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POMPEI



 
 
 

 

ABITAZIONI

Pompei offre ancora oggi un tesoro eccezionale per la storia dell’umanità: la casa.
A Pompei, infatti, possiamo trovare molti esempi di «domus»,
cioè della casa unifamiliare, che va dal IV secolo a.C. al I secolo d.C.



Lo schema è quello sannitico: i locali necessari
per le esigenze prevalentemente fisiche,
come camere, servizi igienici, servizi di cucina, pranzo, ecc.,
si snodavano ai lati degli spazi destinati
alla vita culturale e sociale della famiglia.
Questi spazi si sviluppavano quasi totalmente al coperto («atrium»)



o quasi totalmente allo scoperto («peristilium»).



Tra l’atrio e il peristilio s’inseriva l’ambiente più sacro alla famiglia: il «Tablinum».
(locale adibito a salotto solitamente posto in fondo all'atrium)



Ogni locale  prendeva aria e luce solo
dai due grandi spazi centrali, raramente dall’esterno.
Le stanze potevano essere pavimentate con tecniche speciali:
cocciopesto, piastrelle di terracotta, mosaici e
preziosissimi pavimenti in marmo detti sectilia



Le pareti e a volte anche il soffitto erano decorate con >affreschi



L’atrio era un cortile interno illuminato
da una apertura centrale nel tetto,
spesso arricchito da quattro colonne (atrio tetrastilo o corinzio).
L’inclinazione delle tegole era disposta verso l’interno della casa
per convogliare, attraverso l'apertura centrale (compluvium),
le acque pluviali in un bacino sottostante (impluvium),
provvisto di due fori: uno collegato, attraverso un canaletto,
con una cisterna per la tesaurizzazione delle acque di gronda,.



L’altro con l’esterno per lo smaltimento delle acque eccedenti;
era il centro d’irradiazione della vita domestica,
il luogo dove il pater familias consumava i pasti
seduto intorno alla mensa con la famiglia e gli schiavi
e dove la domina sedeva a filare con le ancelle
e provvedeva ai lavori del focolare.
Nell’atrio, infatti, aveva posto la cucina ovvero il focolare,
per cui si suppone che dal fumo che anneriva
le pareti di questo ambiente, si chiamò atrium (da ater, nero).



All’ atrio si accedeva attraversando un vestibolo (vestibulum)
dove si apriva la porta d’ingresso e
uno stretto corridoio in salita (fauces).



La porta d’ingresso (ianua) era di legno a due o più battenti (fores o valvae)
ruotanti su cardini disposti sulla soglia e sull’architrave.
Ai lati della fauce e dell’atrio si aprivano piccoli ambienti
adibiti a camere da letto (cubicula) e due spazi aperti (alae).



Diametralmente opposto all’ingresso c'era il tablino (tablinum),
fiancheggiato da uno stretto corridoio (andron)
che portava all’ hortus e ad uno o due spazi laterali,
con funzione di stanza di soggiorno, di dispensa o di cucina.
Nell'atrio, i romani, erano soliti dedicare uno spazio al larario,
un altare in cui si veneravano i Lari
e i Penati protettori della casa e della famiglia,
solitamente rappresentati da statuette in legno, terracotta o cera.



Erano raffigurati come giovani danzanti o in posa tranquilla,
vestiti di corta tunica e coronati di foglie o fiori.
Per metonimia, il termine è entrato nel linguaggio comune
in senso poetico o scherzoso, quando si lascia la casa o la patria:
si dice: lasciare i propri Lari.



Il giardino (hortus) era adorno di fontane, statue, ninfei.



Il triclinio (triclinium) compare nella casa italica
insieme al costume greco di desinare sdraiati,
collocandosi solitamente in una delle stanze laterali del tablino.
La mensa tricliniare (cartibulum) era posta al centro
di tre letti (medius, summus, imus lectus)
per consentire ai convitati sdraiati su di essi,
di deporvi le stoviglie e prendere i cibi.
Il peristilio (peristylium) fu l’elemento di importazione principale
della nuova moda architettonica greco – ellenistica;



attorno ad esso si sviluppavano ambienti di soggiorno o di ricevimento:
l’exedra (salone) e gli oeci, i quartieri riservati alle donne («gynaeceum»),
alla servitù; bagni completi come terme private («balneum»);
dilagavano sopraelevazioni per guadagnare camere e servizi.



Queste erano le Ville.
C'erano poi case più piccole di proprietà del ceto medio
composte per lo più da un cortile centrale scoperto
intorno al quale si aprivano i cubicoli
ed un piccolo giardino adibito ad orto,
e infine le cosiddette pergule, piccole case
che appartenevano ai commercianti,
formate da un vano che si affacciava sulla strada
ed utilizzato come bottega< e, sul retro,
piccole stanze, sfruttate sia come magazzini che come abitazioni.



Una delle case pompeiane più famose è quella del Poeta Tragico
che fu dissepolta tra il 1824 ed il 1825
ed ha delle dimensioni ridotte rispetto alle altre grandi case di Pompei.



