I RICORDI DI PINO, BAMBINO PROFUGO DA ZARA
storie di un'infanzia rubata
Questo documento parla dei ricordi di un
bambino di pochi anni,
costretto a vivere gli orrori della seconda guerra mondiale.
Con la sua famiglia viveva a Zara e, pur avendo pochi anni,
i suoi ricordi sono rimasti nitidi e indelebili.
E' bastato un accenno per aprire il cassetto della memoria e far riaffiorare
i ricordi di quegli anni in tutta la loro drammaticità.
Zara è una lingua di terra che si affaccia sul mare.
Da una parte c'è la piccola Baia e dall'altra il Mare Adriatico.
Entrò a far parte del Regno d'Italia in seguito al Trattato di Rapallo del 1920,
che stabilì lo status degli ex territori austro-ungarici.
Aveva una larga maggioranza italiana ed era un'enclave italiana in Dalmazia.
Dagli anni '20 in poi, molti croati furono costretti a lasciare la città
e il loro posto venne preso da italiani che si trasferivano lì dalla Dalmazia
jugoslava,
come il famoso stilista Ottavio Missoni, che si trasferì con la sua famiglia da
Dubrovnik.
A questo punto dobbiamo fare una precisazione: come erano arrivati questi
italiani in Dalmazia?
In realtà non si trattava di veri e propri italiani.
Per la maggior parte essi erano croati che,
dopo lannessione della Dalmazia allItalia erano diventati
.italiani.
Il padre di Pino era nato infatti a Drni
e la madre a Vigneratz a 32 km da Zara, l'antica Castel Venier
fondata nel Quattrocento dalla famiglia veneta Venier.
Tutte e due città della Dalmazia.
La famiglia paterna e quella materna si erano trasferite per motivi diversi a
Zara
quando questa era diventata già città italiana a tutti gli effetti.
Quando la Dalmazia (regione della Croazia che rimase indipendente) diventò
italiana,
gli abitanti si videro recapitare a domicilio dei documenti provenienti dal
governo italiano,
scritti in lingua italiana, che attestavano la nuova cittadinanza;
e cosi la famiglia di Pino si ritrovò italiana così come tutti gli altri.
Fu chiesto a ogni famiglia se volesse italianizzare il cognome ma nonni di Pino
si rifiutarono
e a questo punto il governo italiano chiese di togliere in fondo al cognome del
nonno la "č"
accentata sostituendola con il "ch".
I veri italiani che abitavano la Dalmazia nel 1910 erano appena il 2,7% e cioè
18 028 su 677 700
secondo le statistiche austriache
La storia di questa regione è molto confusa e difficile da capire perché
le parti in gioco cambiano e così anche la vita della gente; quindi è necessaria
Una breve premessa
Geograficamente la Dalmazia è una sottile striscia di terra corrispondente
al versante marittimo delle montagne balcaniche che costeggiano il mare
Adriatico.
Il suo nome deriva dall'antico popolo dei Dalmati (in latino Dalmatae o
Delmatae, nome
che a sua volta deriva dalla parola illirica delmë, che significa pecora)
e venne utilizzato ufficialmente per denominare la regione, quando la Dalmazia
fu staccata dall'Illirico e divenne provincia romana (10 d.C.).
Della prima presenza slava vi è traccia nel famoso Placitum del Risano dell804,
in cui i rappresentanti delle città istriane chiedono ai messi di Carlo Magno
di liberarli dalla pirateria dei paganos slavos, sin autem melius est mori quam
vivere.
Dall800 iniziò lespansione di Venezia che si affermò in tutta la costa
adriatica:
nel 1150 il Doge assunse il titolo di Totius Istriae inclitus dominator.
Il leone alato di San Marco, simbolo della Serenissima, da allora si troverà
ovunque,
dallisola di Veglia dove comparve per la prima volta nel 1250, a tutte le città
istriane e dalmate.
Tra il 1400 e il 1600 più volte la peste si abbatté sullIstria e sulla
Dalmazia.
Venezia ripopolò la regione importandovi migliaia di slavi, bosniaci, morlacchi.
Le vicende istriane sono numerose e complesse ma, sostanzialmente da allora e
fino alla fine
del XVIII secolo, la storia dellIstria si identificò con quella di Venezia.
Ecco per quale motivo la regione fu poi definita Venezia Giulia dal glottologo
Graziadio Ascoli.
