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MEDICINA

La medicina rinascimentale dovette misurarsi con le molte epidemie
che decimarono la popolazione europea dal Medioevo a Rinascimento inoltrato:
peste, lebbra e tubercolosi furono le malattie più note.
Ve ne furono però molte altre: la sifilide, la scabbia, il carbonchio, il tifo.
Un importante contributo alla conoscenza delle malattie del tempo,
ce lo danno i dipinti dell'epoca.
Gli artisti infatti, soprattutto nel Rinascimento, hanno utilizzato
il pennello per tracciare anche i contorni di malattie e disturbi.
Così un quadro diventa una finestra sulla salute di un’epoca.
Una recente indagine condotta dal Dipartimento di Scienze
della Sanità Pubblica e Pediatriche dell’Università di Torino,
afferma ad esempio, che Andrea Mantegna potrebbe aver dipinto
nella Camera Picta i sintomi della neurofibromatosi, in Diamantina,  nana di corte.

Si tratta di una malattia ereditaria che danneggia soprattutto le cellule nervose e muco-cutanee.
La sindrome è caratterizzata dalla presenza di tumori benigni della pelle,
di diversa consistenza e da macchie caffellatte.
L’identikit di questa malattia pare corrispondere al ritratto eseguito da Andrea Mantegna
La malattia di Paget che causava l’ingrossamento e la deformazione delle ossa, è stata
invece rappresentata da Quentin Metsys, noto per l’attenzione alle forme grottesche,

Uno dei suoi dipinti più famosi è La brutta duchessa,  probabilmente Margaretha Maultasch,
duchessa della Carinzia e Tirolo del quattordicesimo secolo, tristemente famosa
come una delle donne più brutte della storia.
Pare che il nome stesso Maultasch significhi bocca-a-tasca,
un soprannome datole per la forma della sua bocca.
A questo personaggio pare si sia ispirato Lewis Carroll quando decise di inserire
questa caricatura grottesca nelle “Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”.
Michael Baum, professore emerito di chirurgia all'University College di Londra,
sostiene che si tratta di una donna molto sfortunata perchè questa
 rara forma di malattia non solo deforma le ossa allargandole, estende il labbro superiore
spingendo in alto il naso, ma colpisce anche le mani, la fronte e il collo,
causando, fra l'altro, dei terribili mal di testa.
Un'altra malattia comune all'epoca, era l'artrite, di cui Botticelli
ci da un esempio nel Ritratto di giovane, dove, l'uomo affrescato  pare affetto
da una forma di artrite della mano.

Molte furono poi le patologie che hanno invece tormentato la vita degli artisti.
Di cataratta hanno sofferto Michelangelo e Piero della Francesca,
quest’ultimo addirittura perdendo la vista a sessant’anni.
Jacopo da Pontormo morì per idropisia da malnutrizione.

Da questo si può capire che il Rinascimento non è stata solo l’epoca d’oro delle arti
perchè gli artisti morivano e spesso per le avverse condizioni di lavoro.
Solo pochi si potevano dire infatti privilegiati.
Molto dipendeva anche dal loro carattere.
Benvenuto Cellini, ad esempio,  dal carattere sanguigno, iroso e
 arrogante, noto per la sua vita sgangherata, spesso implicato in liti e risse e anche omicidi,
soffrì tremendamente per una patologia dentale.

Una dieta inadeguata o scorretta poteva provocare problemi molto più gravi.
La più comune era l’infezione ai reni di cui soffriva Michelangelo.
Le malattie non risparmiarono nemmeno le più belle.
Nell’aprile del 1476 Simonetta Vespucci, musa preferita di Botticelli,
morì a soli ventidue anni di tubercolosi polmonare,
pochi mesi dopo esser stata premiata come la più bella di Firenze,
in occasione della Giostra vinta da Giuliano de’ Medici.
Il Pulci le dedicò alcuni leziosi sonetti e anche il Magnifico la celebrò
nelle sue Selve d'Amore.
Ma sarà la pittura a lasciarci numerose testimonianze di questa fanciulla.
Di lei vi è un ritratto del Botticelli alla Galleria Palatina
e un altro di Piero di Cosimo al Museo Condé di Chantilly.
Per la sua triste scomparsa Lorenzo il Magnifico scrisse il sonetto che inizia con:
"O chiara stella che co' raggi tuoi..., "dove la immagina salita in cielo ad arricchire il firmamento.
Ma soprattutto parlano di lei i celebri quadri di Sandro Botticelli, la cui opera fu tutta ispirata
da Simonetta anche dopo la sua morte, con la Nascita di Venere, la Primavera e il Sogno di Giuliano.
Alla sua morte egli lasciò scritto di essere sepolto ai suoi piedi; la tomba del pittore, infatti,
si trova nella Chiesa di Ognissanti, patronata dalla famiglia Vespucci,
accanto alla sua amata Simonetta.

