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GIOCHI E DIVERTIMENTI

Dopo gli anni bui del Medioevo, quando il divertimento era considerato un peccato,
nel Rinascimento il gioco diventò importante.
L’uomo è ormai il centro dell’universo e con lui tutte le attività creative:
le arti, la storia, la scienza, l’esplorazione, la cartografia, la botanica e la magia.
Gli stessi geni del tempo (come Leonardo Da Vinci che disseminò i suoi codici di rebus
e Michelangelo Buonarroti, che inventava enigmi), amarono il gioco.

Nel mondo rinascimentale tutto era occasione di gioco e di divertimento.
Nelle corti tutto era spettacolo: il matrimonio del signore o di un suo parente,
un funerale, una caccia.
Nelle vie si svolgevano le processioni religiose, i cortei, il palio;
nelle piazze i tornei e le giostre; nelle chiese le sacre rappresentazioni.
All’interno delle regge  poi, non mancava mai un teatro, ove le compagnie girovaghe di attori
rappresentavano commedie, drammi, tragedie.
Il palcoscenico era fornito di ingegnose macchine teatrali
costruite da abili architetti come Leonardo.

A corte ci si divertiva anche con il gioco dei dadi, degli scacchi, le carte napoletane,
i tarocchi, la «sfera di cuoio» (il pallone per il calcio)
e in inverno con vere e proprie battaglie di palle di neve.
Non ultima la caccia.

In questa epoca fanno la loro comparsa i primi giochi enigmistici e il gioco d’azzardo.
La roulette fu inventata (anche se forme rudimentali esisteva già),
proprio da colui che considerava il divertimento come la più grande miseria, Blaise Pascal,
anche se il suo intento era più scientifico che ludico
(Pascal cercava di costruire la macchina del moto perpetuo).
Accanto a questo gioco nacque anche quello delle carte, compresi il poker e la briscola.

Fecero la loro comparsa il lotto, la tombola e il biliardo.
Le carte da gioco sono documentate in Europa con certezza dalla fine del Quattrocento.
Il reperto di mazzo più antico in nostro possesso è costituito da due fogli non tagliati
a stampa xilografica che si trovano nell’Instituto Municipal de Historia a Barcellona
e che si potrebbero datare alla fine del XIV secolo.
Nel Rinascimento le carte da gioco presentavano assortimenti estremamente vari.
Le immagini preferite dai fabbricanti erano scene di corte o di caccia,
animali fantastici, florilegi e immagini mitologiche.
Sul finire del Cinquecento, la produzione andò riducendosi a due modelli fondamentali:
le carte a semi italiani (coppe, spade, denari e bastoni) in Italia, Spagna e Francia,
quelle a semi tedeschi (foglie, ghiande, campanelli e cuori) in Germania.

Fu solo nel '500 che i francesi introdussero la Regina
in quello che è conosciuto come il mazzo francese e
che fu il diretto predecessore del moderno mazzo a 52 carte.
Dal Cinquecento cominciarono ad essere pubblicati i primi manuali
che fissavano le regole dei vari giochi,
fino allora piuttosto incerte e diverse da una regione all’altra.
Nel XVI secolo la Germania cominciò a rilasciare concessioni comunali per le case da gioco,
mentre alla corte di Enrico IV (1553-1610) erano presenti i primi giocatori professionisti,
in grado di guadagnarsi da vivere grazie al gioco d'azzardo.

Si praticavano molti giochi, ma i più diffusi erano il Faraone, la Bassetta, il Biribisso
(antesignano della moderna Roulette) ed il Trictrac.
Si prediligevano i giochi ad alto rischio in cui contava più la fortuna che l’abilità,
ma si giocavano anche il Tressette e gli Scacchi.
La conoscenza dei vari giochi costituiva un viatico indispensabile per il gentiluomo alla moda.
Il linguaggio dei giochi permetteva  infatti, l'introduzione nelle corti e nei salotti buoni
dell'aristocrazia; era insomma, il passe-partout per inserirsi ed essere notati.
Giacomo Casanova dichiarò di conoscere ben ventidue tipi di gioco.