Il dominio di Venezia ebbe fine nel 1797 con il trattato di Campoformio,
quando la regione passò nelle mani dellAustria, che regnò, salvo la parentesi
francese
del Regno Napoleonico dItalia, fino al 1918.
In tutta la fascia Dalmata costiera come a Zara comunque, la lingua più usata fu
sempre un dialetto veneto.triestino.
La vittoria della Grande Guerra, cui parteciparono da volontari migliaia di
istriani e dalmati
fra cui Sauro, Filzi, Rismondo, portò e far parte del Regno dItalia non solo
Trento e Trieste,
ma tutta la Venezia Giulia: lIstria con Pola, la Dalmazia con Zara e
Fiume che fu annessa nel 1924,
dopo essere stata teatro dellimpresa dannunziana del 12 settembre 1919.
Il sogno italico della Venezia Giulia durò poco più di ventanni.
Il diktat di pace del 10 febbraio 1947 imposto al termine della seconda guerra
mondiale dalle potenze vincitrici,
strappò lIstria, Fiume, Zara e le isole, allItalia, consegnandole alla
Jugoslavia di Tito.
Zara fino al 1941, era circondata da fortificazioni italiane, di cui il bunker
dietro Gaenice e nella zona di Ploče e Crnog erano i più notevoli.
I bombardamenti della città da parte degli Alleati, durarono dal novembre 1943
all'ottobre 1944
e si distinsero per il numero di attacchi e il numero di vittime.
I rapporti variano notevolmente: gli Alleati hanno documentato 30 bombardamenti,
mentre i resoconti italiani contemporanei ne rivendicano 54.
I decessi registrati vanno da meno di 1.000 a ben 4.000 dei 20.000 abitanti
della città.
Nel corso dei bombardamenti, l'80% degli edifici della città fu distrutto.
Zara è stata chiamata la " Dresda dell'Adriatico" a causa delle somiglianze
con il bombardamento alleato di quella città.
In entrambi i casi, le bombe alleate hanno devastato una città ricca di tesori
artistici e storici,
ma con poco significato industriale o militare apparente per la guerra.
Pino ricorda soprattutto i bombardamenti del giugno 1944 quando per un
intero mese
ogni giorno, gli aeroplani americani chiamati " Fortezze Volanti",
volarono sul cielo di Zara preceduti da una sirena di allarme per avvertire la
popolazione
e scaricarono le loro bombe ovunque, provocando morti, distruzioni, macerie ed
incendi.
Perchè questo accanimento?
Perchè Tito aveva chiesto a Londra di bombardare Zara in quanto diceva
che a Zara c'erano il quartiere generale italiano e truppe tedesche con tutte le
loro forze belliche.
Pertanto sarebbe stato un ottimo obiettivo strategico per combattere e
sconfiggere il nemico.
In realtà Tito voleva solo la pulizia etnica di tutti gli italiani.
Un vero crimine di guerra perché l'importanza bellica di Zara era pressoché
inesistente.
Siccome si era vicini al termine della guerra, Churchill occupato in altre
battaglie,
demandò agli Americani tale compito.
Durante quel mese di massacri feroci, la famiglia di Pino dovette spostarsi ogni
giorno nei rifugi.
Vi si recavano a due a due sotto la guida del Papà.
Pino e il Papà erano sempre gli ultimi ad entrare.
Durante il percorso per raggiungere il rifugio erano obbligati a passare
a lato della piccola e bellissima Baia.
Pino sempre attento ed osservatore, guardava ovunque con minuziosa attenzione
come è nel suo carattere ancora oggi
..
Durante tale tragitto il suo sguardo, un giorno, si soffermò sulla piccola Baia
affollata di nuotatori.
Vide infatti una moltitudine di persone nell'acqua che sembrava nuotassero
di dorso, galleggiando a pelo d'acqua.
Tutta la Baia era ricoperta da questi corpi ed il colore dell'acqua era tinta di
rosso.
Stupefatto del colore particolare assunto dal mare, chiese:
" Papà perché le persone fanno il bagno proprio adesso che ci sono i
bombardamenti
e con quest'acqua sporca colorata di rosso ? "
Considerate che l'acqua laggiù è sempre di un colore smeraldo e cristallino.