La Firenze del Rinascimento, ma anche tutte le altre città, erano anche questo:
condizioni poco salubri delle strade, zone residenziali sovrappopolate,
abitazioni fredde, umide e poco riscaldate.
Le epidemie trovavano così vita facile.
La casa, sembra un paradosso, era il terreno ideale per bronchite, polmonite e influenza,
d’inverno come d’estate, oltre che di disturbi gastrointestinali e diarrea
dovuti alla cattiva conservazione del cibo.
Il luogo di lavoro di un artista non era in condizioni migliori.
Le botteghe degli scultori erano piene di pulviscolo di gesso e di marmo,
 che erano molto pericolosi perchè col respiro
si insediavano nei polmoni dell’artista.

La scienza medica insegnata nelle università rinascimentali
era ancora basata sulle teorie di Galeno (II secolo d.C.),
che rappresentavano l’uomo come un microcosmo soggetto all’influenza astrale
e composto di quattro elementi (fuoco, aria, acqua, terra),
cui corrispondevano quattro umori (sangue, flemma, bile gialla, bile nera).

Erano questi a determinare il temperamento di un individuo,
(da qui gli aggettivi corrispondenti, sanguigno, flemmatico, collerico, melanconico)
ed era la loro miscela a decidere lo stato di malattia o di salute.
L’anatomia era una disciplina già insegnata fin dal Trecento;
mentre il chirurgo incideva, il medico sovrintendeva alla dissezione del cadavere,
che spesso era quello di un giustiziato, leggendo e commentando
i passi più importanti del “De usu partium” di Galeno.
Al medico nobile, dotto, che si esprimeva in latino, si contrapponeva
il chirurgo d’estrazione borghese-popolana, non laureato, che si esprimeva in volgare.
All'epoca, i chirurghi altri non erano che i barbieri, ecco perché i medici ci tenevano a distinguersi da loro.
In effetti, anche il mestiere di chirurgo non era paragonabile a quello di oggi;
gli interventi erano soprattutto salassi, cura di emorroidi, estrazione dei calcoli dalla vescica,
laringotomia per evitare il soffocamento, svuotamento di sacche di liquido nell'organismo.
Strumenti essenziali erano forbici, coltelli, seghe, forcipi, aghi e soprattutto cauteri per evitare emorragie.

Ma la disciplina distinta tra scienza medica e pratica dell’empirico, tra mente e braccio,
tornò a unificarsi a Padova nella persona di Andrea Vesalio, futuro medico di Carlo V e di Filippo II.
Il suo trattato “De humani corporis fabbrica” uscì nel 1543, lo stesso anno
in cui Niccolò Copernico, sempre nella stessa università,
pubblicava un trattato altrettanto rivoluzionario.

La rivoluzione della medicina cominciò dall’anatomia.
A questa disciplina contribuirono grandi artisti come Leonardo,
Mantegna, Michelangelo e Durer, autori di studi anatomici molto interessanti.
Tuttavia, furono i grandi medici a far fare il salto di qualità a questa branca della medicina:
Andrea Vesalio, Gabriele Falloppio, Bartolomeo Eustachio,
Filippo Ingrassia,  Arcangelo Piccolomini, Cesare Aranzio, Costanzo Varolio,
Andrea Cisalpino, furono i più grandi anatomisti dell’epoca.
Molte strutture anatomiche portano ancora oggi il nome di questi scienziati,
per ricordare chi le scoprì o le studiò per primo.
Andrea Vesalio ad esempio,  dimostrò che le osservazioni di Galeno si basavano sugli animali
 e non sull’uomo e quindi non potevano essere considerate valide,
 per cui gli studenti di medicina furono invitati a confrontarsi direttamente
 con l’anatomia dei cadaveri e con i malati negli ospedali.
Centinaia di errori anatomici di Galeno vennero dimostrati con chiarezza
da questo attento osservatore e dal suo contemporaneo Gabriele Falloppio,
che scoprì le tube uterine (in seguito chiamate con il suo nome),
il timpano, diagnosticò le malattie delle orecchie servendosi di uno speculum
(strumento che permette di allargare la cavità che si vuole osservare)
e descrisse dettagliatamente i muscoli oculari e i dotti lacrimali.

Si deve a lui anche l' invenzione dell' antenato del moderno preservativo:
per evitare il flagello della sifilide, lo scienziato modenese suggerì di usare una fodera di lino
imbevuta in una soluzione disinfettante.
La leggenda vuole che lui stesso conducesse un esperimento su mille uomini,
che giacquero con prostitute infette senza contrarre la sifilide.

