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BELLEZZA

L‘ammirazione per il bello inteso come perfezione e armonia, riportò in auge
i canoni estetici classici e la necessità di ricercare rimedi
per rendere perfetto ciò che non lo è.
Le donne, per raggiungere la perfezione loro richiesta, erano aiutate,
oltre che dalla tradizione orale che si tramandava di madre in figlia,
anche dall’invenzione della stampa che portò alla pubblicazione
di libri contenenti segreti e ricette di bellezza.

Agnolo Fiorenzuola, monaco di Vallombrosa,  nel suo trattato
“Sopra la bellezza della donna”
ci riferisce quali fossero i canoni di bellezza femminile nel Rinascimento:
“La donna, per essere definita bella, deve avere: capelli folti,
lunghi e di un biondo caldo che si avvicini al bruno;
la pelle deve essere lucente e chiara, gli occhi scuri, grandi ed espressivi,
con un tocco di azzurro nel bianco della cornea; il naso non aquilino;
bocca piccola, ma carnosa; mento rotondo con la fossetta; collo tornito e piuttosto lungo;
spalle larghe, petto turgido dalle linee delicate;
mani grandi, grassocce e morbide; gambe lunghe e piedi piccoli”.
Sfortunatamente non tutte le donne potevano vantare i requisiti indicati:
i capelli biondi erano quasi sempre una rarità e la pelle
quasi mai liscia e “lucente” per un’alimentazione difettosa e la scarsa pulizia.
Nel ‘400, dunque, non mancarono le ricette per “miracolosi” restauri,
bastava seguire i consigli di Caterina Sforza Riario.

Questa donna straordinaria, a lungo contessa di Imola e Forlì,
che governò con pugno definito "virile" dai suoi contemporanei,
scrisse infatti un manoscritto con 454 ricette sperimentate
da lei stessa, molte con la dicitura "è provato".
La raccolta comprende varie categorie di preparati,
fra i quali una serie di ricette di di bellezza.
Ci sono ricette per "fare la faccia bianchissima et bella et colorita",
per "far crescere li capelli", per "far venire li capelli rizzi",
per "far li capelli biondi de colore de oro",
per "far le mani bianche et belle tanto che pareranno de avorio".
La più famosa tra le ricette di Caterina è l'Acqua celeste che, come dice l'autrice,
"è de tanta virtù che li vecchi fa devenir giovani et se fosse in età
di 85 anni lo farà devenir de aparentia de anni 35;
fa de morto vivo cioè se al infermo morente metti in bocca un gozzo
de dicta aqua, pur che inghiottisce, in spazio di 3 pater noster,
ripiglierà fortezza et con l'aiuto de Dio guarirà".
L'acqua celeste era una sorta di tonico che conteneva
decine di ingredienti che venivano distillati e lavorati:
ne facevano parte anche salvia, basilico, rosmarino,
garofano, menta, noce moscata, sambuco,
rose bianche e rosse, incenso e anice.
Essa non è il primo caso di "acqua miracolosa":
già alla fine del XIV secolo era stata distillata
quella di Elisabetta Regina di Ungheria che,
secondo quanto testimonia lei stessa, la fece guarir
dalla gotta e le procurò, alla veneranda età di 72 anni,
una richiesta di matrimonio da parte del venticinquenne re di Polonia.
Ecco tre ricette di bellezza di Caterina Riario:
“A far la facia alle donne bellissima et chiara"
Piglia radice de yreos et radice de cucumeri asinini, lupini,
circer biancho, fava, orzo, seme de melone, ancora polverizza
sottilmente e impasta con aqua de melone, o vero aqua de orzo ben cotta
et impastala in piccola forma et ponilo a seccare a lo aere,
o vero al vento et come è secca polveriza de novo
et piglia de quella polvere et con albume de ovo fa un linimento
sopra la faccia et lassa star per un hora et poi lavala
con semola et aqua tepida, che è mirabilissima.”
"A fare li denti bianchissimi netti et belli et consolidar gengive perfettamente"
Piglia osso de seppia, marmo bianco, passato de ciascuno da essi
con una polvere de coralli once 3. Allume de rocco brusato, mastice e canella once 1,
e fa de queste cose sottilmente piste polvere poi componi con mele rosato
quanto a te p’are bastante, che sia a modo de ontione,
et con questo fregati benissimo li denti che veneranno bellissimi et eccelenti,
et se incarnano et se conserva le gengive optimamente.
"A fare le mammelle piccole et dure alle donne"
Piglia zusverde tanta quantità che faccia una scodella de succo,
et aceto bianco più forte tu puoi et componi lo succo con aceto,
poi bagna ditte pezze di canovaccio in ditta aqua et siano beni bagnati
et poni sopra el petto et abbi doi tazzette di vetrio sopra le pezze
che vadano sopra alle tecte, et muta spesso poi lega con una fascia longa,
più stretto che poi sofferire, et cusì farai piccole dure
et el petto bello, mentre tu fai questo la domina sia casta.
Ed ancora:
Hai i capelli neri o rossi e vuoi essere alla moda?
Ecco la ricetta:
“Per imbiondire i capelli, lavare con acqua di cenere
oppure con acqua di cinapro, zolfo e zafferana bollita”;
Hai la pelle ruvida e rossa? Ecco la ricetta:
“Per guarire il rossore del volto piglia cerusa (biacca di piombo),
olio di viola e mestica insieme e ugne la faccia.
Per rendere un viso bello mestica 24 once di bicarbonato di piombo
con altrettanto di potassio più 5 once di sublimato
et argento in polvere unito ad adragante.
Mettere entro il ventre di un piccione di razza pisana, ben bollito,
che si farà cuocere ben coverto in acqua.
Distillare poi l’acqua e lavarsi il viso mattina e sera”.