La Cricca era un gioco che dal Cinquecento ad oggi denomina le combinazioni di carte uguali
tre o quattro Re o Cavalli, eccetera).
E' un gioco menzionato nel "Sermo perutilis de ludo " come gioco d'azzardo su tre carte.
Ne fa cenno anche Francesco Berni.
Il Flusso era un gioco documentato sia nel XV secolo che nel XVI;
 è citato da Lorenzo de' Medici come maledetto; un gioco d'invito, cioè di soldi, d'azzardo.

Il gioco italiano della Ronfa è documentato nella seconda metà del Quattrocento
ed è stato praticato fino alla fine del Cinquecento circa.
La sua invenzione viene attribuita a re Ferdinando di Napoli,
la cui corte aveva fama di essere ambiente di giocatori appassionati.
La tradizione, infatti,  le attribuisce l'invenzione di più di un gioco.
La parola inglese ruff, che significa taglio, sembra venire da ronfa.
I ventuno trionfi erano la briscola, non erano numerati,
quindi bisognava conoscerne a memoria la posizione gerarchica.
Sembra che a Ferrara li numerassero già fin dalla fine del Quattrocento.
Si doveva calare un trionfo in caso di mancanza di carte del seme d’attacco.
Solo in caso di mancanza di trionfi si poteva scartare una qualsiasi altra carta.
Nella tradizione milanese, in testa alla scala trionfale, vi erano: Mondo, Giudizio e Sole;
in quella ferrarese: Angelo (o Giudizio), Giustizia e Mondo;
in quella bolognese: Angelo (o Giudizio), Mondo e Sole.
Lo spirito del gioco era la cattura delle carte di valore, le figure.

Il “biribisso” era un gioco d’azzardo che si svolgeva, nelle prime edizioni,
su una tavola composta di 36 figure.
Ognuna di queste, contrassegnata da un numero, riproduceva personaggi,
animali, piante, fiori e persino stemmi araldici di altissimo lignaggio.
Come avviene per il gioco della tombola, anche nel “biribisso” vi era un banditore,
ruolo che in genere era svolto dal padrone di casa.
Ad un certo punto della serata, dopo aver danzato e bevuto, si tirava fuori
la tavola del “biribisso” e si cominciava a giocare.
Dopo che ciascun giocatore partecipante aveva posto sulla casellina scelta
il danaro corrispondente alla puntata, il banditore o banchiere dichiarava,
a voce alta, chiuse le scommesse ed iniziava ad estrarre da un sacchetto di stoffa
una alla volta delle palline di cartapesta contrassegnate da un numero.
Poi lo mostrava a tutti e lo leggeva ad alta voce.
Depositata la pallina in una ciotola di vetro, si procedeva ad altra estrazione.
Ma com’erano fatte le “palline”?
Alcune erano delle semplici sferette di cartapesta sulle quali era scritto solo il numero,
su altre invece, c’era anche l’immagine della corrispondente casella.
In alcuni esemplari di “biribisso” le palline erano sostituite da una specie di anelli di tartaruga,
detti “bottoni”, dentro i quali si inseriva un rotolino
con l’immagine della tavola e il corrispettivo numero.
Alla luce di queste considerazioni, sembra proprio che le sorti del gioco
fossero affidate alla “percezione tattile dei polpastrelli del banditore”
 che  investendo poco, incassava molto.

Uno dei fattori del successo dei giochi di carte era ed è l'azzardo.
Come nei dadi prima del lancio, anche nei giochi di carte del XV secolo
si puntava qualcosa prima della distribuzione delle carte.
La puntata preventiva trasportata alle carte si chiamò invito.
L’invito iniziale era la scommessa sulla vittoria di smazzata.
Le combinazioni fortunate ricevute dal mazziere e premiate
direttamente in danaro si chiamavano honori.
Gli honori richiedevano necessariamente la dichiarazione
e l'esibizione della combinazione fortunata.
Nei giochi di carte, il piatto, costituito dal semplice invito,
venne presto aumentato dai rilanci in danaro
fatti nel corso della distribuzione.
Nel 1525 i rilanci erano consolidati, quindi erano nati nel Quattrocento.
Si scommetteva forte o piano a seconda delle carte ricevute,
in tutti i giochi, anche in quelli di presa.
Alla fine del Quattrocento, l'agonismo della puntata con rilancio entrò
in tutti i giochi, in quelli di presa e anche in quelli nobili, come i tarocchi.