Galeno venne contraddetto anche dal medico spagnolo Michele Serveto,
che fu il primo a descrivere il sistema circolatorio nei polmoni e a spiegare che
il calore del corpo doveva essere correlato con i processi digestivi
(oggi sappiamo che gli alimenti forniscono l’energia per tutte le reazioni metaboliche e,
dunque, anche per il mantenimento della temperatura corporea).

Negli ospedali trovavano accoglienza quei malati che, alle soglie dell’età moderna,
non erano individuati in base ad una precisa malattia, ma piuttosto per la compresenza
di malattia e povertà che rendeva necessaria una forma di assistenza:
vecchi, malati, infermi, ciechi e storpi.
Vi erano ospedali per malati guaribili ed ospedali  per malati cronici, cioè non guaribili.

Vi erano poi i curatori regolari e i curatori irregolari.
Tra i curatori regolari c’era il medico laureato, ossia il medico ufficiale
che aveva svolto un percorso di studi nelle università, consolidando una preparazione accademica
basata su logica, retorica e cultura classica.
Altro curatore regolare era lo speziale-farmacista, ossia il venditore di spezie
e sostanze medicanti, normalmente titolare di una bottega.
Infine c’era il barbiere-chirurgo, incaricato di prendersi cura della parte esterna del corpo umano,
occupandosi di salassi, della cura di tumori cutanei e, cosa poco medica, della cura della barba.
Nel gruppo dei curatori irregolari, normalmente non legati a botteghe o studi ma itineranti,
vi erano lo stufarolo, incaricato di eseguire bagni caldi alle persone,
il cavadenti, antenato dell’attuale dentista,
il fabbricatore di cinte per ernie, l’unico ad avere una bottega e il ciarlatano.
Quest’ultima categoria, nota per via del significato dispregiativo assunto dal nome in tempi moderni,
era in diretta concorrenza con i medici laureati e operava generalmente nel mondo dello spettacolo,
occupandosi di persone e animali.
L’unica attività sanitaria svolta dalle donne era quella di levatrice, curatrice irregolare che,
oltre ad occuparsi del parto, si prendeva cura di tutto ciò che riguardava la sessualità femminile.
Tutte le professioni sanitarie potevano essere svolte dopo un percorso di apprendistato,
mentre il medico laureato doveva, appunto, completare un percorso di studi accademici.

Gli ospedali italiani che sorsero a partire dalla seconda metà del Quattrocento,
furono molto ammirati dagli stranieri per la razionalità delle loro architetture e l’efficienza organizzativa.
Erano dotati, infatti, di letti singoli, panche per i visitatori, locali ben aerati e personale solerte.
La manifesta contagiosità della peste suggerì di costruire luoghi d'isolamento o lazzaretti,
con medici addetti, stipendiati dall'autorità civile.
Nel 1423, nacque sull’isola degli Eremitani nella laguna veneta il primo lazzaretto,
dal nome del santo patrono degli appestati, Lazzaro;
qui vennero isolati coloro che erano sospettati o infettati dalla peste.

È in questo periodo che nasce la quarantena poiché si crede che le malattie acute
come le pestilenze, si manifestino appunto entro quaranta giorni.
L’ospedale di Padova fu il primo in Italia, tra Quattrocento e Cinquecento,
a realizzare il passaggio dal medioevale “albergo dei poveri”, sede della carità religiosa
e dell’ospitalità laica, alla “fabbrica della salute”, intesa come sede istituzionale
di pratiche mediche e assistenziali, con lo scopo di curare e guarire i malati.
Da luogo di ricovero l’ospedale perciò diventò luogo di cura: il malato vi entrava
non più per ricevere vitto e alloggio, per vivere o  soltanto per morirvi, ma per essere curato.
E' in questo periodo, per impulso dell'arcivescovo di Milano Rampini, nel 1448
che venne fondato l'Ospedale Maggiore di Milano, dove il malato era isolato,
curato e, se fortunato, ne usciva guarito.
L'Ospedale fu il primo centro in grado di rispondere a criteri clinici e di larga accessibilità sociale;
la struttura infatti prevedeva stanze singole per i ricoverati, dotate di locali igienici e di ricambio di acqua.
Sulle condizioni dei nosocomî italiani all'inizio del sec. XVI fornisce singolari notizie Martino Lutero,
il quale visitò l'Italia nel gennaio del 1511.
"Gli ospedali in Italia - egli dice nei suoi Discorsi conviviali -
sono ben provveduti, hanno splendide sedi, forniscono cibi e bevande ottime,
il personale è assai diligente, i medici dottissimi.
Appena entra un infermo, questi depone il vestiario e quanto altro gli appartiene;
di tutto viene presa nota per un'ordinata custodia.
Poi l'infermo indossa un bianco camice, e gli viene apprestato un buon letto con biancheria di bucato.
Subito dopo sopraggiungono due medici e inservienti che portano cibi e bevande,
contenute in vetri tersi, che non vengono toccati nemmeno con un dito, ma presentati sopra vassoi.
Anche matrone velate per alcuni giorni servono gl'infermi, quindi non conosciute tornano alle loro case".