E' l’emblema della dimora signorile di epoca imperiale.
Nell’interno, sul pavimento decorato a mosaico, è possibile vedere
il cane legato alla catena - il famoso Cave canem -



e la Scena Teatrale, che ha dato il nome alla casa,
oggi conservata al Museo Archeologico di Napoli





Gli interni della casa pompeiana erano arredati con pochi mobili;



oltre a vari tipi di sedie e sgabelli troviamo molti letti
con funzioni diverse: una specie di sofà su cui ci si sdraiava
per studiare (lectus lucubratorius),
il letto per i convitti (lectus tricliniaris),
quello per dormire (lectus cubicularis).
Gli armadi pesanti (armaria) erano poggiati a terra,
avevano la forma dei nostri ed erano provvisti di chiavi e serrature.



Per nessun oggetto però, Pompei offre un campionario
così cospicuo e vario come per i mezzi di riscaldamento
e di illuminazione: bracieri, lucerne ad olio,
lucernieri, candelabri, lavorati il più delle volte
con notevole estro artistico .



Largamente usati per la suppellettile da cucina e da mensa
furono materiali come la terracotta, il vetro, il bronzo;
l’impiego del metallo era soprattutto per casseruole,
ramaioli, tazze, colini, mestoli,
mentre la terracotta era usata per anfore,
mortai, imbuti, secchi. Non mancano esempi di
vasellame in argento: coppe a calice, tazze,
coppe a tronco di cono, bicchieri, vassoi da portata, scodelle, cucchiai.



Ed ecco la descrizione di alcune delle case più famose

CASA DEI VETTI



La casa dei Vettii è una delle più interessanti case di Pompei,
sia come esempio di ricca abitazione mercantile
sia per gli affreschi che la ornano.
I l nome della casa, è stata confermato durante gli scavi
dal rinvenimento di due sigilli bronzei trovati presso la cassaforte,
nell’atrio, che riportavano appunto i nomi di A. Restituti e A. Vetti Convivaes.
Molto probabilmente questa ricca abitazione apparteneva a persone del ceto dei liberti:
Vettii infatti risultano essere degli homines novii,
ovvero degli ex schiavi che attraverso una pratica
detta manomissio, accedevano alla libertà
e dunque allo status di liberti.
Da quanto possiamo desumere osservando la loro casa,
e poiché sono rimaste testimonianze del fatto che uno di loro
era un augustales, ovvero un sacerdote
i cui privilegi erano pari agli obblighi finanziari che si addossava,
la famiglia dei Vettii disponeva di una certa tranquillità finanziaria.
La struttura della casa ci racconta che l’abitazione
fu pensata e realizzata in un’epoca molto precedente all’eruzione;
il modo di disporre gli ambienti, detto “impianto a doppio atrio”
implica una certa antichità, specie confrontandolo con abitazioni più moderne.
Si doveva trattare dunque di una vecchia casa, appartenuta ad altri proprietari
e acquistata dai Vettii in seguito.
La casa presenta tracce di lavori di sistemazione:
una ristrutturazione, probabilmente avvenuta dopo l'acquisto,
e lavori resisi necessari dopo il terremoto del 62 d.C..



Dal vestibolo di ingresso si passa nell'atrio adorno di pitture.
Qui è visibile l'altare dedicato agli dei protettori della casa, il larario,
ai quali il padrone di casa dedicava quotidianamente doni e preghiere.



Sempre nello stesso ambiente è stato trovato il basamento di una cassaforte,
nel mezzo delle quale è visibile una spranga di ferro
che teneva inchiodata la cassaforte al pavimento.
Dall'atrio si passa poi al bellissimo peristilio a colonne
con giardino adorno di statue e di fontane.



Sui lati sono visibili stanze riccamente dipinte.
Una delle sale più belle è costituita dal grande triclinio
decorato con soggetti mitologici e scene di amorini.



VILLA DEI MISTERI

L'esempio più significativo di villa urbana è dato dalla Villa dei Misteri,
costruita nelle immediate vicinanze di Pompei:
L'edificio sorse intorno all'inizio del II secolo a.C. con la precisa destinazione<
di villa di riposo e di soggiorno.



L'edificio sorgeva in declivio verso il mare, sul quale si apriva
con eleganti ed ariosi saloni che offrivano
incantevoli panorami del golfo: questi ambienti,
collocati nel lato più a valle dell'intero complesso,
erano sostenuti da un criptoportico che girava per tre lati,
destinato a colmare il dislivello altimetrico
fungendo da “basis villae” (basamento della villa).



La Villa dei Misteri era inoltre contraddistinta da un elemento
che era comune a queste costruzioni: subito dopo l'ingresso
si entrava in un peristilio, al quale seguiva un atrio,
con un'inversione della normale successione presente
nelle domus signorili di quest'epoca.



