Privacy Policy POMPEI TECNICA E ARTE  


POMPEI

 
 


TECNICA E ARTE

La produzione artistica romana non fu mai ispirata,
dal puro godimento estetico, tipico dell'arte greca.
Dietro le opere d'arte si celava sempre
un fine politico, sociale, pratico.
Anche nei casi del migliore artigianato di lusso
(vasi, cammei, gemme, statuette, vetri, fregi, ecc.).



la bellezza era connessa al concetto di sfarzo, inteso
come autocelebrazione della potenza economica
e sociale del committente.
Le sculture ufficiali avevano sempre intenti celebrativi,
se non addirittura propagandistici ma,
ciò non toglie, che l'arte romana fosse comunque
un'arte "bella" e attenta alla qualità.
Un fenomeno tipicamente romano fu la produzione in quantità
di copie dell'arte greca, soprattutto del periodo classico.
Questo fenomeno prese avvio nel II secolo a.C.
quando crebbe a Roma una schiera di collezionisti
appassionati di arte greca, per i quali ormai
non bastavano più i bottini di guerra
e gli originali provenienti dalla Grecia e dall'Asia Minore.
Il fenomeno delle copie ci è giunto in massima parte per la scultura,
ma dovette sicuramente riguardare anche la pittura,
gli elementi architettonici e le cosiddette arti applicate.
Queste copie, hanno avuto un ruolo importantissimo
nella ricostruzione delle principali correnti artistiche greche,
ma hanno anche perpetrato a lungo tempo negli studiosi moderni
alcune idee errate, come la convinzione che le tipologie
dell'arte greca fossero caratterizzate dalla fredda
accademicità delle copie o che l'arte romana stessa
fosse un'arte dedita principalmente
alla copiatura, falsandone la prospettiva storica.

I Romani comunque, non avevano un diverso apprezzamento
tra l'opera originale e la copia, che evidentemente
erano considerate pienamente equivalenti.
Il passo  che segnò lo stacco tra arte greca e romana
fu la comparsa del rilievo storico,
inteso come narrazione di un evento di interesse pubblico,
a carattere civile o militare.



Il rilievo storico romano non è mai l'istantanea di un avvenimento
o di una cerimonia, ma presenta sempre una selezione didascalica
degli eventi e dei personaggi, composti in maniera da ricreare
una narrazione simbolica ma facilmente leggibile.
Le prime testimonianze di questo tipo di rappresentazione pervenuteci
sono l'affresco nella necropoli dell'Esquilino (inizi del III secolo a.C.)
o le pitture nelle tombe di Tarquinia della metà del II secolo a.C.
(ormai sotto la dominazione romana).

Inizialmente la rappresentazione storica fu sempre
un'esaltazione gentilizia di una famiglia impegnata
in quelle imprese, come la Gens Fabia,
poi, gradualmente,il soggetto storico si cristallizzò
in alcuni temi, entro i quali l'artista aveva limitato motivo
di inserire varianti, a parte quelle particolarizzazioni
legate ai luoghi, ai tempi ed ai personaggi ritratti

L'ARCHITETTURA ROMANA

I Romani si ispirarono ai principi architettonici greci, adattandoli
ai propri gusti e alle esigenze di un Impero dagli immensi confini.
In merito è interessante notare come in ogni città conquistata
i Romani fossero soliti esportare l'idea tipo dell'Urbe
con un'efficiente rete stradale, una piazza, un tempio,
un anfiteatro, le terme ecc.

 I lavori venivano diretti dall'architectus che aveva accanto
 il geometra (mensor), il livellatore (librator) e altri tecnici di supporto.

LE STRADE
Una volta stabilita la direzione di massima del percorso,
 si definiva il tracciato, ovvero il suo andamento
planimetrico e altimetrico che avveniva grazie a operazioni di rilevamento:
l'asse veniva fissato direttamente sul terreno,
per cui venivano stabiliti sul posto i punti in cui sarebbe passata la via.
Mediante un congegno semplice ma funzionale, la groma,
venivano quindi tracciati sul terreno angoli retti.



La realizzazione del corpo della strada richiedeva
ingenti lavori di terra,con l'apertura di trincee
(là dove la piattaforma stradale era tracciata
a quota inferiore alla superficie del terreno)
e la costruzione di rilevati (su terreni troppo bassi).
Inoltre si realizzavano opere speciali come ponti, viadotti e gallerie,
ma, dal momento che lo scavo era effettuato a mano,
con il semplice impiego di bipenne, mazza, cunei e scalpello,
l’apertura di queste ultime comportava un grande dispendio
di energie e quindi si trattava di una soluzione da adottare
solo in casi di estrema necessità.
Tutti questi lavori, naturalmente, avevano bisogno
di opere di sostegno,
di difesa e consolidamento, con muri,tombini,
cunette e canalette di scarico.