Lutero trova soltanto a ridire sul principio di carità che induceva gli Italiani a sostenere queste istituzioni.
È superfluo infatti ricordare che l'assistenza era ancora concepita come un'opera di carità spontanea,
anche se integrata da iniziative sempre più numerose dei comuni e in genere dell'autorità civile.
Dobbiamo ricordare che questo fu un periodo di grandi epidemie
che devastarono l'Europa fin dalla fine dell'età medioevale.
Durante il secolo XIV apparve in Europa la peste nera che causò la morte di circa 20-25 milioni

di europei, seguita dalla Sifilide, il Mal Franzoso a causa della quale,
in Europa morirono circa 20 milioni di persone.
La massima estensione di questa epidemia fu nel 1495 a Napoli, difesa da italiani e spagnoli
ed assediata dall'esercito francese al servizio di Carlo VIII.
Durante l'assedio, le prostitute francesi propagarono la malattia tra gli eserciti mercenari
ed i soldati spagnoli, dando origine alla misteriosa piaga chiamata con il nome di morbo gallico
e più tardi come «malattia dell'amore».
Per questi malati, giudicati come incurabili, e perciò allontanati dagli ospedali comuni,
furono  stabilite sedi distinte, che ricevettero la denominazione di ospedali degl'incurabili.
Il notaio genovese Ettore Vernazza (morto nel 1524), impietosito della sorte di tanti infelici,
abbandonati miseramente nelle vie, pensò di accoglierli in un luogo speciale,
il Ridotto degl'incurabili, amministrato dalla Congregazione del Divino Amore.
Incoraggiato dai risultati, egli intraprese un vero pellegrinaggio
attraverso l'Italia per diffondere l'opera.
Così ebbero origine gli ospedali degli incurabili a Roma, Napoli, Palermo, Firenze,
Bologna, Venezia, Savona, Brescia, ecc.

Identiche istituzioni si diffusero all'estero.

La conquista delle Americhe  portò all’introduzione presso popolazioni prive di difese immunitarie,
di patologie micidiali come vaiolo, colera, scarlattina, tosse cattiva, difterite, dissenteria, meningite,
tifo, malaria, febbre gialla, influenza, morbillo, peste bubbonica, tubercolosi, pleurite, orecchioni.
Tra l’inizio del XVI e la fine del XIX secolo, nei territori a settentrione del Messico,
si verificarono 93 gravi epidemie e pandemie, una ogni 4 anni e due mesi,
che portarono all’annientamento di centinaia di migliaia di indigeni.
Le malattie si diffusero attraverso i contatti iniziali tra nativi e bianchi,
esploratori e mercanti prima, e coloni e soldati in seguito.
Si trattava di malattie pressoché inesistenti in America.
Mentre le popolazioni dell'Europa,Asia e Africa
avevano sviluppato anticorpi specifici contro di esse, gli indiani si trovarono del tutto inermi:
la rapidità del contagio e il tasso di mortalità furono molto elevati.
Circa l'80% ed il 95% della popolazione indigena delle Americhe perì in un periodo di tempo
che va dal 1491 al 1550 per effetto delle predette malattie.
La prima malattia che si diffuse nel Nuovo Mondo fu causata da una germe dell'influenza dei suini
ed ebbe inizio nel 1493 a Santo Domingo e decimò la popolazione (da 1.100.000 a 10.000);
nel 1518 comparve il vaiolo ad Hispaniola che si propagò dapprima in Messico, poi in Guatemala
e nel Perù; si ritiene che la malattia destabilizzò l'impero Inca favorendo la campagna
di conquista di Francisco Pizarro ed il massacro della popolazione
Dopo il devastante passaggio del vaiolo e dei conquistadores, fu la volta del morbillo.

Gli europei che arrivavano in America invece non ebbero conseguenze dall'interscambo,
a parte forse, la sifilide .
Qual è stata la sua origine?
Sono stati gli uomini di Colombo che, tornando dall’America, hanno portato la malattia in Europa
oppure essa era già presente come infezione cronica e veniva confusa
dai medici con la lebbra o con altre malattie?
Solo studi futuri potranno chiarire queste domande.

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