La Bassetta era un gioco d’identità: si vinceva o si perdeva
a seconda della identità della carta propria con quella pescata dal banco.
Nata nel Quattrocento, in Italia sopravvisse una sua variante, il Faraone,
ma all'estero è ancora giocata.
Il gioco che ci è giunto è semplicissimo:
il banchiere metteva carte sul tavolo, i giocatori puntavano
su una o più carte, il mazziere estraeva due carte dal tallone:
tutte le carte uguali alla prima estratta perdevano,
quelle uguali alla seconda estratta vincevano.
Si poteva giocare alla carta più alta o più bassa
di quella estratta invece che sulle carte uguali.
Si poteva giocare con un solo mazzo o più mazzi.
Si poteva giocare puntando su carte coperte invece che scoperte.
Si poteva ripuntare su una carta vincente.
Della bassetta giocata in Toscana nel Quattrocento parla Lorenzo il Magnifico
nei suoi Canti Ciarnascialeschi nella Canzona dei Confortini.

Berricuocoli, donne, e confortini!
se ne volete, i nostri son de’ fini.

Non bisogna insegnar come si fanno,
ch’è tempo perso, e ’l tempo è pur gran danno;
e chi lo perde, come molte fanno,
convien che facci poi de’ pentolini.

Quando ’gli è ’l tempo vostro, fate fatti,
e non pensate a impedimenti o imbratti:
chi non ha il modo, dal vicin l’accatti;
e’ preston l’un all’altro i buon’ vicini.

Il far quest’arte è cosa da garzoni:
basta che i nostri confortin’ son buoni.
Non aspettate ch’altri ve li doni:
convien giucare e spender bei quattrini.

No’ abbiam carte, e fassi “alla bassetta”,
e convien che l’un l’alzi e l’altro metta;
e poi di qua e di là spesso si getta
le carte; e tira a te, se tu indovini.

O a “sanz’uomo”, o “sotto” o “sopra” chiedi,
e ti struggi dal capo infino ai piedi,
infin che viene; e, quando vien poi, vedi
stran’ visi, e mugolar come mucini.

Chi si truova al di sotto, allor si cruccia,
scontorcesi e fa viso di bertuccia,
ché ’l suo ne va; straluna gli occhi e succia,
e piangon anche i miseri meschini.

Chi vince, per dolcezza si gavazza,
dileggia e ghigna, e tutto si diguazza;
credere alla Fortuna è cosa pazza:
aspetta pur che poi si pieghi e chini.

Questa “bassetta” è spacciativo giuoco,
e ritto ritto fassi, e in ogni loco;
e solo ha questo mal, che dura poco;
ma spesso bea chi ha bicchier’ piccini.

Il “flusso” c’è, ch’è giuoco maladetto:
ma chi volessi pure uscirne netto,
metta pian piano, e inviti poco e stretto;
ma lo fanno oggi infino a’ contadini.

Chi mette tutto il suo in un invito,
se vien “flusso”, si truova a mal partito;
se lo vedessi, e’ pare un uom ferito:
che maladetto sie Sforzo Bettini!

“Trai” è mal giuoco, e ’l “pizzico” si suole
usare, e la “diritta” a nessun duole:
chi ha le carte in man, fa quel che vuole,
s’è ben fornito di grossi e fiorini.

Se volete giucar, come abbiam mòstro,
noi siam contenti metter tutto il nostro
isino alle casse, non che i confortini.

Il Trentuno, antenato del Blackjack, ebbe notevole popolarità
nell’Europa settentrionale nel XV e XVI secolo.
Non molto tempo dopo, il primo gioco di carte simile all’odierno Blackjack,
fece la sua comparsa in Francia con il nome di Vingt-et-un (ventuno).
Anche il poker affonda le sue radici nel Rinascimento.
Uno dei giochi che maggiormente ha influenzato il poker
fu il persiano As-Nas che arrivò in Europa all’inizio del sedicesimo secolo,
insieme ad altre merci di importazione che invasero l’Europa
attraverso le vie commerciali apertesi con le Crociate.
Tale gioco prevedeva l'uso di 20 carte e di quattro giocatori.
Le combinazioni previste erano: coppia, tris e colore.