Non sempre però questi miracolosi unguenti producevano gli effetti desiderati:
spesso la decolorazione dei capelli portava ad una calvizie inarrestabile
e i trucchi di ringiovanimento della pelle facevano dire al Castiglione,
nel suo “Cortegiano”:
"la donna  sta ferma senza grazia, con la faccia impiastrata
che pare una maschera e non osa ridere per non farsela crepare;
nel giorno si mostra al lume di una torcia come mostrano
i cauti mercanti i loro panni in luogo scuro”.

Nel 1562, G. Mariniello scrisse il primo trattato di cosmetologia dell‘Occidente,
“Gli ornamenti delle donne”.
Non  è un caso che a scriverlo sia stato un italiano,
in Italia infatti, predominava una concezione di vita che celebrava
la bellezza del corpo e italiani furono i primi profumieri.

Grazie ai mercanti veneziani e fiorentini, preziose sostanze orientali
vennero immesse sul mercato per soddisfare le aspirazioni
di uomini e donne desiderosi di piacere e di piacersi.
Una vera mania per i belletti ed i profumi si diffuse
nelle classi più abbienti: vaporizzazioni di mercurio
(di cui non conoscevano la pericolosità),
bistecche crude sulla pelle, ricette segretamente preparate
e riservate a pochissime elette, permisero alle dame
delle corti signorili di avere quell’aspetto che pittori
come Botticelli o Tiziano hanno eternato.

Anche nel Rinascimento, infatti, la pelle bianca era l’ideale per ogni donna.
Tra i rimedi più utilizzati c’era quello di applicare la sera sul viso
una maschera di succo di limone e albume da togliere con acqua fredda
il mattino seguente, mentre le mani si sbiancavano strofinandole
con un impasto di mollica di pane, albume, tartaro e pietra pomice calcinata.
I cosmetici, profumi, ciprie e creme divennero quindi complementi insostituibili
e non sempre benefici, se non addirittura nocivi alla salute.
Malgrado in quest'epoca il trucco fosse considerato come alterazione
dell’immagine di Dio e coloro che preparavano i profumi erano spesso
tacciati di stregoneria, tutte le donne che potevano farlo, si truccavano.
Forse, alla base di tutta questa diffidenza, soprattutto maschile,
nell’uso dei cosmetici, si celava il timore di essere ingannati da un trucco
che potesse far apparire bello ciò che in realtà non lo era.

Il paradosso è che le donne non si lavavano più per evitare di essere
"contaminate" dall’acqua e prendere il colera e invece si truccavano pesantemente,
per nascondere la sporcizia, con prodotti, come la biacca, che le avvelenavano.
Nella maggioranza dei testi sui cosmetici, le parti del corpo
su cui si focalizzava l’attenzione, erano:
 i capelli, il viso, il collo, le mani ed il seno.
La pelle doveva essere rigorosamente bianco panna, ma il bianco
non doveva essere completamente uniforme, doveva essere ravvivato
nei punti strategici (guance, punta delle orecchie, mento, polpastrelli),
che dovevano trasmettere un senso di benessere e attirare lo sguardo);
da sfumature rosee; il bianco era, infatti, considerato il colore della purezza,
della castità e della femminilità, in contrapposizione al tono scuro
che caratterizzava, anche nelle raffigurazioni pittoriche, l’incarnato maschile,
bruno e dunque più mascolino, forte e tenebroso.
Le sopracciglia dovevano essere scure, le labbra e le guance rosee.
Il candore della pelle, indice di stato agiato, opposto
al colore abbronzato dei contadini, rimase un fondamento della moda
per i tre secoli successivi e veniva preservato riparandosi dai raggi del sole.

