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FAMIGLIA

La struttura della famiglia, durante il Rinascimento,
non mutò di molto rispetto alle epoche precedenti.
Il padre di famiglia era sempre l'autorità principale
ed il regime casalingo era piuttosto austero.
Il pater familias gestiva praticamente tutta la sua discendenza.
Case permettendo infatti, più generazioni coabitavano sotto lo stesso tetto,
governate dall'autorità del patriarca, unico padrone di tutti i beni familiari
e della loro destinazione dopo la propria morte.
La famiglia, così compattata, somigliava molto alla gens latina.
Era dunque, patrilineare, patriarcale e primogenituale;
patriarcale perché ci si interessava solo della linea maschile
e i titoli nobiliari venivano ereditati solo dai maschi;
 patriarcale perché il marito e padre signoreggiava
sulla moglie e sui figli con autorità quasi assoluta;
primogeniturale perché gran parte del patrimonio
 andava al figlio primogenito.
I figli cadetti, infatti,  venivano mandati in giro per il mondo
con poco più di una modesta rendita annua o dell'usufrutto a vita
su una piccola proprietà appena sufficiente a mantenerli.

In Inghilterra la subordinazione dei figli ai genitori fu particolarmente severa
e accompagnata da speciali forme di rispetto, come ad es.,
inginocchiarsi davanti ai genitori per chiedere la loro benedizione.
Si racconta che un certo sir Dudley North, figlio primogenito di Lord North,
pur avendo 63 anni quando ereditò il titolo di sir,
non si sarebbe mai messo il cappello, né si sarebbe mai seduto
alla presenza di suo padre, se non col suo permesso.
Uomini di trenta o quaranta anni dovevano stare in piedi a capo scoperto,
fermi e zitti dinanzi ai genitori e le figlie sposate
dovevano stare in piedi, dalla parte della credenza, per tutto il tempo
in cui andavano a far visita alla madre, a meno che questa, bontà sua,
non avesse permesso loro, di inginocchiasi ai suoi piedi su un cuscino.

Se il diritto di vita e di morte sui figli era stato abolito già dal Medioevo,
leggi, costumi ed opinione pubblica acconsentivano ancora
all'uccisione della moglie adultera, mentre il marito poteva tenere
più concubine in casa o frequentare con assiduità le cortigiane.
I figli nati al di fuori del matrimonio erano sempre più numerosi,
tanto che si passò da 1 su 120 nel 1420, ad 1 su 12 alla fine del XVI secolo!
Il marito aveva  il diritto di bastonare la propria moglie
ed i propri figli in qualsiasi circostanza e poteva anche appellarsi
 alla forza pubblica per domare un figlio troppo esuberante,
facendolo "riflettere" in carcere.
I figli che andavano contro l'autorità paterna, sposandosi
ad esempio  senza approvazione, venivano  esclusi dalla famiglia,
perdendo ogni forma di diritto e tutto il patrimonio ad essa legato.

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Le testimonianze letterarie del tempo, non riportano però,
solo cronache di tirannia domestica, ma anche
molte scene familiari ricche di intimità e tenerezza.

I figli maschi, come nei periodi precedenti, raggiunta la giusta età,
venivano affidati a un insegnate privato o a un maestro pagato dal comune.
Se il figlio si dimostrava diligente, riceveva dal genitore
il beneficio dell'emancipazione economica, grazie alla quale
poteva disporre di una parte del patrimonio familiare
e soprattutto della libertà d'azione, cosa che implicava
la capacità legale di governare la propria vita e i propri affari.
La maggior parte delle ragazze, invece, continuò ad essere tenuta
all'oscuro da ogni istruzione, in quanto la maggioranza
la riteneva ancora una cosa non necessaria o addirittura dannosa,
ma, grande innovazione del periodo, le giovani donne,
provenienti da famiglie ricche, si avvicinarono all'istruzione
tanto che è in questo periodo che compaiono le prime
testimonianze letterarie italiane al femminile.

La nascita di una bambina, anche nel Rinascimento non suscitava
la gioia che accompagnava la nascita di un maschio.
Se la conseguenza della nascita di un erede maschio comportava, a volte,
anche il condono di debiti o la concessione della grazia ai prigionieri,
il tutto arricchito da festeggiamenti sfarzosi,
una figlia, non solo non perpetuava il nome della famiglia,
ma doveva essere allevata al riparo dalle tentazioni pericolose
e doveva essere accasata, con tutto il peso economico che questo significava.

