Privacy Policy RINASCIMENTO SCUOLA



SCUOLA

In epoca rinascimentale il sistema scolastico delle città italiane rimase fondamentalmente
quello che si era delineato nel corso del Duecento.
Era basato cioè,  su scuole ecclesiastiche per la formazione del clero e scuole laiche,
 private e comunali  che, dopo un primo livello elementare, si differenziavano in:
scuole d'abaco e scuole di grammatica.
Il numero di scuole in questo periodo, aumentò notevolmente.
Il tasso di scolarizzazione maschile dei ragazzi tra 10 e 13 anni a Firenze nel 1480
può essere stimato intorno al 28%  ma il tasso di alfabetizzazione doveva essere superiore
poiché non tutti i ragazzi che imparavano a leggere e scrivere
andavano ancora a scuola dopo i dieci anni di età.
Probabilmente l'alfabetismo maschile non era lontano da quello,
stimato intorno al 33%, di Venezia nel 1587.
Molti erano i ragazzi appartenenti a famiglie di artigiani, negozianti e operai che frequentavano scuole regolari.
La percentuale delle ragazze che frequentavano scuole tra i sei e quindici anni era invece bassissima.
Sulla distribuzione degli scolari tra scuole private e comunali si hanno pochi dati.
Sappiamo che nel 1587 a Venezia gli scolari che frequentavano scuole private erano l'89%,
ma probabilmente una percentuale così alta era tipica di grandi città,
mentre il peso delle scuole comunali era maggiore nei piccoli centri.
Un'importante novità del Cinquecento fu la comparsa di scuole comunali gratuite:
Lucca, ad esempio, nella prima metà del secolo aveva sei maestri comunali di latino,
ai quali aveva proibito di esigere pagamenti dagli alunni.
A Milano le scuole pubbliche si tenevano al Broletto.
I programmi di insegnamento nelle scuole di grammatica (ossia di latino)
furono profondamente modificati con il diffondersi degli Studia humanitatis:
gli autori medievali furono eliminati dai programmi, nei quali acquistarono invece importanza,
accanto ai poeti (già letti anche nel Medioevo), i prosatori di epoca classica:
Cicerone in primo luogo, ma anche altri oratori e storici.
La lettura di autori come Cesare, Sallustio e Valerio Massimo fu la prima forma
in cui lo studio della storia entrò nella scuola.
Un'altra importante novità fu il sorgere di scuole umanistiche, di livello superiore a quelle di grammatica,
che si avvalevano spesso di umanisti di fama; alcune erano scuole-convitto private,
come la famosa Casa Giocosa fondata e diretta da Vittorino da Feltre e altre erano pubbliche.

A Venezia, in particolare nel 1446, sorse la prestigiosa Scuola grande di San Marco, dove insegnarono
 illustri intellettuali come Giorgio da Trebisonda, Giorgio Valla e Marco Musuro.
Non solo in scuole di questo livello ma anche in una percentuale piccola ma significativa di scuole di grammatica
fu introdotto lo studio del greco.

Bisogna ricordare che le scuole d'abaco non sempre costituivano una scelta alternativa a quella dello studio del latino:
un intellettuale come Niccolò Machiavelli aveva frequentato, oltre alle scuole di grammatica, anche una scuola d'abaco.

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Attorno alla metà del Quattrocento ebbe luogo in Italia un'autentica rivoluzione nel campo dell'istruzione.
Una rivoluzione che è alle origini della trasformazione culturale europea e i cui effetti sono avvertibili ancora oggi.
Il sistema scolastico medievale, fortemente imperniato sul cristianesimo e sulla logica,
cedette il passo agli 'studia humanitatis': lo studio dei classici dell'antichità assurse a fondamento
della cultura della futura classe dirigente.
Non mancarono, peraltro, indirizzi scolastici di altro tipo:
i figli dei mercanti e degli artigiani leggevano testi religiosi e profani in lingua volgare e imparavano l'abaco e la partita doppia.
In Inghilterra  i Grammar Schools, furono opera dei Tudors  ed erano le scuole
dove andavano a studiare i ragazzi provenienti dalle famiglie ricche.

Queste scuole si frequentavano dai 7 ai 14 anni e in una di queste scuole, studiò William Shakespeare.
Le lezioni nel grammar school partivano all'alba e finivano quando cominciava a diventare buio.
Le vacanze estive non duravano molto e le scuole rimanevano chiuse
 per 17 giorni durante le vacanze di Natale e 12 giorni per Pasqua.
Le scuole si chiamavano Grammar Schools perché gli studenti studiavano la grammatica del latino e del greco,
poi studiavano anche aritmetica, storia, geografia e religione.
Le lezioni dovevano essere imparate a memoria perché i libri costavano troppo.
La scuola aveva un sacco di regole (ad esempio, gli studenti non potevano portare un pugnale a scuola)
e gli insegnanti picchiavano gli alunni se non seguivano le lezioni.