Il Papà non sapeva cosa rispondere e disse in fretta:
" Mah chi lo sa! Vieni bello mio andiamo via subito da qui
. Corriamo nel rifugio! "
Molti morirono in quelle acque perché non fecero in tempo a raggiungere il
rifugio
o cercavano di evitare le macerie che cadevano da tutte le parti,
pensando che in acqua potessero salvarsi dalle bombe.
La fuga da Zara
Nel 1944 durante l'accanito bombardamento a
tappeto sulla città,
una bomba colpì la loro casa di proprietà che fu completamente distrutta.
Il Papà capì che era arrivato il momento di abbandonare Zara con la famiglia
e cercare un luogo più sicuro.
Era una questione di sopravvivenza oramai.
Prese in fretta del denaro e si recò da un suo amico per chiedergli in affitto
la casa
che possedeva in campagna a qualche km di distanza da Zara.
La casa era più piccola per loro 7 ma almeno era più sicura.
La Mamma di Pino era in stato interessante della sorellina che sarebbe nata dopo
qualche mese.
Decisero di partire quello stesso giorno.
La famiglia si mise in marcia a piedi: la nonna, la zia, i fratelli maggiori di
Pino e la Mamma
che spingeva una bellissima carrozzina molto capiente che conteneva i loro beni
e i documenti.
Quella carrozzina era un regalo del marito che l'aveva fatta arrivare da
Trieste, tramite un amico
e che era servita da culla per il loro primogenito e per gli altri bebé.
Dal momento dell'accanito bombardamento giornaliero sulla città, quella
carrozzina
era diventata il mezzo di trasporto per i loro beni e i documenti durante il
tragitto Casa-Rifugio
Pino con il Babbo li avrebbero seguiti più tardi in campagna.
Pino che era il più piccolo, stava sempre con il padre che lo voleva sotto la
sua ala protettrice
ed erano sempre gli ultimi a incamminarsi.
Mentre erano in marcia a piedi per raggiungere la famiglia, all'improvviso
un camion di soldati tedeschi si fermò affiancandoli.
L'autista chiese al Papà dove andassero e se volevano un passaggio.
Sebbene non capisse il tedesco egli comprese e accettò il passaggio.
I due salirono dietro e si misero seduti vicino ai soldati che accolsero gli
ospiti con un sorriso.
Allora il papà orgoglioso disse a Pino:
"Fai vedere come sai contare da uno a dieci in tedesco".
Pino accontentò il padre e per nulla intimidito, spavaldo, contò da Uno a
Dieci.
I soldati scoppiarono in una bella risata e si mostrarono felici dell'exploit
del bimbo italiano.
Arrivarono poi a destinazione incolumi e raccontarono l'episodio singolare alla
famiglia
che ascoltò il tutto con attenzione.
Bombardamento in campagna
L'asino e gli " Stukas"
Mentre incessanti continuavano nel 1944 i bombardamenti su ZARA
anche le campagne dei dintorni della città non furono risparmiate.
A differenza di Zara però non c'era una sirena che avvertisse la popolazione
dell'imminente bombardamento aereo
e così al primo suono di rombo di motori aerei
la gente usciva scappando dalle abitazioni per mettersi in salvo.
Un giorno dell'estate del 1944,
il Papà dovette andare a fare provviste di cibo per la famiglia.
Cibo che veniva pagato in lire italiane.
La moglie gli disse di procurare il cibo anche per la famiglia
che abitava vicino a loro in campagna, visto che sia gli uomini che le donne di
quella casa
non uscivano per la paura di rimanere uccisi sotto le bombe che cadevano a
pioggia.
Il Papà generoso come sempre
non si tirò indietro ma disse che non ce l'avrebbe fatta
a portare le provviste per tutte quelle persone
da solo, nonostante la sua grande mole e forza.
Basti pensare che aveva delle mani di tripla misura rispetto
a quelle di un uomo normale
.
Allora decise di andare dai vicini contadini che possedevano
un asino, per chiederlo in prestito e con l'occasione avrebbe procurato del cibo
anche per loro.
I contadini diedero l'asino volentieri e quindi il Papà, tenendo l'asino per la
briglia,
si incamminò a piedi trascinandolo sulla strada per un paio di Km .
Ad un certo punto, l'asino si fermò improvvisamente,
si impuntò e non volle più andare avanti e non c'era proprio mezzo di farlo
camminare.
Il Papà cercava di tirarlo con tutta la sua forza ma inutilmente.