Occorreva infatti proteggere il corpo stradale
dall'azione delle acque piovane,
particolarmente dannose per la sede viaria.
La parte centrale della strada era dunque piuttosto convessa,
per favorire il deflusso dell'acqua verso le canalette
di deiezione poste ai lati della strada stessa.
È da tener presente che le strade antiche avevano forti pendenze
e piccoli raggi di curvatura, tanto che potevano non scostarsi dall'asse
di andamento del terreno, con il vantaggio di ridurre al minimo
i movimenti di terra e di limitare la realizzazione di  ponti

.

La strada romana era costituita da quattro strati sovrapposti:
lo Statumen che era lo strato inferiore di circa 30 centimetri
costituito da grosso pietrame legato da malta di calce;
il Rudus che era il secondo strato di circa 15 centimetri,
caratterizzato da pietrame più fino sempre legato a malta di calce;
il Nucleus che era uno strato di circa 10 centimetri di sabbia
e ghiaietta, senza alcun utilizzo di calce;
la Summa Crusta costituita da blocchi di lava, selce o arenaria
di forma poligonale dello spessore di circa 35 centimetri
che venivano affondati nella sabbia del nucleus appena steso.

Per i viaggiatori non mancava il confort.
Alloggio e rifornimento erano assicurati da tabernae (taverne) o Poste.
In ogni Posta si ritirava e si lasciava la posta,
si cambiavano cavalli e cavalieri,
si poteva far tappa per mangiare e dormire,
trovare acqua e biada per i cavalli
e cambiarli quando si andava di fretta.
Le tappe forzate si facevano cambiando continuamente i cavalli
e si dormiva nella biga o carro mentre l'Auriga guidava.
Le distanze tra una città e l'altra erano contate in miglia,
che erano numerate con le pietre miliari
La moderna parola "miglio" deriva infatti dal latino
milia passuum, cioè "mille passi", che corrispondono a circa 1480 metri.
La pietra miliare o miliarum era una colonna circolare
su di una solida base rettangolare, infissa nel terreno
per oltre 60 cm, alta 1,50 m, con 50 cm di diametro
e del peso di oltre 2 tonnellate.
Alla base recava scritto il numero di miglio della strada su cui si trovava.
All'altezza dello sguardo del viaggiatore erano
 indicate la distanza dal Foro di Roma e altre informazioni
sugli ufficiali che avevano costruito o riparato la strada e quando.

Fin dai tempi più antichi l'acqua è stata il bene più prezioso per l'uomo
e i Romani lo sapevano bene.
Per questo furono abilissimi costruttori di acquedotti.

GLI ACQUEDOTTI
raccoglievano l’acqua da diverse sorgenti naturali
situate anche a notevole distanza dalle città
e la trasportavano sfruttando la forza di gravità.
Per assicurare lo scorrere dell’acqua, essi avevano
una pendenza costante e quindi venivano costruiti
con un’inclinazione del 25%
(in media un metro di pendenza per ogni chilometro).
Il punto di partenza era detto caput aquae;
se la fonte era posta in superficie, era un bacino
di raccolta costituito da dighe o sbarramenti,
se era sotterranea, era costituito,
da pozzi e  condutture che convogliavano l’acqua
in un unico punto, detto sempre caput aquae.
I tecnici, al fine di stabilire il percorso dell’acquedotto,
si servivano di uno strumento chiamato coròbate.

Il canale di conduzione (specus) era più grande
di quello che si può immaginare, per permettere a un uomo
di camminarvi in piedi all’interno e provvedere
alla manutenzione dell’acquedotto.
Esso era di classica forma trapezoidale, rettangolare alla base
e triangolare in cima.

I materiali con cui era costruito erano pietra o muratura
con una copertura di cocciopesto
(una speciale mistura impermeabile a base di laterizi e calce mischiati).
I tubi metallici, in piombo o bronzo, erano molto costosi, inoltre,
il primo di questi due metalli non era adatto a lunghi condotti
e veniva impiegato soprattutto per le tubazioni cittadine.
ovviamente non si sapeva che il piombo è cancerogeno.