Arredi particolari erano dedicati ai giochi con le biglie.
Il primo tavolo da Biliardo di cui si ha notizia è quello ordinato, nel 1470,
da Luigi XI, sovrano di Francia.
In Italia era praticato col nome di «gioco delle gugole».
Il gioco del biliardo deriva dal gioco del bagatelle che consisteva
 in un piano di gioco di legno con delle buche e degli ostacoli,
costituiti da numerosi chiodi piantati sulla tavola stessa;
bisognava mandare le biglie nelle buche, colpendole con un bastoncino
simile a una piccola stecca da biliardo.

Il lotto nacque nella Repubblica di Genova.
I cinque membri del Serenissimo Collegio erano eletti con un’estrazione
tra 120 candidati, i cui nomi erano messi in un’urna detta «seminario»:
si chiamavano «gioco del seminario» le scommesse che la gente faceva sull’esito delle estrazioni.

Nella seconda metà del Cinquecento, Benedetto Gentile, un patrizio genovese,
stabilì le regole delle scommesse su cinque numeri abbinati ai vari candidati.
Col tempo i nomi nell’urna scesero a 90.
Fra i molti giochi da tavolo ancora popolari  inventati tra Quattro e Cinquecento,
ricordiamo anche il Gioco dell’Oca a proposito del quale Pietro Turano dice:
«Secondo una leggenda fu inventato dai soldati greci durante l’assedio di Troia»,
«Ma altre fonti ne danno la nascita a Firenze, nella seconda metà del Cinquecento,
quando il Granduca di Toscana Francesco I de’ Medici ne fece dono al re Filippo II di Spagna».

Altro gioco da tavola molto diffuso era la Tombola, nata a Genova dal gioco del Lotto
divenuta popolarissima in Francia grazie a Francesco I di Valois (1494-1547)
che la introdusse a corte dopo la campagna d’Italia.
Francois Rabelas e Michel de Montaigne parlano poi, nei loro scritti, dello «Shangai»,
gioco d’abilità con i bastoncini colorati che oggi si chiama anche Mikado.
Anche se sono state trovate tracce di scacchiere su monumenti egizi,
la dama moderna è nata probabilmente nel sud della Francia, col nome di «fierges»
(da «fers», la regina degli scacchi, più tardi chiamata dama) nell' XI secolo.
Le regole attuali però si basano sul Jeu Forcé del 1535, che stabilì l’obbligo
di catturare la pedina nemica quando possibile, altrimenti il pezzo attaccante
veniva “soffiato” dalla scacchiera.
In Italia, le prime testimonianze certe dell’esistenza della dama risalgono al XVI secolo
e nel successivo il gioco cominciò a comparire nelle opere letterarie e teatrali, segno di popolarità.
A dama e a scacchi si giocava nei luoghi pubblici, nelle botteghe artigiane e soprattutto nelle barberie,
spesso anche per mettere fine a litigi e dispute altrimenti irrisolvibili.
La partita a scacchi viventi di Marostica rievoca la sfida tra Vieri e Rinaldo
per conquistare nel 1454 la mano di Lionora, la figlia del podestà.

Una soluzione senza versamento di sangue che si ritrova anche in altre celebrazioni
tradizionali simili in vari paesi europei.

Il calcio, il più italiano degli sport, nel Rinascimento era già praticato con molta passione.
Il calcio storico fiorentino (o calcio in livrea), probabile antenato del football
e del rugby, è una rievocazione che si tiene ancora oggi a giugno, in piazza Santa Croce a Firenze,
con due squadre di 27 giocatori, della partita del 17 febbraio 1530
fra i bianchi e i verdi, mentre la città era assediata dalle truppe imperiali.

Molto antica è l’idea di colpire la palla con un attrezzo.
Ma è del 1555 la prima testimonianza moderna:
messere Antonio Scaino, in un trattato dedicato ad Alfonso d’Este,
scrive che i giochi di palla più popolari del tempo
erano il pallone a bracciale (antenato del moderno pallone elastico,
nel quale le squadre dovevano colpire la palla con un pugno o l’avambraccio),
il tamburello e la pallacorda.
Spiega Paola Biral: «Da questo gioco, codificato nel Rinascimento, è disceso il tennis.
In Italia sembra sia stato introdotto dai cavalieri francesi
al seguito di Carlo di Calabria, intorno al 1327».

