Privacy Policy RINASCIMENTO CO NDIZIONE DELLA DONNA


 
 


CONDIZIONE DELLA DONNA

La condizione della donna nel Rinascimento (XV – XVI secolo) è per certi versi
uguale a quella delle epoche storiche precedenti.
Alcuni storici anzi, come l'americana Joan Kelly-Gadol, sostengono che nel Rinascimento
la condizione della donna  addirittura peggiorò rispetto al periodo medievale,
traducendosi in una perdita di potere e di possibilità di libertà.
Questa tesi è vera solo in parte in quanto fu proprio in questo periodo
che proliferarono i salotti culturali nelle corti italiane ed europee,
patrocinate da patrizie, duchesse, governatrici e regine.
Bisogna comunque dividere la condizione della donna di ceto elevato
del periodo rinascimentale, in due momenti:
nel primo, in giovane età è asservita agli interessi della famiglia di origine
e viene sposata per stabilire alleanze o condannata ad una vita
di clausura per non disperdere il patrimonio.

Nel secondo, in età più tarda, assolto il dovere di procreare,
spesso in condizione di vedovanza, può disporre liberamente della propria libertà
e delle sue sostanze, seguendo gli interessi culturali e le inclinazioni sociali amate.

Secondo le opinioni del tempo, la donne, pigra già in utero, era considerata addirittura
frutto di concepimenti "inferiori", veniva "dimenticata"dai genealogisti,
abbandonata più spesso dei maschi, vittima più frequentemente di infanticidio.
Era ritenuta "un uomo a metà", considerata un peccato,
 poteva facilmente essere sedotta dal diavolo ed era peccatrice.
Nella famiglia, quando nasceva una figlia, era un momento di sconforto.
Se la conseguenza della nascita di un erede maschio comportava a volte,
anche il condono di debiti o la concessione della grazia ai prigionieri,
il tutto condito da festeggiamenti sfarzosi, una figlia era accolta
sempre con una certa preoccupazione dai genitori.

Una femmina, non solo non perpetuava il nome della famiglia, ma doveva
essere allevata al riparo dalle tentazioni pericolose e doveva essere
accasata con tutto il peso economico che questo significava.
La maggior parte delle ragazze continuò ad essere tenuta
all'oscuro da ogni nozione, ma, grande innovazione del periodo,
 le giovani donne provenienti da famiglie ricche, si avvicinarono all'istruzione.

É infatti in questo periodo che compaiono le prime opere letterarie italiane al femminile.
Tra le poetesse e letterate del ‘500 ricordiamo Vittoria Colonna (1490-1547)
la più famosa del periodo, soprattutto per il circolo che animava e che annoverava
tra gli altri, Michelangelo Buonarroti che di lei scrisse:
“Un uomo in una donna, anzi uno dio.”

Alla sua morte, Michelangelo scrisse:
“Morte mi tolse un grande amico”.
Altre donne letterate furono la veneta Gaspara Stampa, cortigiana veneziana molto colta,
che raggiunse un alto rango sociale e scrisse intense rime d’amore non corrisposto,

Veronica Gambara (1485-1550), Isabella di Morra (1520-1589) uccisa dai fratelli
per una corrispondenza segreta con il poeta spagnolo Diego Sandoval de Castro,
Tullia d’Aragona, Laura Battiferri, Veronica Franco, Isabella d’Este,
 Laura Terracina (che col nome di Febea fu membro dell’Accademia degli Incogniti),
Modesta Pozzo (più conosciuta come Moderata Fonte) che morì a soli 37 anni,
poco dopo aver concluso il suo “Il merito delle donne”
dove si discute di pregi femminili e difetti maschili, primo tra tutti
l’uso della forza per tenere la donna in stato di soggezione.
Fra i suoi versi più famosi ricordiamo:
“Libero cor nel petto mio soggiorna non servo alcun, né d’altrui son che mia”.
All’estero figure di grande rilevanza furono Margherita di Navarra (1492-1549)
sorella del Re di Francia, poetessa, moralista, mistica e umanista che scrisse
 rime e prosa e leggeva Dante in italiano, Platone in greco, Lutero in tedesco