 Se s’incontrava un ostacolo naturale alla prosecuzione,
l’acqua veniva accumulata in una struttura a forma di torre
e poi fatta discendere, ad esempio lungo il fianco di una vallata,
grazie ad una conduttura forzata, così che il suo stesso peso
portava l’acqua a risalire l’altro costone della valle.
L’acqua che si accumulava, spinta dalla forza di gravità
a proseguire il proprio corso, sospingeva altra acqua
a risalire i pendii senza l’ausilio di alcun macchinario.
Il rischio di tutto ciò era però rappresentato dall’aumento
di pressione e i condotti utilizzati non erano in grado
di resistere a sollecitazioni intense e prolungate.
Si preferiva quindi fare molte deviazioni nel percorso,
per evitare terreni con troppe asperità.
In alternativa si potevano costruire ponti che consentissero
il transito lineare dell’acqua, sempre con il rispetto
della necessaria pendenza, cosicché terminato l’attraversamento
della depressione, il condotto potesse tornare sotterraneo.
I percorsi sotto terra non erano quasi mai in linea retta,
per consentire un miglior deflusso delle acque.
Intorno all’acquedotto era fatto obbligo di rispettare
una fascia di sicurezza di circa un metro e mezzo
se sotterraneo e di quattro metri e mezzo se in superficie;
questo per impedire la pratica degli allacciamenti illeciti
e in ogni caso prevenire ogni attività umana che potesse
ostacolare il corretto funzionamento dell’acquedotto.
Per eliminare le impurità, si usavano vasche di depurazione,
dove la velocità dell’acqua rallentava e il fango
e le altre particelle si depositavano.
Le vasche si trovavano a intervalli regolari
lungo il percorso dell’acquedotto.
Un esempio di cisterna che si è conservato a Pompei
è il "Castellum aquæ"
un grosso serbatoio d’acqua posto sul punto più alto
della città, collegato all’acquedotto.
L’ingresso era chiuso con una porta massiccia.
Il serbatoio all’interno era diviso in tre scomparti:
uno per le fontane, uno per gli edifici pubblici
ed uno per le abitazioni private.
In caso di mancanza d’acqua, si interrompevano automaticamente
le forniture alle case ed alle terme,
mentre restavano in funzione quelle per le fontane pubbliche.

Per i ponti degli acquedotti veniva  costruita
una cassaforma che funzionava da diga.
Essa era formata da pile di assi di quercia
tenute insieme da catene e assi trasversali
che venivano saldamente ancorati al fondo;
quindi si puliva e si livellava il fondale
che rimaneva internamente alla cassaforma
e si riempiva lo spazio interno
fin sopra il livello dell’acqua,con la malta,
realizzata con due parti di pozzolana ed una parte di calce;
mescolate con acqua, e con pietrame (caementa).
Se non si poteva reperire la pozzolana, allora occorreva realizzare
una cassaforma a doppia parete avendo cura
di collegare saldamente le due pareti;
l’intercapedine interna veniva quindi riempita di alghe
ed argilla ben pressate; quindi si ancorava la cassaforma
al fondo e la si vuotava dell’acqua
utilizzando pompe a vite o ruote ad acqua;
si procedeva quindi utilizzando la normale sabbia
in luogo della pozzolana.
Se tuttavia la violenza delle onde o della corrente
impedivano di realizzare la diga, allora si costruivano
all'estremità della terra ferma delle solide fondamenta
realizzando una banchina a strapiombo sull'acqua;
la banchina veniva quindi circondata con degli argini
di legno che rimanevano sopra il livello dell'acqua
e che avanzavano frontalmente nell'acqua;
lo spazio racchiuso dagli argini veniva quindi
riempito di sabbia fin sopra il livello delle acque;
sopra la base di sabbia veniva quindi realizzato
un pilone in calcestruzzo largo quanto più possibile
e che doveva restare ad asciugare per due mesi;
passato tale tempo venivano rimosse le pareti e l'acqua
dilavando la sabbia che sosteneva il masso
lo faceva adagiare sul fondo;
eseguendo ripetutamente tale procedura



GLI STILI ARCHITETTONICI
Gli stili architettonici impiegati negli edifici
furono quelli classici, individuabili per i caratteristici "capitelli":

dorico (a forma anulare senza decorazioni);

ionico (decorato e con grandi volute agli angoli);

corinzio (decorato da alte foglie di acanto);

composito (fusione del corinzio con lo ionico)

I tipi costruttivi si distinguono nettamente nelle varie epoche
denunciando così le date d'inizio e degli ampliamenti
o dei rifacimenti di ogni edificio.
Il primo periodo romano (80 a.C.-14 d.C.) realizza costruzioni
con pietre irregolari e blocchetti quadrati messi a reticolato diagonale.
Il secondo e ultimo periodo romano (14 d.C.-79 d.C.)
introduce l'uso del mattone.

LA SCULTURA ROMANA

Come l'architettura anche la scultura romana s'ispira alla tradizione greca,
in alcuni casi facendo delle vere e proprie copie delle statue elleniche,
riproduzioni grazie alle quali siamo riusciti ad ammirare opere
altrimenti perdute, ed in altri innovando profondamente.