Medici, umanisti e preti consigliavano di allattare al seno
ma le donne si rifiutavano e non solo le aristocratiche.
La questione nasceva dal timore che allattare potesse diminuire
la fertilità e fungere da contraccettivo.
Inoltre erano proibiti durante l'allattamento i rapporti sessuali
perchè si credeva che un nuovo concepimento o un rapporto
avrebbe corrotto il latte e ucciso il bambino.
Purtroppo le balie costavano care per cui,
 anche fra i bambini dei ricchi dell'opulenta Firenze,
solo uno su cinque aveva la balia in casa,
gli altri venivano mandati dalle balie in campagna..
Si dice che i figli di Isabella di Aragona regina di Francia,
ebbero due balie (nutrix) chiamate nel testamento:
mater e cunabularia, l'assistente.
Il contratto di baliatico era una faccenda di esclusiva competenza maschile,
erano il padre del bambino e il marito della balia o <<balio>>
ad accordarsi su un prezzo.
Se la balia restava incinta si allontanava il bambino.
Altrimenti al figlio della balia - fatte salve le rare eccezioni
di quelle che si rifiutavano di lasciare il proprio figlio per allattarne un altro,
 accadeva, come racconta Montaigne, di doversi nutrire
attaccandosi alle mammelle delle capre.
I bambini mandati a balia sovente morivano.
<<Dei 23 bambini affidati a Mrs. Poole nel 1765 in Inghilterra 18 morirono
entro un mese dalla nascita, due ancora poppanti e solo tre sopravvissero>>
C'è molta tristezza in questo uso.
<<Lontani, in campagna, i piccoli ricevevano raramente visite,
sebbene gli scrittori di manuali raccomandassero ai genitori
di controllare il loro benessere>>.

Infatti gli scrittori rinascimentali si dolevano
della perdita di questa intimità come Teresa d'Avila che,
nella sua Preghiera della Quiete descrive l'anima
come un bimbo ancora attaccato al seno materno.
É dal 14° al 17° secolo che si scopre la prevenzione delle nascite;
i metodi contraccettivi diminuirono le morti per incuria o disinteresse,
soprattutto nelle classi urbane.
Nei primi secoli dell'età moderna molti bambini morivano
per "soffocamento da schiacciamento"
e così spesso che si pensò a morti volute.
Erano le donne responsabili della maggior parte degli infanticidi
e furono condannate con frequenza crescente nel Rinascimento.
L'uccisione dei bambini era, dopo la stregoneria, la causa principale
di sentenze capitali per le donne del Rinascimento.
Fra le donne accusate di questo reato, le più sospette erano le madri nubili
che erano considerate responsabili di fronte alla legge,
 nei codici penali di quasi tutte le nazioni.
Più spesso le madri nella miseria abbandonavano i figli agli angoli delle strade,
sul sagrato o sulla soglia delle case dei ricchi.
A volte questi bambini morivano ma più spesso venivano "trovati"
e diventavano schiavi, servitori, prostitute o figli adottivi.
Questa situazione spiega la piccola dimensione della famiglia povera
e l'ampiezza della famiglia ricca, così come la vasta popolazione servile
formata in gran parte da giovanissimi.
C'erano gli orfanotrofi, come il celebre Ospedale degli Innocenti di Firenze
aperto nel 1445, a raccogliere la prole abbandonata che,
collocata nelle famiglie sarebbe stata allevata e
messa a servizio in cambio del nutrimento.

Prima del XVI secolo, i bambini che morivano in tenera età,
erano facilmente dimenticati e non venivano neppure registrati
dagli araldisti nell’albero genealogico.
Quelli che vivevano, venivano affidati fino ai sette anni alla madre,
perchè -diceva l'Alberti - le donne erano calme e tenere
mentre gli uomini inadatti a occuparsi dei bambini  essendo bruschi e nervosi.
La madre aveva un ruolo fondamentale nell’educazione dei figli
che proseguiva anche quando essi erano adolescenti.
Esistono documenti femminili: lettere, epistole, libricini e diari
che le madri scrivevano per guidare i figli cresciuti.
É una tradizione che inizia con il  manuale di Dhuoda, scritto dopo l'841.