Il collo e le mani dovevano essere lunghi e sottili, i piedi piccoli,
la vita flessuosa e il seno doveva essere sodo e rotondo e soprattutto bianchissimo.

Nell'ideale di ogni Paese, il colore degli occhi era variabile:
verde in Francia, marrone o nero in Italia.
Anche i capelli dovevano essere ben curati, dovevano essere
lunghi e biondi e quindi si svilupparono vari metodi per schiarirli:
esponendoli al sole o lavandoli con succo di limone.
La fronte doveva essere molto spaziosa, per cui le donne
si depilavano l'attaccatura dei capelli, con creme o pinzette.

Anche gli uomini però cedevano alla civetteria, si tingevano di scuro la barba,
 amavano portare i capelli lunghi fino agli orecchi,
tagliati sulla fronte e pettinati lisci con la riga nel mezzo.

Nella seconda metà del Quattrocento, però,  le acconciature maschili
diventarono ondulate e spesso anche tinte di biondo, come quelle delle donne.
Le barbe erano poco comuni, i volti infatti dovevano essere tutti rasati,
fatta eccezione per i religiosi, i pellegrini e i vecchi popolani.
Nel Cinquecento una barba folta era concessa solo ai nobili, agli intellettuali
come Leonardo o ai grandi artisti, come Michelangelo.

Nell'Italia del Quattrocento apparve una pettinatura maschile
con capelli di media lunghezza, lisci intorno alla testa
e con una frangia diritta sulla fronte.
Tra le donne si diffusero invece lunghe trecce
lasciate cadere sul dorso e ornate da nastri.

Tipicamente italiana fu l'acconciatura con i capelli divisi sulla fronte,
raccolti sulla nuca e coperti da un velo o da una reticella con l'aggiunta
 di un nastro chiamato lenza, che reggeva una perla o un piccolo gioiello.

Nel Rinascimento la bellezza era considerata garanzia
di virtù morale e fonte di ispirazione dei poeti e degli artisti.
In Europa la richiesta di profumi portò presto, nel 1508, alla manifattura
di profumi naturali da parte dei Frati Domenicani
nel monastero di Santa Maria Novella a Firenze.
Più tardi creme ed aceti da toeletta furono prodotti e vennero
ampiamente utilizzati dalle dame delle corti toscane.
Venezia, oltre a divenire uno dei luoghi più famosi per lo sviluppo di profumi,
divenne un importante centro artistico ed il cugino di Tiziano,
Cesare Vercellio, descrive una formula attraverso la quale le dame
potevano ottenere la bella tintura dei capelli chiamata "capelli file d'ore":
"2 libbre di allume, 6 once di zolfo nero e 4 once di miele distillato con acqua."
Dopo aver sciacquato i capelli con questa preparazione era necessario
sedersi sul tetto piatto della casa e lasciare che il sole facesse la sua azione.
L'ossido di ferro e talvolta il solfuro di mercurio erano usati
per truccarsi di rosso, mentre il carbonato di piombo serviva
come polvere per il viso (fondo tinta).
Tuttavia il truccarsi gli occhi era considerato di cattivo gusto
nei paesi occidentali dell'epoca.
Quando Caterina de Medici, sposò Enrico II di Francia nel 1533
(all'età di 9 anni), portò nella propria corte dall'Italia
il suo astrologo e alchimista Ruggiero, che ben presto si assicurò
una meritata fama di avvelenatore e il suo profumiere di fiducia,
Renato Bianco, noto come René il Fiorentino.

Si dice che Renato Bianco fosse stato un trovatello
allevato nel convento di Santa Maria Novella, dove fu assegnato,
verso i dodici anni, al servizio di un vecchio frate alchimista
che gli insegnò i segreti della distillazione delle erbe.
Alla morte del suo Maestro, Renato si ritrovò con un bagaglio
di conoscenze superiore a qualsiasi altro monaco del convento.
Ambizioso e bramoso di raggiungere il successo con le essenze odorose
che oramai preparava con somma maestria, riuscì a farsi ricevere
dalla giovanissima Caterina de’ Medici la quale, irretita dai profumi
e dalla sua eloquenza, lo ammise al proprio seguito come profumiere di fiducia.

