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ECONOMIA

Nel 500 l’economia europea era in ripresa e la popolazione
ricominciò a crescere dopo la crisi del XIV secolo.
La produzione agricola e artigianale aumentò, perché la domanda
di prodotti era alta e la manodopera abbondante.
Il commercio, con le scoperte geografiche, assunse dimensioni mondiali,
per cui i mercanti, grazie all’argento che proveniva dalle colonie americane,
accumularono capitali da investire, per ottenere profitto:
nacque così il Capitalismo.
Il dato più significativo di questo periodo fu l'aumento della popolazione
di cui siamo venuti a conoscenza grazie ai censimenti e ai registri parrocchiali.
La crescita demografica fu risentita in misura notevole
nelle città interessate da un movimento migratorio dalle campagne,
l'aumento della popolazione fu molto rapido, anche se la durata della vita
restava molto bassa, soprattutto a causa dell'elevata mortalità infantile.
La società dell'epoca era infatti molto più giovane della nostra
anche a causa dei numerosi figli per famiglia.

Le cause dell'aumento della popolazione sono ancora oscure
ma la conseguenza più evidente fu l'aumento del costo della vita
che non riguardò tutti i paesi contemporaneamente e nella stessa misura
e non interessò in uguale misura tutti i generi di prima necessità.
I più alti aumenti interessarono in particolare i cereali, il grano, l'orzo, la segale.
Ne derivò un vasto processo di cerealizzazione dell'agricoltura
che dipendeva dal fatto che la produzione di questi generi
non teneva il passo con l'aumento della popolazione.
Gli uomini del XV secolo si impegnarono in una dura lotta per accrescere
la quantità delle loro risorse, mediante l'estensione degli spazi coltivati,
modificando il sistema di rotazione triennale dei campi e cioè cercando
di ridurre la quantità di suolo destinata al maggese, ricorrendo
 alla concimazione e a numerose bonifiche
nella Maremma, nella Repubblica Veneta e a Napoli.
Si fecero anche molti progressi con l'irrigazione che rese coltivabili molti campi.

Una percentuale altissima di persone era occupata nell'agricoltura,
sia perché la domanda principale si è sempre concentrata sui beni alimentari,
sia perché sino al 1700 inoltrato, la produttività dell'agricoltura era scarsa;
dunque per sfamare la popolazione,  erano necessari molti contadini.
Non stupisce quindi, che la percentuale degli occupati in agricoltura
andasse dal 65 al 90%.
Il largo margine dimostra come la percentuale variasse da regione a regione.
Ad esempio Venezia e i Paesi Bassi, dotati di importanti porti, potevano comprare
 le granaglie  in altri paesi, risparmiando sulla manodopera agricola
e indirizzando i lavoratori verso altri settori.
Quanto alle professioni e occupazioni del resto della popolazione,
non è possibile fornire dati generali anche se i settori trainanti,
dopo quello agricolo, erano generalmente, quello della distribuzione
degli alimenti e quello del tessile.

Non si può del resto fare una mappatura esauriente per settori di occupazione,
perché spesso le persone, svolgevano più attività.
Per quanto riguarda l’agricoltura, verso la metà del XIII sec.
ebbe inizio in molte città-stato repubblicane,
la liberazione dei contadini dalla servitù della gleba.
A ciò naturalmente non corrispose un'equa distribuzione
della terra ai contadini liberati: la libertà concessa
era solo giuridica, non economica.
Con la sola libertà "formale" essi non potevano fare altro
che trasformarsi in operai salariati o in braccianti, sfruttati
dagli artigiani arricchiti, dai maestri delle corporazioni,
da mercanti-imprenditori, da altri ricchi contadini neo-proprietari
o dagli stessi feudatari di prima, anche se con altri metodi:
ad es. la mezzadria, la rendita in denaro, ecc...
Naturalmente non mancarono proteste e rivolte contadine, per
una distribuzione più equa delle proprietà, ma queste rivolte furono sempre
duramente represse, anche se contribuirono alla transizione
dal feudalesimo al capitalismo.