Le società romana esalta, infatti, la prestanza fisica dei guerrieri
e celebra i potenti, collocandosi in tal maniera agli antipodi
rispetto al mondo greco che volge l'attenzione
verso gli dei e le narrazioni epiche.
La scultura romana ci ha donato i busti, assai utili
a diffondere nelle diverse città
i valori incarnati dagli Imperatori.
Tra tutti ricordiamo la Statua di Augusto di Prima Porta (20-17 a.C.),
attualmente conservata nei Musei Vaticani.

LA PITTURA

Le case erano dominate dai dipinti parietali che costituiscono
l'aspetto più straordinario di Pompei.
La varietà di stili nella decorazione pittorica
che riveste le pareti delle case pompeiane è evidente
ed era considerata essenziale all'abbellimento della parete.
Esse cercano di deliziare e ci riescono, facendo pensare
anche che fosse stato raggiunto un elevato livello di civiltà visiva,
ampiamente generalizzata, che si estendeva
fino ai gradini più bassi della scala sociale.
Una civiltà mai superata in alcuna epoca posteriore
e sempre sensibilmente superiore a quanto si possa oggi
trovare in una qualsiasi città di dimensioni paragonabili.

I dipinti a carattere figurativo di Pompei sono quasi sempre copie,
di solito tratte da altre copie di capolavori celebri
dell'arte greca che purtroppo sono andati perduti.
Nei dipinti figurativi si tratta, nella maggior parte dei casi,
di un capitolo marginale, trasferito in Campania,
dell'arte ellenistica o, comunque, di una sua ultima conseguenza.
Essa appare come la proiezione in un ambiente provinciale
della corrente filoellenica presente nell'arte romana.
Sono stati fatti molti studi per decidere se e quali delle pitture
di Pompei, Ercolano, Stabiae e Oplontis possano essere
sicuramente considerate come greche, campane e sannitiche.
In effetti esse dovrebbero essere definite come appartenenti
a tutt'e tre le scuole, con la clausola che alcuni tipi,
in Campania erano conosciuti ancora prima
che venissero introdotti a Roma,anche se,
viceversa, la dominazione romana in seguito doveva esercitare
un'influenza stimolante sugli artisti campani.
La tecnica utilizzata per la realizzazione delle pitture parietali (affresco)
consisteva nell'applicare al muro due o tre strati ben fatti
di intonaco calcareo, mescolato con sabbia e calcite.
Quindi si dipingeva prima il fondo e si lasciava asciugare.
Quando il tutto si era ben essiccato, si aggiungevano le decorazioni.
I colori venivano mescolati con calcare, mentre,
per conferire brillantezza alla superficie,
si aggiungevano anche colla e cera (encausto).
Con tali mezzi le pitture acquistavano durevolezza e lucentezza.
Tra l'altro, i pigmenti usati nell'antichità
erano costituiti soprattutto da terre colorate
come le ocre, da tinte minerali come il carbonato di rame
e, infine, da tinte di origine vegetale e animale.
Non era affatto facile acquistare padronanza della tecnica,
ed era necessaria una grande avvedutezza da parte del pittore,
il quale doveva riuscire a mettere in atto le sue idee
con rapidità per ricoprire la massima superficie nel minor tempo.
Tradizionalmente le pitture delle città vesuviane
sono state assegnate a quattro stili diversi,
susseguentisi nel tempo anche se
qualche volta si sono sovrapposti.
Oggi si pensa che tale suddivisione sia del tutto inadeguata
a rappresentare la varietà delle tecniche pittoriche.
I quattro stili pompeiani per la pittura e la decorazione
delle pareti sono il capitolo più interessante
della manifestazione artistica di Pompei
Il Primo stile è detto a incrostazione o strutturale, (150-80 a.C.)
perché si caratterizza con riquadri e bugne imitanti
il rivestimento di marmi colorati (Casa di Sallustio, del Fauno).

Il Secondo stile è detto architettonico (80 a.C.-14 d.C. circa),
perché ha grandi riquadri con composizioni figurate
alternate a prospettive architettoniche realistiche
(Casa di Obelio Firmo, del Labirinto, delle Nozze d'Argento,
della Villa dei Misteri).

IlTerzo stile è detto egittizzante o ornamentale (inizio circa 14 d. C.)
perché vi predomina il gusto decorativo eseguito
con perfetta cura dei dettagli e con straordinaria finezza
dell'esecuzione e del colore
(Casa di Lucrezio Frontone, Cecilio Giocondo).

Il Quarto stile è detto fantastico (inizio circa 62 d.C.)
poiché gli schemi, le architetture e le prospettive
diventano del tutto irreali e cariche di elementi ornamentali
(Casa dei Vettii, degli Amanti, del Menandro, di Loreio Tiburtino).





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