Le donne dei ceti medi e superiori non dovevano sapere niente di più di quello che occorre;
dovevano essere caste, silenziose e obbedienti, dovevano apprendere
le pratiche tessili e quelle relative alla gestione domestica.
Le ragazze di "buona famiglia" venivano educate
alla cura della propria persona e della futura famiglia.
Fino a pochi giorni prima dalle nozze
subivano una specie di clausura, durante la quale veniva loro impartita
un'istruzione pari a quella degli uomini del loro stesso ceto sociale.
Studiavano un po' di medicina, sapevano riconoscere e manipolare le erbe
da cui estrarre cosmetici e medicamenti; imparavano il latino, la storia,
la letteratura, la filosofia, la musica, il canto e la danza.
Alcune, poi, curavano in modo particolare la poesia, la pittura,
la scultura o il suono di uno strumento musicale.

L'educazione femminile fu una vera e propria innovazione di questo periodo,
anche se la maggioranza delle persone la riteneva ancora
una cosa non necessaria o addirittura dannosa!
“La donna è di vetro e quindi non si deve far la prova se si possa rompere o no,
perché tutto può essere. Ma è più facile che si rompa e quindi sarebbe una pazzia
esporre al rischio di rompersi ciò che, dopo, non si può più accomodare”.
(Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia.).
E ancora
“La femina è animale imperfetto, passionato da mille passioni spiacevoli 
e abominevoli pure a ricordarsene, non che a ragionare [...]
Niuno altro animale è meno netto di lei: non il porco, qualora è più nel loto convolto,
aggiugne alla bruttezza di loro”.
 Giovanni Boccaccio, Corbaccio.
Sin dall'infanzia le bimbe venivano sorvegliate, perché non avessero
troppi contatti con i servi o gli schiavi, persone poco raccomandabili.

Per evitare questo tipo di inconvenienti, erano mandate in convento, dove potevano
 studiare e stare al riparo dalle cattive compagnie, fino agli undici-dodici anni.
Uscite dal convento, le ragazze erano pronte ad imparare i loro doveri di donne,
per divenire delle perfette spose, sotto la guida materna.
Innanzi tutto, dovevano avere una conformazione fisica adatta alla procreazione
di numerosi figli ed essere sane, in modo da dare al marito eredi forti e robusti.
Oltre alle caratteristiche fisiche, dovevano possedere delle precise qualità morali.
La perfetta sposa doveva essere: pulita negli abiti e nel corpo,
discreta, modesta e, soprattutto, onesta.
Doveva rispettare ed ubbidire ai suoi parenti, cosa che lasciava supporre
che sarebbe stata fedele nel matrimonio.
Doveva saper filare, cucire e accudire un'abitazione.
Queste caratteristiche, non dovevano essere tipiche solo della futura sposa,
ma anche di tutte le donne della sua famiglia, poiché si riteneva che
"quale la famiglia, tale la figlia!".
Gli anziani del futuro marito indagavano quindi, sugli ascendenti
delle giovani pretendenti al matrimonio, inoltravano le ragazze allo sposo
e questi sceglieva la sua consorte, non sulle basi di un presunto amore,
bensì vagliando i vantaggi di un'alleanza con una famiglia, piuttosto che con un'altra.