Intanto passava di là un camion pieno di soldati tedeschi che si fermò
a guardare quella scena assai comica. Naturalmente ridevano
Il Papà non sapendo più che fare per far andare avanti la bestia,
prese con le sue forti braccia l'asino e se lo mise a tracolla sulle spalle.
I tedeschi allora scoppiarono in fragorose risate e se ne andarono poco dopo .
Dopo cento metri l'asino comprese chi era il più forte dei due e volle essere
messo a terra.
Una volta a terra decise di camminare e cosi proseguirono fino a
destinazione.
Intanto a casa in quello stesso giorno,la famiglia udendo l'arrivo
dei bombardieri americani cercò di mettersi in salvo scappando da casa in gran
fretta.
La Nonna, la zia, ifratelli maggiori e la Mamma avevano la
raccomandazione di non uscire mai in gruppo ma
separati o al massimo due a due.
In un lampo uscirono scaglionati e corsero nel campo di fronte casa dove l'erba
era molto alta,
diventando cosi un perfetto nascondiglio agli occhi dei piloti .
La famiglia si sparpagliò mettendosi raso terra in mezzo all'erba qui e là e
Pino
invece di accovacciarsi nell'erba, si alzò in piedi e si mise a correre proprio
verso gli aeroplani
e felice salutava con la mano i piloti urlando:
" Ecco gli STUKAS ! Ecco gli STUKAS".
Gli STUKAS in verità erano i caccia tedeschi.
Ma in realtà quelli che volavano sulla testa di Pino
erano i Bombardieri americani .
Il loro nemico in quel momento.
Pino a quella età non era in grado di distinguere tra aerei amici e quelli
nemici
e soprattutto non realizzava che così facendo metteva
a repentaglio la sua vita e forse anche quella dei suoi .
Ingenuità ed incoscienza di un bimbo di 4 anni !
La Mamma ferita dal bombardamento in campagna
ricordo tragicomico
Sempre durante quegli incessanti 54 giorni di bombardamenti a raffica,
anche la casa di campagna dell'amico Ludovich dove si erano rifugiati
Pino e la sua famiglia non fu risparmiata.
Doveva succedere prima o poi ed una mattina infatti,una bomba colpì
lateralmente,
di striscio, la casa mentre erano tutti fuori all'aperto, tranne Pino che,
invece,
era all'interno della casa,da solo, al piano superiore, seduto sul suo vaso da
notte.
La scossa e lo spostamento d'aria fecero rotolare
il bambino giù per tutta la rampa di scale fino al piano terra,
con attaccato al culetto come fosse una ventosa, il vasino da notte,
facendolo finire tra l'uscio della porta di casa che si era aperta ed il muro.
Il bambino stupito non si rese nemmeno conto di quel che era accaduto.
Incastrato ed ancora seduto sul vasino,
fu risparmiato dai vari calcinacci che venivano giù
perchè la porta di casa in noce, molto spessa e molto resistente
(costruita dal Papà falegname prima della guerra per l'amico Ludovich)
gli fece da scudo ed gli salvò la vita lasciandolo praticamente incolume.
Era però tutto sporco del contenuto del vasino e della polvere dei calcinacci
che si era sparsa dappertutto.
Intanto la Mamma in giardino era
rimasta ferita sopra l'orecchio destro da un detrito.
Incurante del dolore e del sangue che le colava sul viso
entrò come una furia, disperata, in casa alla ricerca del suo piccolo Pino,
pensando che fosse rimasto ucciso sotto le macerie .
Lo chiamò a gran voce senza ottenere risposta, rovistò tra i detriti
insieme agli altri familiari; lo chiamarono e lo cercarono ovunque
anche sotto le macerie, pensando che fosse rimasto schiacciato
Fecero il giro della casa disastrata, ma senza trovarlo.
Poi all'improvviso, una voce dall'oltretomba, proprio un fil di voce proferì
queste due sole parole:
" SONO QUI"
Era Pino che si era ripreso dallo choc.
Felici, lo liberarono da quel luogo angusto dove era incastrato e lo lavarono.
Lo riabbracciarono, contenti di averlo ritrovato sano e salvo anche se
puzzolente.
Ma l'amore di una Madre passa sopra ogni cosa.
Naturalmente la famiglia dovette ripulire la casa dai detriti e macerie
per renderla adeguatamente abitabile.