Deve il suo nome ad una serie di affreschi presenti nel triclinio,
con figure a grandezza naturale, tecnica chiamata megalographia,
che rappresentano o uno spettacolo di mimi o momenti di un rito
oppure i preparativi per un matrimonio.



La villa, a due piani, presentava sia ambienti rustici,
come il forno, le cucine ed il torchio,
sia residenziali, come l'atrio, una veranda ed il quartiere termale

VILLA DI DIOMEDE

La Villa di Diomede, situata nei pressi di porta Ercolano,
a poca distanza da Villa dei Misteri,
deve il suo nome ad una tomba posta di fronte l'ingresso,
appartenuta a M. Arrius Diomedes, liberto.
Fu disseppellita tra il 1771 ed il 1774
e presenta ambienti sia residenziali che rustici,
oltre ad un ampio quartiere termale ed un triclinio con vista sul mare.



Per una scala s'accedeva al quartiere inferiore della lussuosa villa
(oggi non visitabile), costruito su un criptoportico,
che serviva da cantina per il vino e che regge un peristilio attorno al giardino.
Presso la porta posteriore giacevano due corpi aggrovigliati
uno dei quali aveva un anello d'oro al dito,
una chiave d'argento in mano e teneva un gruzzolo di 1356 sesterzi.
Altri diciotto corpi di donne ingioiellate con i loro schiavi e due bambini,
vennero trovati nei sotterranei del criptoportico.
asfissiati dai vapori.



In questa dimora è stato trovato un singolare cubicolo semicircolare,
con un'alcova che si poteva chiudere con una tenda,
della quale sono stati trovati gli anelli,
preceduto dalla stanza del cubicularius (cameriere).
Dalla finestra del triclinio si godeva di una splendida vista sul mare.
Intorno al peristilio della villa, con triclinio estivo e piscina,
c'era il quadriportico di diciassette pilastri per lato.



CASA DEL FAUNO

Il nome dell’abitazione deriva dalla splendida statuetta in bronzo
che raffigura un fauno, una divinità romana legata ai boschi e alla natura,
raffigurato mentre danza e posto a decorare uno degli impluvi,
la vasca nell’atrio per la raccolta dell’acqua.



Quest’abitazione che risale all’inizio del II secolo a.C.,
misura 2970 metri quadri ed è la casa più grande di Pompei.
La forma attuale è dovuta a modifiche successive.
Si è pensato che fosse l’abitazione del nipote del dittatore Silla
al quale era stato dato il compito di organizzare
il primo impianto della colonia romana e di fare da mediatore
fra i vecchi cittadini e i nuovi coloni.
Per la sua grandezza e per la sua importanza architettonica
e decorativa può essere considerata come il più bell’esempio
di abitazione privata che l’antichità ci abbia lasciato.



L'ingresso dell'abitazione, sostenuto da pilastri in tufo,
è caratterizzato da una scritta sul pavimento con tessere multicolori,
che riportano il saluto Have, per esibire la cultura del proprietario,
conoscitore della lingua latina, quando a Pompei,
si parlava ancora la lingua osca.
Intorno all'atrio si aprono diversi cubicoli e due alae,
oltre ad un tablino, nel quale il proprietario,
un magistrato della famiglia dei Satrii,
come scritto su una cornice in tufo,riceveva i clienti.
Al suo interno fu rinvenuto lo scheletro
di una donna intenta a salvare denari e gioielli.
Ai lati del tablino, due triclini, nei quali sono presenti
raffigurazioni di pescie di un demone su di una pantera..



Al centro dell’abitazione si trovava lo splendido mosaico
(ora al museo di Napoli) che raffigura la vittoria di Alessandro Magno
su Dario re di Persia.



VILLA GIULIA FELICE

La Villa di Giulia Felice, situata nei pressi di Porta Sarno,
fu esplorata tra il 1755 e il 1757
e poi nuovamente tra il 1953 e il 1953.
Apparteneva ad una donna molto abile negli affari,
che sfruttò la grandezza della sua proprietà e la crisi edilizia
che colpì la città dopo il disastroso terremoto del 62,
per affittarne buona parte a una clientela molto benestante,
e riservandosi, naturalmente, gli ambienti più belli.



La casa è formata da un doppio atrio, un peristilio con al centro una peschiera,
un altare dedicato ad Iside ed un triclinio estivo con letti di marmo
che aveva la funzione di grotta, dalla quale sgorgava acqua
che attraverso un sistema di cascate terminava nell'ampio giardino.
In un’ edicola in fondo al giardino, fu rinvenuto uno splendido tripode bronzeo.
Per un secondo ingresso si accedeva al bagno (balneum) che,
come si apprende da un annuncio alla porta, era dato in affitto
assieme ad una parte dell’abitazione:
“Da Giulia Felice, figlia di Spurio, si fittano a gente perbene
un bagno elegante, degno di Venere, botteghe con abitazioni
soprastanti ed ammezzati dal primo agosto prossimo.
Alla fine del quinquennio la locazione scadrà”.









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