La vita delle donne nel Rinascimento si svolgeva secondo i ritmi della vita sessuale.
Le lavoratrici non erano classificate in base al proprio mestiere
o al grado di specializzazione, bensì a seconda della loro relazione
rispetto ad un patriarca maschio o a un datore di lavoro:
mogli e figlie, vedove, fanciulle ( impiegate al di fuori della famiglia)
e lavoratrici indipendenti.
Le donne stesse  definivano la loro esistenza riferendosi a prima,
durante e dopo il matrimonio e il parto.
Il percorso della loro esistenza si svolgeva all'interno della famiglia:
come figlie, mogli e vedove, come lavoratrici e sopravvissute.
Le donne, insomma, non erano che ospiti passeggere:
il matrimonio le faceva uscire dalla dimora e dalla famiglia paterna,
la vedovanza spesso ve le faceva rientrare.
Sin dall'infanzia le bimbe venivano sorvegliate, perché non avessero
troppi contatti con i servi o gli schiavi, persone poco raccomandabili.
Per evitare questo tipo di inconvenienti, erano mandate in convento,
dove potevano studiare e stare al riparo dalle cattive compagnie,
fino agli undici-dodici anni.
Uscite dal convento, le ragazze erano pronte ad imparare
i loro doveri di donne, per divenire delle perfette spose,
sotto la guida materna.
Innanzi tutto, dovevano avere una conformazione fisica adatta
alla procreazione di numerosi figli ed essere sane,
in modo da dare al marito eredi forti e robusti.
Oltre alle caratteristiche fisiche, dovevano anche possedere
delle precise qualità morali.
La perfetta sposa era: pulita negli abiti e nel corpo, discreta,
modesta e, soprattutto, onesta.
Doveva rispettare ed ubbidire ai suoi parenti, cosa che lasciava supporre
che sarebbe stata fedele nel matrimonio;
doveva saper filare, cucire e accudire un'abitazione.
Le caratteristiche qui elencate, non dovevano essere tipiche
solo della futura sposa, ma anche di tutte le donne della sua famiglia,
poiché si riteneva che "quale la famiglia, tale la figlia!".

Gli anziani del futuro marito indagavano, quindi, sugli ascendenti
delle giovani pretendenti al matrimonio, inoltravano le ragazze allo sposo
e questi sceglieva la sua consorte, non sulle basi di un presunto amore,
bensì vagliando i vantaggi di un'alleanza con una famiglia, piuttosto che con un'altra.
L’età media della sposa poteva variare dai 14 anni al 18 a seconda della famiglia.
Usualmente venivano date in spose appena si presentava il ciclo mestruale
che già allora si sapeva essere  il segnale della fertilità della donna.
Prima del XVI secolo ci furono spose giovanissime, di addirittura 12 anni
come ci testimoniano i testi teatrali e letterari.
Questo perché la vita media era breve e si riteneva che una donna molto giovane
avrebbe resistito meglio alle fatiche del parto e sarebbe stata più fertile.
Il marito in media poteva avere dai 10 anni in su più della sposa dovendo
essere dotato di grandi beni e una posizione sociale di un certo livello.
Posizione che ovviamente non veniva raggiunta nella giovinezza,
ma verso l'età matura che per un uomo poteva partire dai 25 anni.
Le trattative  per un matrimonio venivano condotte da un mediatore.
Le parti stabilivano e sottoscrivevano delle condizioni di accordo,
insomma  stendevano un contratto.
A Roma questa fase veniva anche chiamata "Abboccamento"
perché al termine delle trattative i rappresentanti delle due famiglie
 si stringevano la mano e si baciavano sulla bocca
Durante le prime fasi degli accordi,  non doveva avvenire
alcun incontro privato tra i due sposi.
Tutto doveva essere formale ed alla presenza di parenti e
membri della comunità e ci si rivolgeva rigorosamente col “lei” o col “voi”.
Qualora una fanciulla fosse stata sorpresa ad incontrarsi in privato
col futuro marito, ne sarebbero stati minati l’onore e la dignità!
Vi sono tuttavia lettere che dimostrano che c' erano
donne meno sprovvedute di quanto si credesse,
che davano “consigli”, trascritti e tramandati, al fine di
 “imbrogliare ad arte” il mondo maschile e le restrizioni sociali.
Alcuni di questi scritti offrono consigli  su come ingannare
persino sulla propria verginità affinchè lo sposo
non se ne renda conto e neppure i familiari.
Il contratto di matrimonio veniva stipulato davanti al notaio
e preferibilmente in Chiesa, per conferire maggiore solennità.
 In questa fase si definiva la dote e si fissavano le modalità di pagamento.
 Si stabiliva anche la donatio propter nuptias (Donazione in vista di futuro matrimonio)
In questa fase e solo in questa, la presenza della sposa era indispensabile.
Nelle fasi precedenti la sua presenza non era  neppure presa in considerazione.