Residui bellici
Intorno al 1947, dopo la guerra, lasciata la casa di campagna, andarono ad
abitare
nuovamente a Zara al 4° Piano di una casa costruita dal Governo per gli
sfollati.
Nel suo tempo libero Pino, 6 anni, ormai più grandicello,
andava sempre in giro con un suo amico intorno alle campagne,
vicino al luogo di residenza e talvolta anche al mare per divertirsi
perché di divertimenti ce n'erano pochissimi all'epoca.
L'amico di Pino era più grande, aveva 11 anni essendo nato nel 1936.
Anche lui e la sua famiglia partirono rimpatriati verso la fine del '48
per Gaeta e poi Milano
Ogni tanto ancora oggi si sentono al telefono.
Pino essendo nato nel 1941 non trovava molti amichetti della sua età
in quanto le donne in quegli anni di guerra facevano pochissimi figli.
Pertanto i bambini o erano più piccoli di lui e lui non amava giocare con i più
piccoli,
oppure erano di qualche anno più grandi e, per farsi accettare da loro, doveva
dimostrare
di essere più forte, più coraggioso ed alla loro "altezza",
capace magari di fare anche meglio le cose che facevano loro.
Pino aveva un carattere spavaldo e sicuro di sé che gli anni di guerra
avevano temprato bene.
Un giorno, durante una delle loro scorribande,
i due amichetti decisero di avventurarsi fin sulla spiaggia per fare il bagno.
Nuotando e divertendosi nel mare cristallino dal lato Adriatico
dove l'acqua è più profonda rispetto a quella della Baia di Zara,ad un certo
punto,
lo sguardo di Pino si concentrò sott'acqua attratto da un luccichio
Riconobbe subito una bomba esplosa durante la guerra in quegli accaniti
bombardamenti.
La bomba grossa e pesante, misurava circa 60 centimetri di lunghezza.
Era la prima volta che Pino scopriva un reperto bellico
Il reperto stava sul fondo marino a 2 metri e mezzo di profondità circa.
Bravo subacqueo e ottimo nuotatore fin da piccolo,
Pino si tuffò senza timore e andò sott'acqua per osservare meglio e da vicino il
reperto.
Si rese però conto che sarebbe stato impossibile recuperarlo da solo perché
molto pesante.
Chiamò pertanto in aiuto l'amico che era sull'arenile per farsi dare una mano.
Trovarono una corda nei dintorni, si immersero e legarono sott'acqua il reperto
bellico.
Riuscirono così a trascinarlo a riva e lo misero sul carretto che
il Papà aveva costruito amorevolmente per Pino.
Si rivestirono e si incamminarono verso una cascina non distante,
abitata da un contadino della zona.
Questi prese il reperto e fece ai bambini una proposta:
se avessero trovato altri residui bellici e glieli avessero portati, lui
avrebbe dato loro qualche soldino.
Felici del loro primo guadagno, Pino e l'amico non se lo fecero ripetere due
volte.
Divertimento con guadagno !!! Figurarsi
Il tutto ovviamente all'insaputa dei rispettivi genitori.
Iniziò così per i bimbi la caccia alle armi belliche
che vendevano al contadino che, a sua volta le rivendeva come
"rame ", "piombo" e "ferraglia".
A quel punto i bambini presero a cercare residui bellici e ferraglia di ogni
tipo che portavano,
una volta alla settimana circa al contadino in cambio di soldini.
Un bel giorno Pino per svagarsi andò per conto suo a passeggiare
nei campi e prati non lontani da casa sua osservando con cura
tutto quello che lo circondava come era solito fare.
A un certo punto intravide in lontananza un cumulo di terra abbastanza alto.
Si avvicinò e vide alcuni bossoli in mezzo alla terra che luccicavano.
Li prese in mano analizzando la loro lunghezza e pensò che, probabilmente
ci dovevano essere sotto delle armi.
Si mise a scavare con grande curiosità con l'aiuto di un sasso
e finalmente sbucarono tantissimi altri bossoli con sua grande felicità.
Tutto guadagno extra per lui e l'amico.
Siccome voleva scavare più profondamente ed il sasso non era proprio l'attrezzo
più adatto,
cercò nei dintorni qualcosa che facesse al caso suo.
Trovò un lungo pezzo di ferro e con quello scavò ancora andando in profondità.
Improvvisamente spuntò una canna appartenente ad una mitragliatrice e la mise da
parte.