Gli studenti usavano gli "hornbooks", cioè  un foglio di carta con
per esempio, l'alfabeto o una preghiera, inchiodato  su una tavola di legno con sopra una copertura d'osso trasparente.
Si scriveva con degli utensili di scrittura fatti di penna d'oca

Nel manico sporgente dell'Horn-book c'era un buco attraverso cui si passava un nastro che permetteva di fissare
l'Horn-book alla cintura o alla fascia che teneva l'abito.
La parola HORNBOOK viene dall'inglese Horn = corna e Book= libro.

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Anche in Inghilterra alle donne non era permesso studiare se non in casi sporadici
Le ragazze che venivano dalle famiglie ricche, di solito stavamo a casa ad imparare a fare le mogli e le madri.
Nelle famiglie povere, alcuni ragazzi diventavano apprendisti e imparavano il lavoro, le  ragazze diventavano serve.
I bambini poveri non potevano andare a scuola, stavano a casa ad aiutare i genitori.
La differenza tra ragazzi e ragazze influiva anche nelle scuole e le ragazze imparavano cose diverse.
Per le ragazze la scuola principale era la famiglia, le materie più importanti erano il comportamento e le buone maniere.
Le ragazze imparavamo a governare delle enormi case e le cose principali che dovevano sapere erano leggere e contare.
Venivano istruite dalle madri o dalle suore che insegnavano ad avere più fede in Dio.
A volte venivano invitate da altre famiglie che insegnavano a gestire il loro podere.
Le ragazze nobili  imparavano a: vestirsi bene, cantare, ballare, fare musica,
essere una brava ospite, cucire,  cavalcare e  cacciare.
Oltre a questi lavori imparavano ad assistere gli infermi osservando le altre damigelle più esperte
ed  a essere più caritatevoli con i poveri.

Veniva anche insegnato a tenere in ordine la preziosa biancheria.
Le ragazze di campagna, che vivevano in famiglia, imparavano a lavorare i campi,
a rastrellare il fieno e raccogliere il grano quando si mieteva, a fare  le domestiche
e passavano il tempo a pulire e rassettare.
I ragazzi poveri imparavano i lavori agricoli essenziali, come falciare il fieno con lunghe falci
o mietere il grano con falcetti ricurvi.
L'intera comunità lavorava insieme per fare questi raccolti essenziali.
Imparavano a badare agli animali, a fare lavori come il pastore o il porcaro, controllavano
le pecore e i maiali al pascolo ed imparavano ad aver cura dei cavalli della fattoria.

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Le prime scuole furono nei monasteri  ma gradualmente essi furono sostituiti da scuole ed università.
Le materie che venivano insegnate ai ragazzi ricchi erano: la filosofia, la grammatica, la linguistica,
la logica, la matematica, l'educazione musicale, l'astronomia; diritto e medicina erano corsi aggiuntivi.
Il rinnovamento intellettuale e artistico coinvolse anche l'educazione dei giovani.
L'obiettivo dell'educazione doveva essere la formazione completa dell'uomo
in vista dei suoi compiti e dei suoi impegni nella vita quotidiana.
Le discipline letterarie e l'acquisizione delle lingue classiche erano fondamentali.
Secondo gli umanisti, l'apprendimento del latino e del greco aveva un valore pedagogico oltre che tecnico:
l'animo del giovane formato nelle lettere classiche diveniva buono con lo
studio, e non abbisognava più di regole di condotta specifiche.
I testi dovevano essere letti direttamente nelle lingue originali e non, come nel Medioevo,
attraverso riassunti o manuali di epoca successiva.
Altrettanto importante veniva ritenuta la formazione fisica, da realizzare attraverso esercizi del corpo.
Alcuni umanisti fondarono scuole private in cui si applicavano questi principi pedagogici.
Guarino Guarini, detto Guarino Veronese (1370-1460) tenne una celebre scuola prima a Verona e poi a Ferrara.
Il suo discepolo Vittorino da Feltre (1378-1446), fondò a Mantova, su sollecitazione dei Gonzaga,
la Casa Giocosa, che già nel nome lascia intendere l'obiettivo di un'istruzione non imposta e oppressiva,
in cui anche il gioco era importante.
In queste scuole gli allievi trascorrevano l'intera giornata, alternando le lezioni a passeggiate,
nuoto, danza, con l'obiettivo di una formazione armoniosa del corpo e dello spirito.
Essendo scuole costose, erano rivolte ai figli dei signori e dei nobili, ma era possibile accedervi
anche ai giovani di condizione più modesta grazie a donazioni di privati.
Bisogna però fare attenzione a non idealizzare gli insegnanti del Rinascimento, perché spesso
la pratica contraddiceva la teoria.
Erasmo da Rotterdam, per esempio, dà testimonianza della brutalità dei maestri affermando che nella scuola
"altro che i pianti e singulti e spaventose minacce non s'ode".

