POMPEI
COMMERCIO"Benvenuto guadagno!":
è uno dei motti rinvenuti nei graffiti sui muri della città.
Pompei era infatti una città a carattere preminentemente agricolo e commerciale,
piena di vita e luogo di grandi divertimenti per i nobili romani.
Ogni otto giorni, come nelle località vicine, si teneva il mercato.
In principio è probabile che a Pompei il commercio sia stato concentrato
nel quartiere che circondava il Foro, ma a partire dal II secolo a.C.
l'area commerciale si estese in direzione di Via dell'Abbondanza,
(uno dei decumani che attraversa la città da est ad ovest)
trasformata in una successione quasi ininterrotta di negozi e taverne.
Infatti molti edifici lungo la Via dell’Abbondanza
furono trasformati in termopolia ed oenopolia (osterie e negozi del vino).
L’indirizzo commerciale della via si accentuò dopo il terremoto del 63 d.C.
In epoca romana Pompei era famosissima per il commercio dei vini
ma le radici della viticoltura pompeiana
e campana più in generale sono ben più remote.
risalendo all'epoca sannitica.
La Campania, definita dagli antichi "Campania Felix"
per la fertilità dei suoi suoli e per la mitezza del clima,
é stata uno dei primi e più importanti centri di insediamento,
di coltivazione, di studio e di diffusione della vite e del vino nel mondo.
In quest’ameno centro si affermò una vera e propria
"cultura" del vino e la vite ed il dio Bacco
divennero oggetto di culto come testimoniano i numerosi affreschi
ritrovati nelle case dei ricchi pompeiani che solevano decorare
le mura delle loro case con motivi richiamanti la vite.
Il vino era onnipresente: ricorreva nelle salse e nelle vivande,
nelle medicine, nei sacrifici agli dei, in tutte le cerimonie tristi
ed in tutte le feste in cui si facevano libagioni.
Ma a Pompei la vite non era solo destinata alla produzione del vino:
era spesso utilizzata come elemento decorativo
di parti di abitazioni civili, specialmente dei triclinii all’aperto e dei peristili.
Inoltre, come é testimoniato da numerosi quadretti rappresentanti nature morte
e da pochissimi reperti organici, la parte più scelta della vendemmia
era destinata alla mensa per essere consumata
sia fresca sia come passito.
L'attività principale dei commercianti di Pompei
consisteva nella vendita dei prodotti agricoli.
I Vetti, ad esempio, producevano molte qualità di vino,
come testimoniano le raffigurazioni pittoriche rinvenute nella loro casa.
Nelle taverne cittadine il vino era conservato
in grossi orci di terracotta,tenuti al fresco nelle cavità circolari
ricavate nel banco di vendita in marmo.
Molte taverne erano attrezzate per servire vino caldo,
che era una prelibatezza per gli abitanti della città antica.
Alcune taverne avevano, oltre al negozio sulla strada,
locali sul retro dove i clienti potevano sedersi,
mangiare e godere degli spettacoli proposti.
La vita commerciale a Pompei era molto attiva:
la presenza di numerose botteghe,taverne, officine ed osterie,
fa supporre una produzione,oltre che sufficiente al fabbisogno della città,
destinata anche all’esportazione.
Il Vesuvinum, ad esempio, il vino prodotto con le uve locali,
era esportato, dentro le anfore, in Spagna, in Gallia e in Britannia.
Un altro dei prodotti maggiormente destinati all’esportazione
era il garum, una salsa di origine orientale,
che veniva ricavata lasciando fermentare al sole
gli intestini di alcuni pesci (sgombro, tonno, murena),
che si trasformavano in una sorta di crema,
che veniva successivamente setacciata con l’ausilio di canestri di vimini.
Una volta confezionata, veniva posta all’interno di giare e venduta.
Dato l’elevato numero di panifici presenti a Pompei,
si presuppone che anche il pane fosse un prodotto esportato nei paesi vicini.
I frantoi per macinare il grano erano costruiti in pietra lavica,
avevano una pietra cava posta sulla sommità di una seconda pietra.
Il grano veniva rovesciato nella cavità della pietra superiore
che ruotando costringeva i chicchi di grano
a passare tra le due pietre frantumandolo.
La roteazione era effettuata mediante due bracci orizzontali
in legno, azionati da un asino o dagli schiavi.
Con la farina ricavata veniva prodotto il pane
che, nel II secolo a.C. era diventato già di uso generale.
Le panetterie avevano oltre alle macine,
un ambiente per la preparazione dell'impasto, il forno per la cottura
e un locale per la vendita del prodotto finito.