Già nel XIV sec. erano avvenute grandi trasformazioni anche nella produzione
artigianale controllata dalle corporazioni.
Si era constatato che l'ostinazione nel mantenere la piccola produzione,
i metodi e gli utensili tradizionali e la tendenza a frenare
l'ulteriore progresso tecnico (che diventava fonte di concorrenza
tra i singoli artigiani della medesima specializzazione),
avevano trasformato le corporazioni in un ostacolo al progresso
della tecnica e allo sviluppo della produzione.
Accadde allora che singoli artigiani, per soddisfare le aumentate esigenze
del mercato interno e soprattutto estero, cominciassero ad allargare
la loro produzione aldilà delle rigide barriere corporative.
Quelli che possedevano le botteghe più grandi commissionavano il lavoro
ai piccoli artigiani, consegnando loro la materia prima o semilavorata
e ricevendo il prodotto finito.
In tal modo aumentava la ricchezza degli artigiani più abbienti
e lo sfruttamento di quelli piccoli, ivi inclusi gli apprendisti e i garzoni.
Anzi, col tempo, la qualifica di "maestro" divenne accessibile solo
 agli apprendisti e ai garzoni imparentati con la famiglia dell'imprenditore.
Gli altri garzoni e apprendisti si trasformarono in operai salariati a vita.
I contadini senza terra, i garzoni e gli apprendisti, i braccianti,
i piccoli artigiani costituivano la grande maggioranza
dello strato inferiore degli abitanti delle città.

I piccoli artigiani, in particolare, venivano sfruttati anche dai mercanti
che fornivano loro materia prima, impegnandoli a rivendere
 loro i prodotti finiti e rendendoli così economicamente dipendenti.
Questo processo servì da punto di partenza per la manifattura capitalistica.
Nelle fabbriche di panno (opifici) cominciarono a lavorare contadini
senza specializzazione e artigiani caduti in rovina.
Ogni operaio doveva svolgere una sola operazione.
Tale divisione del lavoro era ignota all'artigiano della corporazione
e anche al contadino (che nel periodo invernale, peraltro,
svolgeva anche mansioni da artigiano).
In seguito, questo metodo si estese anche nei settori della metallurgia,
nell'estrazione dei metalli, ecc.
Sorsero poi unioni d'imprenditori che si occupavano contemporaneamente
del commercio, dell'industria e dell'attività bancaria
e che smerciavano la produzione soprattutto nei mercati esteri
(cioè nei paesi dell'Europa occidentale, del Mediterraneo orientale e dell'Asia).
La domanda estera contribuì, a sua volta, a sviluppare la manifattura:
il lavoro cioè in un unico luogo di un gran numero di operai
sotto la direzione di un capitalista.
Le prime manifatture dell'Europa tardo-feudale sorsero nelle città italiane
più sviluppate e in alcuni centri del commercio d'esportazione di altri Paesi
(come ad es. le città delle Fiandre, dell'Olanda, ecc.).
Lo sfruttamento degli operai era notevole: la giornata lavorativa,
in media, era di 14-16 ore, sotto lo stretto controllo dei sorveglianti,
con salari molto bassi, coi quali spesso l'operaio doveva pagare delle multe
anche per le più piccole infrazioni.
La prima rivolta degli operai salariati avvenne a Firenze nel 1343:
fu quella dei cardatori di lana.
Poi ci fu quella dei lanaioli a Perugia nel 1371.
A Siena di nuovo i cardatori e infine il grande tumulto dei Ciompi a Firenze nel 1378.

Queste ed altre rivolte non ebbero effetti politici significativi,
in quanto nelle città vennero conservati gli ordinamenti precedenti
e i padroni mantennero il possesso dei laboratori, delle botteghe,
degli opifici e anzi, proprio per questa ragione, divennero sempre più autoritari.
Gli insorti invece, male organizzati e troppo spontaneistici, venivano
generalmente travolti dalle forze militari dei poteri costituiti.
E tuttavia, se i tumulti popolari non riuscirono a trasformare il capitalismo
 manifatturiero italiano in un sistema produttivo più equo e democratico,
il frazionamento politico-economico del territorio (nel quale esso si era pur formato)
ne impedì l'ulteriore sviluppo, determinandone infine la decadenza.
Le città italiane, isolate fra loro economicamente, commerciavano merci
di produzione propria, che finivano principalmente sui mercati esteri.
Per la conquista di questi mercati le città erano sempre in concorrenza fra loro:
di qui le interminabili guerre, che portavano sempre,
 all'indebolimento delle reciproche parti.
Alla fine del '400 la situazione in pratica era la seguente:
a Milano i duchi della famiglia Sforza, a Venezia l'oligarchia commerciale,
a Firenze i Medici, nell'Italia centrale lo Stato della Chiesa
e a sud il Regno di Napoli, governato dalla dinastia spagnola degli Aragona.
Lo Stato della Chiesa e il Meridione erano praticamente sottosviluppati:
il papato, oltre ad ostacolare fortemente l'unificazione della penisola,
spesso chiamava in Italia i conquistatori stranieri
allo scopo di consolidare il proprio prestigio
(famosa fu la rivolta a Roma di Cola di Rienzo nel 1347).