Il rinnovamento delle forme di insegnamento fu poi condizionato profondamente dall'invenzione della stampa.
L'invenzione della stampa fu, prima di ogni altra cosa,
la scoperta di un nuovo modo, tutto meccanico, di scrivere.
La scrittura era rimasta per secoli, anzi per millenni, una delle attività dell'uomo più direttamente connesse
sia alla regia della mente sia all'abilità della mano;
talvolta, terminata l'opera di copiatura, gli amanuensi annotavano:
"la mano scrive ma tutto il corpo si affatica".
Era un'arte in cui si esaltava principalmente la perizia culturale e operativa dello scriba,
anche se una parte, sia pure secondaria e di complemento, era da attribuire
 alla qualità degli strumenti, a carta, penne e calamaio.
Di artis scriptoriae peritia ci parlano già, raccogliendo l'eco di una tradizione secolare,
i manoscritti monastici del X secolo.
;La scrittura, insomma,  già agli albori della nuova Europa cominciava ad apparire nella sua interezza
un artificium, il prodotto dell'ingegno e della perizia degli uomini.
Del resto, pur essendo l'attività che più delle altre poteva coniugarsi, per i monaci,
con la lectio divina e con la preghiera, la scrittura, quando abbandonò i chiostri
per porsi al servizio degli studi universitari e della vita cittadina, subì l'accelerazione impressa
ai tempi di produzione dalle nuove esigenze culturali e mercantili
e accentuò ulteriormente la propria dimensione artigianale e produttiva,
Ciò apparve evidente sia nel cosiddetto 'sistema delle pecie', in cui gli esemplari erano smembrati
in più pezzi allo scopo di affrettarne la copiatura e, al contempo, garantirne la fedeltà testuale,
sia soprattutto nelle botteghe scrittorie sorte sotto la guida di abili cartolai
in molte città italiane a partire almeno dal XIV secolo.
Per l'eccellenza dei prodotti e per il livello sociale e culturale dei suoi ricchi committenti,
emerse e si affermò a Firenze la celeberrima bottega di Vespasiano da Bisticci,
sul cui modello ne nacquero, anche se con minori pretese, un po' ovunque fin quasi alla fine del Quattrocento,
allorché scomparvero o finirono per trasformarsi nei nuovi centri della produzione e del commercio del libro stampato.

Gutenberg con la sua invenzione rispondeva in modo totalmente nuovo alle esigenze poste
da una circolazione libraria in costante aumento.
Egli intervenne non tanto nella distribuzione del lavoro o nell'aumento del numero dei copisti,
ma nella struttura stessa della sequenza di scrittura, non considerandola più un organismo unitario,
continuo e dinamico, ma l'esito di una serie di singole operazioni da analizzare,
scomporre e quasi da anatomizzare nelle loro parti elementari;
il testo fu così scomposto nelle pagine; la pagina nelle linee; la linea nelle parole; la parola nelle lettere;
la lettera nei suoi singoli tratti.
La ricomposizione delle parti, in fasi successive e con procedure non più strettamente manuali,
avrebbe ridato vita unitaria e dinamica alla lettera, alla parola, alla pagina e al testo.
Era un nuovo modo, da tecnico, di guardare alla scrittura non più come a un organismo in movimento,
ma come a una sorta di macchina da smontare e da ricostruire diversamente, mirando all'esito finale
di garantirle quell'unità e quel dinamismo che da secoli le era conferito dalla mano nello scorrere sul foglio.
Nel giro di pochi decenni il libro, non più scritto a mano ma stampato, subì una profonda metamorfosi
che l'ha portato a essere percepito in modo diverso; non più come il frutto del paziente e tradizionale lavoro di copiatura,
che aveva negli antichi scriptoria la sua cuna, ma piuttosto come il modello di un modo di produrre
in cui l'uomo si avvale di strumenti, di macchine e di procedure che, pur simulando l'azione diretta delle sue mani,
raggiungono livelli di perfezione e di rapidità che a esse non sono consentiti.


Il libro divenne in tal modo il testimone più accreditato dei tempi nuovi e si fece veicolo,
nella sua stessa configurazione materiale,della diffusione e dell'affermazione del saper fare
ma, soprattutto, del saper concepire e progettare che gli hanno dato l'attuale configurazione grafica e testuale.
Infatti, l'invenzione della stampa tipografica è stata possibile proprio perché Gutenberg e i suoi primi seguaci
hanno saputo servirsi di procedimenti tecnici e mentali diversi, ne hanno approntati di nuovi attinenti a settori
fino ad allora considerati distanti e li hanno orientati, seguendo una linea di sviluppo coerente e unitaria, alla nascita
di un manufatto tecnologico che, durante le complesse e diversificate fasi di produzione,
ha trovato la sua naturale coerenza e unità, non tanto negli strumenti effettivamente approntati
(per esempio, punzoni, inchiostri, torchio di legno, carta da stampa, ecc.), quanto piuttosto
in un fatto mentale e concettuale, cioè nel progetto tipografico ed editoriale
 che ne è alla base e ne costituisce la solida anima operativa.





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