Nell’opera “Consigli a una moglie giovane” Ludovico Dolce
considera il matrimonio il mezzo per dirigere nella vita sociale
la forza sviante della figura femminile, per fare in modo che la sua imperfezione
naturale possa disciplinarsi alla presenza dell’universo maschile.
La donna deve riconoscere il marito come suo unico punto di riferimento
e vivere in sua funzione, ha come dovere primario l’adattarsi ad ogni situazione
 e di amare sempre il consorte, non considerando come si comporta.
 Lei non gestisce il suo corpo, esso è “proprietà” del marito
che ne usufruisce a suo piacimento.
Nel Rinascimento aumentò la dote che la famiglia della sposa dava alla famiglia del marito.
Maritare una figlia costava un sacco di soldi e fra le famiglie meno abbienti,
 una dote poteva dire intaccare le risorse della famiglia fino all'impoverimento.
Certo è che senza dote, nell'Europa del Rinascimento, una ragazza non poteva sposarsi.
L'onore di una famiglia ruotava intorno "alla conservazione della verginità di una figlia".
Il freno dell'onore valeva tanto per i contadini quanto per i patrizi dell'Italia urbana.
"A Venezia nel quattordicesimo secolo, gli Avogadori di Comun accusarono l'uomo
che aveva stuprato e sequestrato la figlia del maestro Guidono Frami
di aver gravemente danneggiato l'onore del suddetto maestro. [...]
Enorme indignazione suscitò lo stupro di massa delle donne (anche le monache)
di Piacenza che nel 1447 furono stuprate  dall'esercito del duca Francesco Sforza.

Tuttavia le figlie avevano anche un valore per i padri in quanto offrivano la possibilità
di contrarre alleanze vantaggiose con altre famiglie.
Alle figlie veniva spesso richiesto di rinunciare a due "diritti":
quello sulla proprietà paterna al di là della dote e quello ad una libera scelta sessuale.
I genitori sceglievano i mariti per le figlie e ne negoziavano la sistemazione economica
per lo più senza che queste potessero intervenire.
Una volta sposata, la donna aveva il compito di procreare, restando chiaramente
fedele al marito, doveva vegliare sulla famiglia e, in assenza del coniuge,
gestire la casa, limitandosi però, alle funzioni di governante,
poiché solo il marito aveva il diritto di amministrare il patrimonio familiare.
La sposa non aveva nessun diritto di chiedere al marito come impiegasse
 il tempo che non passava con lei, né doveva sapere quale attività
 questi svolgesse, tanto meno poteva immischiarsi dei suoi affari.
Come in passato, inoltre, non aveva il diritto di uscire di casa non accompagnata
e poteva solo affacciarsi dal balcone mantenendo sempre un atteggiamento
dignitoso e grave, di modo che i vicini non potessero pensare male.

Non doveva neanche truccarsi con nessun tipo di cosmetico, perché questo era
indizio di malcostume e poteva attirare i "cacciatori di gonnelle".
Queste erano le direttive del tempo, che non prevedevano nessun tipo di distrazione,
tranne forse qualche festa familiare ogni tanto (matrimoni o battesimi).
Chiaramente queste direttive si riferivano ad un ideale,
che non veniva necessariamente applicato alla regola.
É anzi facile dedurre, che i costumi, in pratica, fossero ben diversi.
Alcune testimonianze storiche ci riferiscono infatti, di donne che si occupavano
degli affari del marito o che passavano ore a chiacchierare dal balcone
con le proprie amiche oppure davanti allo specchio per truccarsi.

In realtà la condizione delle donne  cambiò molto, rispetto ai periodi precedenti
e non smise di evolversi, verso una sua maggiore liberalizzazione  nella società.
Non che le donne non rimanessero ancora confinate nella casa familiare,
ma vi fu un progressivo miglioramento della condizione femminile,
anche se le più libere erano ancora le cortigiane.

Vi fu poi un aumento dei matrimoni per amore ed una maggiore valorizzazione
della figura femminile nell'arte, cosa probabilmente dovuta
ad una più assidua partecipazione delle donne alla vita sociale.
A partire dai 25 anni, quasi tutte le donne e in quasi tutti i gruppi sociali,
si trovavano ad affrontare più volte il ciclo di nascita, allattamento e ancora nascita.
Ogni 24 o 30 mesi ogni donna nel Rinascimento diventava madre
e questo è testimoniato anche da esempi  illustri come quello di Henrietta
 moglie di Carlo I d'Inghilterra che fu incinta senza interruzioni dal 1628 al 1639,