Il primo campo da golf è stato realizzato in Inghilterra nel 1552,
sotto Maria Stuarda e il curling fu ideato in Scozia, poco prima del Rinascimento.

Nelle corti anche gli adulti giocavano con i soldatini;
era un passatempo che potrebbe in qualche modo essere paragonato
a quello che al giorno d’oggi è il Risiko, un gioco di guerra
con cui portare avanti vere e proprie battaglie per la conquista dei territori.
In questo caso la ricchezza degli elementi permetteva una rappresentazione realistica
non solo dell’esercito ma anche dell’ambiente in cui si svolgevano le "guerre".
Anche gli adulti quindi amavano giocare e i mezzi a loro disposizione aumentarono sempre più,
divennero complessi e a volte richiedevano strategia (come nei giochi di guerra),
altre invece ragionamento e intuizione.
Nel Rinascimento si affermò la convinzione che il gioco non fosse solo svago,
ma un impegno serio, con traguardi da raggiungere:
uno strumento educativo che permetteva al bambino di diventare grande.
Giovanni Dominici diceva che i bambini devono giocare “i sollazzi loro”,
perché hanno il sangue che “bolle e chiede movimento e sfogo”»
e Paola Biral continua:"Non solo: giocando ci si educa anche
al rispetto delle regole e alla riflessione".
Ecco perchè gli scacchi entravano nella formazione del giovane cavaliere.
Aggiunge Pietro Turano:«Predicatori e filosofi propagandavano l’idea che,
anziché oziare, fosse preferibile imparare a vivere “giocando con saggezza”.
E gli scacchi erano considerati una fonte di insegnamenti morali:
ognuno deve cercare il posto da occupare nella vita, come sulla scacchiera».

I giochi dei bambini

I bambini continuarono a divertirsi facendo giochi all’aria aperta,
 gli stessi che prima di loro avevano fatto
bambini dei periodi precedenti; nei prati e sulle strade ci si rincorreva,
si giocava alla cavallina o a campana, con le trottole, si usavano bastoni e sassi,
 mentre le bambine seguitavano nei loro giochi di ruolo
in cui si preparavano alla vita adulta facendo da “mamme” alle bambole
e fingendo di cucinare con stoviglie giocattolo.
Già nel 1500 Montaigne (1533 - 92) sosteneva che "i giochi dei fanciulli non sono giochi
e bisogna giudicarli come le loro azioni più serie". (Saggi, lib. 1°, cap.22).

Le bambole fecero un vero e proprio salto di qualità con l’apertura delle prime fabbriche
preposte alla loro realizzazione in Germania a Norimberga nel 1413.
I fabbricanti di bambole tedeschi, detti dockenmachers erano molto rinomati
e fecero fortuna esportando le loro creazioni in tutta l'Europa.
Le loro bambole erano realizzate in vari materiali, dal legno al gesso, fino alla cartapesta.
Nel 1500 anche i Paesi Bassi cominciarono a produrre bambole in legno,
a cui sia aggiunse, alla fine del secolo, la produzione francese in gesso e cartapesta.
In particolare i francesi crearono  un modello vestito in modo raffinato e costoso,
realizzato solo per i reali e gli aristocratici, chiamato la “parisienne” .
Le bambole più comuni erano interamente di legno, mentre le più costose
avevano testa, braccia e gambe di legno dipinto e corpo di stoffa
 o di pelle, imbottito di crusca o segatura, sfarzosamente vestite.
Crebbe anche il “mercato” degli oggetti a loro dedicati, dagli abiti agli ornamenti
anche se, spesso e volentieri, soprattutto i più raffinati, erano riservati solo alla nobiltà.
Attraverso il "gioco" la fanciulla imparava a vestire la bambola
e quindi se stessa per cui l’aspetto ludico si univa al rito del vivere aristocratico.
Vi erano bambole di tutti i tipi: di semplici, rivolte ad un ampio mercato,
vendute da ambulanti nelle fiere durante le feste, di raffinate,
destinate alla nobiltà, spesso costruite su commissione
e fornite di ricchi guardaroba atti ad illustrare la moda del momento.
Eleonora d’Aragona, duchessa di Ferrara e moglie di Ercole I,
acquistò e inviò a Milano ad Anna Sforza, fidanzata undicenne di suo figlio Alfonso d’Este,
una bambola con tutto il suo corredo contenuto in cassette e forzieri foderati internamente di seta.
Gli abiti erano opera nientemeno che del primo sarto di corte, Tommaso da Napoli,
che realizzò per l’occasione vesti in velluto, damasco, taffettà e broccato d’oro,
un tessuto che solitamente era riservato alla confezione dell’abito nuziale delle grandi dame.