A Parigi divenne presto molto famoso ed aprì un negozio di successo
a Pont Saint Michel, una delle vie più eleganti della capitale,
dove vendeva profumi, polveri, pomate e cosmetici
per le dame della corte e la ricca aristocrazia.
Fu anche un grande avvelenatore e anche in questa attività volle essere unico.
Era usanza presso i nobili portare la biancheria intima nel negozio di Pont Saint Michel
perché i commessi la profumassero impregnando i tessuti con sostanze odorose.
René studiò una composizione nella quale intingere la biancheria prima di profumarla.
Nulla la distingueva dagli altri tessuti diversamente trattati,
ma, una volta indossati gli indumenti, l’inerte sostanza, reagendo
con il calore del corpo o il sudore, diveniva attiva e simile a
un potente acido scorticava e ustionava le carni del malcapitato.
Le piaghe ben presto s’incancrenivano e il poveretto moriva tra atroci sofferenze.
La nobiltà e i potenti, dopo diversi drammatici casi, intuirono
che il fautore di quel sortilegio era René ma, non potendo sottrarsi
all’obbligo di profumarsi la biancheria intima, continuò a “passare”
dal negozio di Pont Saint Michel con il rischio, da parte dei nobiluomini,
di divenire vittime del composto di "le Florentin".
L’unico modo per prolungarsi la vita, oltre a costringere i servitori
a indossare per un giorno le camicie dei loro padroni,
era quello di colmare di onori il maestro, insignirlo di cariche illustri,
sommergerlo di denaro e attirarlo dalla propria parte.
In poco tempo, René le Florentin divenne l’uomo più amato e più odiato di Parigi.

Mary, regina di Scozia, trascorse la sua adolescenza alla corte francese,
e fu lì che apprese una ricetta semplicissimo per la bellezza del viso.
Questa ricetta consisteva nel lavarsi il viso con acqua bollente
e successivamente con il vino per renderlo colorito.
Si narra anche che fosse solita farsi il bagno con il latte.

L'interesse per i profumi raggiunse l'Inghilterra, trasferitovi dall'Italia,
durante il regno della Regina Elisabetta I, che incoraggiò fra le donne inglesi
l'uso di fiori ed erbe per profumare le case e l'uso di lozioni e pomate profumate.
Un preparato fatto con latte di mandorle, limone e miele venne utilizzato
per proteggere e sbiancare le mani; una lozione di olio di rosmarino,
camomilla, saggina, timo, southerwood e chiodi di garofano,
aiutava invece i capelli a crescere grossi e luminosi.
Verso la fine del secolo molte delle grandi case avevano una stanza
dove le dame preparavano da sé i loro cosmetici.
La maggior parte delle persone teneva in tasca o appesi alla cintura,
sacchetti di seta colorata o di lino
 riccamente profumati con petali di rosa
mescolati al muschio, laudano, benzoino e calamo.
Furono inoltre sviluppate molte ricette per sbiancare i denti
e nascondere o curare i brufoli.
Esistevano anche modi per mantenere il seno alto, giovane e sodo.

In assenza di protesi e quant’altro o ci si accontentava di quello che Madre Natura
aveva più o meno generosamente elargito oppure si agiva per migliorare
leggermente la situazione, ma senza aspettarsi miracoli.
A differenza della moda attuale, che propone seni enormi,
per la maggior parte del periodo rinascimentale la tendenza fu quella
di sfoggiare seni piuttosto piccoli e castigati, almeno in determinati ambienti;
per cercare di ridurre i seni troppo ingombranti giudicati poco eleganti e raffinati,
si ricorreva ad applicazioni di coratella di lepre e midollo di zampa di montone,
ingredienti che, se usati con costanza, avevano, pare, la capacità di ridurre il volume del seno .

In questo periodo il concetto di igiene fu diverso dal nostro.
Non vuol dire però che l’uomo non si occupasse della pulizia, solo,
la toilette era concepita in altro modo:
asciutta e attenta soprattutto alle zone più evidenti.
Queste ultime erano, ovviamente, mani e viso che venivano semplicemente “bagnati”.
Generalmente però, ci si lavava sfiorandosi con un panno asciutto.
Si credeva, infatti,che l’acqua fosse nociva perché penetra nei fori
della pelle e rompeva l’equilibro umorale: il bagno rendeva fiacchi e deboli
e quindi predisponeva il corpo al contagio.
Era impossibile quindi pensare al bagno senza adottare rigorosi accorgimenti:
riposare, rimanere a letto, proteggersi con indumenti adeguati.
L’accumularsi di tante preoccupazioni lo resero complesso e quindi raro.
Nel Rinascimento il contatto veniva visto come uno dei rischi maggiori in corso di peste.
Si consigliava quindi di evitare i contatti, esporre i corpi all’aria infetta
e l’uso dei bagni pubblici.
Un galateo del XV secolo consigliava i figli dei nobili di accettare i parassiti
come cosa naturale ma “di non grattarsi la testa a tavola, prendere dal collo
e dalla schiena pidocchi, pulci o altri parassiti ed ammazzarli in presenza di altra gente”.





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