Ci fu una donna poi, Antonia Masi, che  si dice abbia avuto 36 figli !!!!!!!
La gravidanza era un pregio e un privilegio.
In Italia la puerpera veniva festeggiata e coccolata.
I dolori del parto erano inevitabili e come Medea, nella tragedia di Euripide
aveva detto:  " mille volte meglio andare in battaglia che partorire",
così si  espresse anche una scrittrice medievale.
I bambini intanto morivano più facilmente degli adulti:
di diarrea, fame, influenza, catarro, tubercolosi.
E i figli dei poveri ancora più frequentemente.
Magdalucia Marcello ebbe 26 figli ma solo 13 raggiunsero la maturità fisica.
Quali sentimenti provavano queste donne?
Se per alcune donne i neonati erano considerati esseri effimeri,
per altre la morte di un figlio generava una grande sofferenza.
Molti bambini morivano per "soffocamento da schiacciamento"
e così spesso che si pensò a infanticidi.
Fra le donne accusate di questo reato le più sospette erano le madri nubili
che erano considerate responsabili di fronte alla legge.
Molto spesso era la miseria che spingeva le madri ad abbandonare i figli.
A volte questi bambini morivano ma spesso venivano "trovati"
per diventare schiavi, servitori o prostitute o figli adottivi.
Questa situazione spiega la piccola dimensione della famiglia povera
e l'ampiezza della famiglia ricca, così come la vasta popolazione servile
formata in gran parte da giovanissimi.

I bambini, e più spesso le bambine, morivano nell'allattamento.
Solamente chi nasceva in una famiglia molto altolocata aveva la balia in casa.
Questo servizio era infatti molto costoso.
Fra tutti i salari della servitù, i più alti erano quelli delle balie.
Quindi la maggior parte delle ricche famiglie cittadine mandava la prole
in campagna a crescere con uno svezzamento di tre o anche più anni.
Molte di queste creature non sopravvivevano.
Il padre, in linea di massima, non aveva con il bambino nessun
tipo di rapporto, tanto meno di natura affettiva.
Le cure del piccolo erano demandate esclusivamente alla madre,
che nei ceti sociali più alti ricorreva alla balia.
La nascita di bambini deformi o la loro morte prematura,
continuò ad essere interpretata come un castigo per la madre
che si era macchiata di chissà quali colpe segrete,
la cui esistenza veniva svelata proprio dall'incapacità
di generare un figlio sano o forte abbastanza da sopravvivere.
Pur restando politicamente ed economicamente ancora fortemente
soggette agli uomini, si propagò un modello di socialità filo-femminile grazie
 alla diffusione delle corti, che influì progressivamente sulla vita italiana.
La donna era sempre, principalmente, una fonte di piacere per l'uomo,
ma le dame rinascimentali iniziarono a intuire quali fossero le molle
delle libertà degli uomini e si incamminarono in un processo di lento,
ma progressivo, di ampliamento della loro funzione sociale.
Sono infatti di questo periodo, anche alcuni lunghi discorsi sull'eguaglianza
dei sessi, che ci testimoniano come qualcosa avesse cominciato a muoversi
e come si stesse avvicinando la necessità di riconsiderare
 il concetto di donna e il suo posto nella società.
Alcune donne impugnarono le armi o esercitarono poteri ancora più formidabili.
Nello stesso secolo di Giovanna d'Arco, dominò con la sua forza Caterina Sforza,
un personaggio tradizionale ma audacemente indipendente.