Anche presso la corte di Francia, nazione destinata poi a diventare
capitale del giocattolo, c’erano usanze simili.
 Anna di Bretagna, che amava collezionare bambole, nel 1494 pagò un prezzo esorbitante
per una poupée da regalare alla regina di Spagna e che, non soddisfatta della confezione
dei numerosi vestitini a corredo, li fece rifare per ben due volte.
Parimente sappiamo che l'imperatore Carlo V pagava dieci franchi l'una le bambole
di produzione parigina da regalare alla figlioletta ed alle dame alle quali ella era affidata,
e che Enrico IV, per ingraziarsi l'amore di Maria de' Medici, sua futura moglie,
le inviava da Parigi bambole costosissime, vestite di pregiati broccati.
Nel 1571 la duchessa Claudia di Lorena ordinò le bambole più eleganti di Parigi
per donarle alla figlia, appena nata, della duchessa di Baviera.
Dalle carte di Caterina de’Medici ci è pervenuta una curiosa annotazione:
al momento della sua morte (1589) risultano annotate nel suo inventario personale
sedici bambole delle quali otto vestite a lutto.
In questo periodo storico la bambola non fu un gioco
esclusivamente femminile ma appannaggio anche dei maschi.
Il futuro Luigi XIII  le adorava e ne ricevette in dono una carrozza piena.
Generalmente la testa e il busto erano di legno intagliati e dipinti con una certa ingenuità,
il naso diritto, sopracciglia indicate con un semplice tratto di pennello,
bocca rossa atteggiata al sorriso e tocchi di rosso sulle guance.
Parrucche di fibre naturali o di capelli veri erano applicate sulla testa.
Le braccia potevano essere smontabili per facilitare la complessa vestizione,
mentre spesso al posto delle gambe avevano una gabbia conica di cerchi di legno
che faceva da supporto alle ricche vesti sostenendo la bambola.

Insieme con la bambola e il suo corredo vestiario, iniziò anche la produzione di piccoli oggetti:
preziose stoviglie, elaborate case
che venivano utilizzate con gli stessi scopi delle bambole.

Un giocattolo molto diffuso era la trottola, un oggetto di legno con forma biconica
(composto cioè da due coni che condividono la stessa base) che finiva in una punta di ferro.
Era avvolta da uno spago (lungo almeno un metro) che  veniva tirato
in modo deciso, trasferendo un impulso alla trottola, che incominciava a ruotare.
Nel periodo Rinascimentale e Medioevale si organizzavano delle vere e proprie gare,
che vedevano come vincitore colui che riusciva a far ruotare la trottola più a lungo degli altri.

Il cavallino di legno, formato da un’asta di legno collegata ad un altro pezzo di legno
(o più frequentemente di cartapesta) modellato a forma di testa di cavallo,
era molto diffuso fra i maschietti e fu l'antesignano del “cavallo a dondolo”.

Anche i soldatini, usati dai bambini provenienti da famiglie ricche
erano molto amati perchè permettevano di ingaggiare delle vere e proprie battaglie
 seguendo regole simili a quelle dell’odierno RisiKo.
Il gioco del cerchio, risalente all’età greca, consisteva nel far ruotare dei cerchi
(spesso ottenuti da delle botti distrutte) percuotendoli con dei bastoncini
aventi un’estremità ricurva e a cui spesso venivano attaccati dei sonagli
 per rendere il gioco più rumoroso e divertente.

Si giocava anche con le biglie
e ci si divertiva a fare le bolle di sapone

 





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