La forma preferita era la ciambella,
cotta nei forni a legna ed esposta sui banchi di vendita.
La maggior parte dei prodotti consumati nelle locande e nelle botteghe
proveniva dai cascinali nei dintorni di Pompei e Stabia,
che fornivano grandi quantità di olio, vino, frutta, verdura e cereali.
Nel corso del II secolo a.C. in Campania si era diffusa
la coltivazione dell'ulivo che nell'area intorno Pompei
aveva acquistato grande importanza.
Anche le macine per le olive, erano fabbricate con la pietra lavica
del Vesuvio ed erano capaci di separare la polpa dal seme.
Avevano due ruote collegate da una traversa di legno
che ruotavano su un perno di ferro infisso in una vasca.
Fra i termopoli più frequentati dell’antica Pompei
c'era quello delle Aselline, una delle locande
più complete scoperta a Pompei.
Vi si è rinvenuta tutta la suppellettile,
in parte di terracotta e in parte di bronzo.
Il bollitore di bronzo nel bancone era, al momento dello scavo,
ancora ermeticamente chiuso e probabilmente conteneva dell’acqua.
C'erano tre banchi di vendita e un larario in stucco
nel quale sono dipinti Mercurio, dio del commercio e Bacco, dio del vino.
Gli orci murati nel bancone servivano a tenere in caldo bevande e cibarie.
In uno di essi si rinvenne l'incasso della giornata:
683 sesterzi, poco più del prezzo di un mulo
che costava 520 sesterzi.
Una scala interna conduceva al piano superiore.
L’insegna dipinta all’esterno mostra tre brocche e un imbuto.
Al disopra, un’iscrizione elettorale a lettere rosse dice che
le “aselline” Maria (ebrea), Egle (greca) e Smiryna (asiatica)
caldeggiano l’elezione di Lollio Fusco.
Probabilmente Asellina era il nome della proprietaria della locanda.
Le tabernæ e officinæ corrispondevano
alle attuali botteghe e laboratori di produzione:
si fabbricavano stoffe, oggetti di feltro e tessuti,
che venivano utilizzati per confezionare toghe, tuniche, mantelli e nastri.
Importante nella città era anche l’industria della lana,
fornita dalle pecore dei monti Lattari,
che veniva venduta in un apposito mercato all’aperto.
I Campani avevano ereditato dai Sanniti una predisposizione
alla tessitura della lana che veniva raccolta nei greggi della regione.
Una volta portata in città la lana veniva lavata, stirata e tinta.
I tessuti ricavati venivano trattati con carbonato di sodio,
potassa ed orina umana, che i passanti erano invitati a fornire
servendosi di appositi vasi appesi al muro.
Dalla lana si ricavava anche il feltro, materiale molto richiesto
per la fabbricazione di cappelli, mantelli e coperte.
Esso era fissato con aceto che, dopo essere stato riscaldato,
veniva versato sulla lana da uomini che stavano in piedi,
nudi fino alla cintola, in profonde tinozze.
Una volta impregnata ed infeltrita, la lana veniva pressata e lavorata
fino ad assumere la consistenza necessaria.
Le lavanderie e le tintorie erano denomina fullonicæ
e vi si lavavano i panni,con vapori di zolfo e altri particolari ingredienti.
Per tinteggiare si adoperavano recipienti speciali.
I panni venivano poi asciugati al sole e stirati, pressandoli con il torchio.
Molte attività commerciali erano concentrate nel macellum o mercato alimentare.
Si trattava di una vasta area chiusa contenente negozi,
cappelle, sale per le aste, cambiavalute e il mercato ittico.
Pompei aveva anche un porto, del quale non si conosce l’esatta conformazione,
dove attraccavano le navi per sbarcare il loro carico, che,
su piccole imbarcazioni, arrivava all’interno della piana
risalendo il corso del fiume Sarno.
La vicinanza del mare, che all’epoca lambiva la città,
permise lo sviluppo della pesca, come dimostrato dal ritrovamento
di reti, ami ed attrezzi per la pesca.
Un dipinto portato alla luce a Pompei, in un tempio domestico,
riproduce delle barche da pesca che navigano su un fiume
probabilmente si tratta del fiume Sarno,
allora molto pulito e navigabile, che a quei tempi era distante
circa un chilometro dalla Porta di Stabia .
Altre attività di cui è rimasta testimonianza sono le produzioni di profumi,
le coltivazioni di fiori e di aglio.
I Pompeiani non soddisfatti dei prodotti locali
acquistavano merce di importazione.
Le lampade venivano importate dall'Italia settentrionale,
mentre il vasellame era acquistato nelle Gallie ed in Spagna.
| |