Nipote di Francesco Sforza, dopo l'assassinio del marito, Girolamo Riario, nel 1480,
difese Imola e Forlì contro il nemico che aveva in ostaggio i suoi sei figli.
Dodici anni dopo comandando la difesa di queste città fu sconfitta,
forse violentata da Cesare Borgia.
Interessantissimo il romanzo "La bastarda degli Sforza" di Carla Maria Russo
su questo personaggio.
Se nei ceti sociali alti la donna poté cominciare a godere di un minimo di autonomia,
confermata dalla possibilità di studiare e di condurre una vita più autonoma,
sempre nei limiti imposti dalla morale comune, nei ceti più bassi
la sua condizione era sempre di netta subordinazione alla figura maschile.
Infatti era considerata ancora e solo in relazione al suo rapporto con un uomo.
Ella era figlia, sorella, moglie e madre.
Il matrimonio era la tappa culminante nella vita di una ragazza che.
per raggiungere tale scopo, non esitava ad andare a lavorare
lontano dalla sua famiglia di origine, magari al servizio
di una famiglia benestante, pur di mettere insieme la dote,
elemento necessario, in tutti ceti sociali, per contrarre il matrimonio.
Il lavoro femminile si diffuse rapidamente, anche se non fu accompagnato
dall'aumento di autonomia; infatti una donna lavorava prima del matrimonio,
ma raramente dopo, a meno che la famiglia non versasse in condizioni economiche disperate,
e anche in questo caso non era lei a gestire il guadagno del suo lavoro, ma il marito.
Se nelle classi abbienti era previsto che le donne dipendessero economicamente dagli uomini,
ci si aspettava che le donne delle classi lavoratrici si mantenessero da sole,
sia prima che dopo il matrimonio.

Non ci si poteva infatti aspettare che gli uomini delle classi povere,
sia in qualità di padri che di mariti, potessero provvedere da soli
al fabbisogno di tutta la famiglia.
Nonostante questo onere, però, la società non si aspettava che le donne
potessero o dovessero vivere in uno stato di completa indipendenza.
Per questo motivo, una donna poteva essere pagata meno per il suo lavoro,
perché si riteneva che, in ogni caso, un uomo avrebbe provveduto a lei.
Le donne lavoratrici, non ancora sposate, dovevano partecipare alle spese familiari.
Se non riuscivano a trovare un lavoro abbastanza remunerativo,
potevano andare a vivere con la famiglia del loro datore di lavoro,
il quale scalava dal loro stipendio il corrispettivo dovuto al loro mantenimento.
In questo modo una donna, non solo risparmiava alla sua famiglia
l'onere del proprio mantenimento, ma si impegnava ad accumulare la dote
e ad attirare, con la sua abilità lavorativa, un futuro marito.
La società si impegnava infatti ad instillare nelle bambine,
fin dalla più tenera età, l'idea che il matrimonio avrebbe fornito loro
rifugio e aiuto, cosa che portava circa l'ottanta per cento delle ragazze di campagna
a lasciare la casa, a malapena dodicenni, per iniziare ad accumulare la dote.
Dai successi raggiunti in campo lavorativo, dipendeva il futuro della giovane donna.
Le ragazze di bassa estrazione, oltre alle qualità tipiche delle donne,
come saper filare e cucire, dovevano anche acquisire una specializzazione lavorativa.
I lavori più ambiti, per chi viveva in campagna, erano quelli di servitrici
nelle grandi fattorie, perché permettevano alle ragazze di restare vicine
alle loro famiglie e di non cambiare radicalmente il proprio stile di vita.
Chi non riusciva a trovare lavoro in campagna, doveva spostarsi in città.
Bisogna considerare che città significava spesso, il più vicino borgo,
circa cinquemila abitanti, in cui le giovani potevano trovare,
con maggiore facilità, un impiego come donne di fatica.
Questi lavori variavano nella quantità delle mansioni da svolgere,
che comunque erano tutte pesanti, come lavare la biancheria,
svuotare le latrine, pulire la casa e cucinare.

Le ragazze provenienti da famiglie notoriamente oneste o che avevano maggiori contatti,
potevano aspirare a posti di servitù più alti, come domestiche o servitrici personali.
La quantità di servitrici in una casa era un indice di status sociale, ed era
uno dei primi lussi che una famiglia in ascesa economica, si concedeva.
Le giovani donne che vivevano in zone industriali o commerciali, potevano invece
trovare un'occupazione come tessitrici o se provenienti da famiglie di artigiani,
curare alcuni aspetti della produzione.





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