenza.
In certi casi i servi vennero raccolti in determinate località franche
(da cui ad esempio i nomi di paesi come Castelfranco).
Il processo di liberazione degli schiavi, avvenne molto lentamente e si manifestò solo in alcune zone,
come dimostra il fatto che ancora in Età Moderna
il problema della servitù della gleba era pienamente attuale in Europa,
specie nei paesi tedeschi e slavi, ove i governi per poter avere lappoggio dei nobili
abbandonarono i servi allarbitrio dei padroni.
Nel Medioevo il feudatario non aveva potere di vita o di morte su un servo,
poteva solo comandarlo durante il suo lavoro nei campi come servo della gleba.
Se la schiavitù era proibita, questo non valeva per il commercio degli schiavi.
Va tenuto presente infatti, che dopo la prima metà del Duecento
il commercio degli schiavi tornò a rifiorire a causa dellaumento della ricchezza
e del lusso nellEuropa occidentale, ma in aperto contrasto con lo spirito
e la lettera dei Vangeli, così bene interpretati dalle parole di San Paolo:
«non cè più né ebreo, né greco, non cè più né schiavo, né libero».
Durante tutto il Medioevo questo commercio fu fiorente ed il principale mercato
si trovava nella città di Verdun, in cui giungevano soprattutto
schiavi
dalla Polonia che venivano inviati, via Spagna, nei paesi arabi.
Al risorgere dello schiavismo contribuirono essenzialmente due avvenimenti:
lintensificarsi della pirateria e laprirsi di nuovi porti
sulle coste atlantiche dellAfrica e dellAsia Minore bagnate dal Mar Nero.
Esso ebbe a svilupparsi ai danni non solo di quelli che affrontavano un viaggio
per mare, ma anche dei pacifici abitanti della costa, i quali
cadevano in servitù dei regni musulmani dellAfrica settentrionale,
ove città come Tunisi, Tripoli ed Algeri erano divenute fortificatissimi covi di pirati.
Ben più importante corrente di traffico fu quella creata nellAfrica occidentale dai Portoghesi,
i quali, in un primo momento procedettero a limitati prelevamenti di donne e uomini negri
non già per desiderio di guadagno, bensì per soddisfare
la curiosità dei principi e dei mercanti che avevano finanziato limpresa.
Solo in un secondo momento essi, attraverso lesplorazione
di larghi tratti della costa senegalese, si dettero a rastrellare
intere regioni e a inviare a Lisbona, un gran numero di negri.
Tale forma di commercio divenne in breve tempo così intensa
che gli schiavi negri presenti nella stessa Lisbona finirono
per superare numericamente la popolazione bianca della città.
Né vanno dimenticati i mercanti pisani, veneziani e genovesi che prelevavano
schiavi dai territori orientali per rivenderli non solo in occidente,
dove venivano utilizzati come guardia del corpo
o come domestici nei castelli dei principi cristiani
ma anche in Oriente, dove alla massa di schiavi che affluì
sui mercati europei dopo le Crociate, si aggiunsero ben presto
anche quelli acquistati nei porti del Mar Nero e di Siria
e venduti un po dovunque: Russi, Tartari, Slavi, Ungheri, Turchi e Polacchi
erano infatti ricercatissimi.
Simbolo della nuova ricchezza dei signori delle città europee,
la schiavitù divenne un segno di prestigio delle famiglie:
giovani donne, forti e belle, sottopagate e senza alcun diritto,
venivano assunte al servizio dei signori come schiave o
serve per svolgere lavori domestici e soddisfare le voglie dei padroni.
Nelle ricche e popolose città dellOccidente medievale,
la maggioranza degli abitanti apparteneva alle categorie del lavoro sottoposto e manuale.
Una parte cospicua di questi lavoratori era rappresentata da coloro
che vivevano quasi interamente le loro giornate confinati
tra le mura di abitazioni estranee, in cui erano chiamati a compiere le più diverse mansioni.
Erano prevalentemente donne, serve e schiave, drlle quali abbiamo unampia testimonianza
nelle memorie familiari, nei carteggi e nei libri di conto tenuti con cura dai padroni di casa.
Una componente notevole della manodopera domestica era costituita da schiave
che periodicamente affluivano ai mercati dei centri principali.
Esse dividevano, lavorando talvolta fianco a fianco nelle medesime case,
le gravose incombenze con le serve, donne libere che non avevano trovato
in città altre possibilità di impiego, anche se probabilmente alle schiave
venivano affidati i compiti più pesanti.
Tuttavia non si può nascondere che forse non doveva esserci una ripartizione rigida dei ruoli.
Cucinare, fare il bucato, rassettare la casa, procurare legna e acqua,
alimentare il fuoco, badare ai bambini, recarsi a fare la spesa al mercato cittadino,
fare commissioni, accompagnare fuori la padrona, erano compiti sia di serve come di schiave.