La mancanza di un unico mercato nazionale fu il motivo principale
della decadenza economica dell'Italia.
Le barriere doganali, i dazi elevati, il protezionismo reciproco degli Stati,
facevano infatti enormemente lievitare, i prezzi delle merci.
Peraltro, in ogni Stato, solo la città principale poteva estendere la propria industria.
L'assenza del mercato nazionale aveva prodotto notevoli contraddizioni
nella gestione dell'economia: nelle manifatture si impiegavano ancora metodi
di costrizione diretta insopportabili; la borghesia restava legata ai signori feudali,
per cui nella campagna la manifattura si estese pochissimo
(i latifondisti non avevano gli stessi interessi della borghesia
e si accontentavano del rapporto di mezzadria, i cui pesi anzi, venivano
 sempre più accentuati e scaricati sulle spalle dei contadini);
l'export si riferiva soprattutto al tessile; le corporazioni continuavano ad esistere.
Fu sufficiente la scoperta dell'America, che spostò il traffico commerciale
sulle coste dell'Atlantico, a far perdere all'Italia la sua importanza
nel commercio mondiale e a farla ritornare al sistema feudale,
rendendola di nuovo appetibile per le nazioni straniere (specie Francia e Spagna).
Quando Inghilterra, Francia e altri paesi nord-europei svilupparono una loro manifattura,
i prodotti tessili delle città industriali italiane non furono più concorrenziali.
Successivamente altre industrie furono rovinate dalla concorrenza straniera:
cantieristica, bellica, cotonifici, ecc.
In sostanza solo i prodotti di lusso continuavano ad essere richiesti
(seta, oreficeria, vetro veneziano, oggetti d'arte),
 il cui consumo ovviamente riguardava l'élite.
Il Mediterraneo perse d'importanza per le città italiane
anche a causa dell'occupazione di Costantinopoli nel 1453,
data a partire dalla quale i nostri mercanti, per riavere
i diritti commerciali di un tempo, dovevano pagare forti tasse.
L'unica via di transito per l'oriente era quella egiziana, ma qui erano
i sultani arabi a detenere il monopolio del commercio.
A causa della decadenza economica, mercanti ed imprenditori
cominciarono ad abbandonare l'attività commerciale e industriale,
ricercando altri settori nei quali investire con profitto i propri capitali.
Fu così che si svilupparono le operazioni finanziarie e usuraie
(con prestiti ai proprietari terrieri, ad es.), ma anche l'acquisto di terre
insieme ai titoli nobiliari da parte della borghesia cittadina.

Imprenditori, mercanti e banchieri si trasformarono in proprietari terrieri
che concedevano piccoli appezzamenti di terra in affitto a contadini
a condizioni semi-feudali.
La rendita feudale divenne la fonte principale dei loro redditi.
Nell'Italia settentrionale, man mano che si chiudevano gli opifici,
una gran quantità di operai era costretta a lasciare la città
e a ritornare in campagna: di qui il grande sviluppo dell'orticoltura.
Il tipo dominante di affitto era la mezzadria: in base a un contratto,
il mezzadro doveva assumersi tutte le spese dell'azienda, apportare
i miglioramenti necessari e introdurre nuove colture.
Naturalmente il proprietario poteva sempre interferire, però s'impegnava
a fornire sementi, bestiame, strumenti agricoli o il denaro per comprarli.
Il mezzadro doveva dare metà del raccolto al proprietario e pagare le imposte allo Stato.
Purtroppo, i mezzadri, dovendo sopportare le guerre di conquista franco-spagnole
e vessati da interessi usurai, divennero ben presto,
pur essendo formalmente liberi, schiavi del loro padrone,
per cui la fuga dalla terra veniva sempre punita col carcere.
Col tempo il padrone pretese oltre alla metà del raccolto, anche altre corvées.
In una situazione ancora peggiore si trovavano gli operai salariati agricoli,
completamente privi di qualunque proprietà.

L'Italia, frazionata in tanti stati e starerelli, fu il teatro di lunghe guerre
per il suo predominio ad opera degli Stati vicini come
Francia e Spagna, che avevano ultimato la loro unificazione alla fine del '400
e queste guerre finirono con il far crollare l'economia italiana,
già indebolita dalle rotte atlantiche.





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