Il matrimonio si celebrava nella casa paterna della sposa.
La festa di nozze poteva essere celebrata anche in casa dello sposo.
Si legge in alcuni resoconti di cortei che scortavano la sposa fino alla casa dello sposo.
In altri documenti si legge invece di giostre e banchetti che avevano luogo davanti alla casa dello sposo.
La cerimonia constava di 3 fasi:
- Il consenso per verba de presenti di fronte al notaio e ai testimoni dei due sposi.
- Inmissio anuli
- Consumazione delle nozze.
La consumazione del matrimonio fino agli inizi del 500 non avveniva mai
 il giorno stesso delle nozze per rispetto al sacramento del matrimonio.
Spesso veniva consumato il giorno seguente (salvo eccezione per i regnanti).
Con il passare degli anni tuttavia si  scelse la consumazione
nella notte stessa per garantire la validità del matrimonio stesso.

Le abitudini variavano da città a città poichè in quel periodo non vi era
uniformità politica nè culturale, pertanto non si hanno notizie specifiche riguardo le usanze.
A Venezia pare che nel giorno stesso delle nozze, intorno alla metà del 500,
andasse esibito agli ospiti il lenzuolo sporco del sangue che doveva esser prova
dell'avvenuta consumazione e della legittimità del matrimonio.
Poteva tuttavia capitare che, o per problemi della sposa o per gentilezza dello sposo,
la consumazione venisse ritardata di qualche giorno o settimana.
Ma senza questa il rischio di ripudio e annullamento era alto per la donna
e significava solo: Convento!!!
Una volta sposata, la moglie aveva il compito di procreare,
restando chiaramente fedele al marito, doveva vegliare sulla famiglia e,
in assenza del coniuge, gestire la casa, limitandosi però, alle funzioni di governante,
poiché solo il marito aveva il diritto di amministrare il patrimonio familiare.
In teoria, la sposa non aveva nessun diritto di chiedere al marito
come impiegasse il tempo che non passava con lei, né doveva sapere
quale attività questi svolgesse, tanto meno poteva immischiarsi dei suoi affari.
Come in passato, inoltre, non aveva il diritto di uscire di casa
non accompagnata e poteva solo affacciarsi dal balcone,
ma mantenendo sempre un atteggiamento dignitoso e grave,
di modo che i vicini non potessero pensare male.
Non doveva neanche truccarsi con nessun tipo di cosmetico,
perché questo era indizio di malcostume e poteva attirare i "cacciatori di gonnelle".
Queste erano le direttive del tempo, che non prevedevano nessun tipo di distrazione,
tranne forse qualche festa familiare ogni tanto (matrimoni o battesimi).
Chiaramente queste direttive si riferivano ad un ideale,
che non veniva necessariamente applicato alla regola.
É anzi facile dedurre che i costumi, in pratica, fossero ben diversi.
Alcune testimonianze storiche ci riferiscono, infatti, di donne
che si occupavano degli affari del marito o che passavano ore
a chiacchierare dal balcone con le proprie amiche,
oppure, di mogli tranquillamente imbellettate,
soprattutto per nascondere i segni del tempo.

In realtà la condizione delle donne del XV secolo cambiò molto,
rispetto ai periodi precedenti e non smise di evolversi,
verso una maggiore liberalizzazione della donna nella società italiana.
Non che le donne non rimanessero ancora confinate nella casa familiare,
ma vi fu un progressivo miglioramento della condizione femminile,
anche se le più libere erano ancora le cortigiane.





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