Decise di continuare gli scavi e vennero fuori altri reperti:
ancora bossoli, una pistola a tamburo con tre proiettili in canna inesplosi al
suo interno;
continuando a scavare, saltò fuori un'ultima pistola scarica.
Altro non trovò in quel cumulo.
A quel punto prima di chiamare il suo amico per decidere cosa fare dei reperti,
nascose le due pistole il più lontano possibile dal luogo del ritrovamento
per tenerle soltanto per sé.
Quando venne l'amico, cercarono tra le macerie dei dintorni dei grossi
contenitori
che potessero contenere tutti quei bossoli.
Per loro fortuna trovarono dei pentoloni enormi adatti allo scopo.
Poi Pino andò a prendere il suo carretto che gli serviva da trasportino
e lo portò sul luogo del ritrovamento.
Ci misero sopra i pentoloni pieni di bossoli e la mitragliatrice
per portare il tutto, come convenuto, al contadino che ricambiò stavolta con
tantissimi soldini.
Quei soldini Pino li spendeva sempre per comperare gelati e vari dolcetti
a tutti gli amici che non sapevano assolutamente da dove arrivasse il denaro.
Il tutto sempre all'insaputa dei genitori dei due baldi giovani.
Passò un po' di tempo ed un giorno Pino decise senza farsi vedere da nessuno, di
recuperare
le sue 2 pistole perché riteneva che fosse arrivato il momento di riportarle
alla luce
per mostrarle al Gruppo dei suoi amichetti.
Andò al nascondiglio e prese soltanto una delle 2 pistole.
scegliendo, ovviamente, per il suo carattere temerario e spavaldo, quella con i
3 colpi in canna.
Con la pistola carica, andò dai suoi amici e dal fratello maggiore che giocavano
nei campi vicini.
Orgoglioso e fiero, la mostrò a tutti senza farla toccare a nessuno.
Gli amici la guardarono prima con stupore e poi con grande interesse e
curiosità.
Forse alcuni con paura.
Lasciando gli amici la risotterrò al suo posto senza farsi vedere dal gruppo.
Alcuni giorni dopo andò con gli amici al mare proprio con quella pistola e sparò
un colpo in acqua.
Sparando il colpo, la mano e il braccio fecero un grande e potente rinculo.
Dopo questo primo sparo nell'acqua, Pino decise che non avrebbe più sparato gli
altri
due rimasti in canna, nonostante gli amici insistessero nel volerlo vedere
sparare ancora
Senza farsi scoprire rimise la pistola al suo posto nel nascondiglio segreto a
lui solo conosciuto
ed ogni tanto, fino al suo rimpatrio in Italia, andava ad assicurarsi che fosse
laggiù.
Non volle mai più mostrarla agli amici e la lasciò in quel luogo segreto
lontano da occhi indiscreti.
Anche l'altra pistola rimase sempre custodita in quel luogo.
Nel 1967 ritornò a Zara con il fratello per la prima volta dopo il rimpatrio
per rivedere i luoghi della loro infanzia, la casa ed i dintorni
dove avevano vissuto in quegli anni.
Pino volle assolutamente inoltrarsi fino a quei campi che conosceva bene,
per ritrovare le sue due pistole e portarle in Italia visto che è amante delle
armi.
Infatti a casa sua, attaccate al muro sopra il caminetto
ci sono alcune armi antiche da collezione non funzionanti denunciate
regolarmente all'ARMA.
Arrivati sul luogo delle pistole nascoste, la delusione lo colse quando vide
che su quel terreno avevano costruito delle case.
Probabilmente le pistole saranno state ritrovate dagli operai del cantiere
durante gli scavi.
A tutt'oggi Pino si chiede che fine abbiano fatto quelle " sue " due
pistole.
Il negozio albanese di dolciumi
C'è da fare una premessa.
il negozio che vendeva i dolcetti era di proprietà di un albanese ed era situato
oltre un muretto a secco alto più di due metri che divideva
la Periferia di Zara dal Ghetto degli Albanesi che erano venuti a Zara
moltissimi anni prima.
Questo Ghetto si era formato quando gli Albanesi scapparono dai Turchi che
volevano perfino occupare Vienna
I ragazzi Albanesi e quelli Zaratini non andavano per niente d'accordo
e spesso si prendevano a sassate dal muretto.
Pino già a quella età era il più temerario del suo gruppo.
Pertanto era sempre lui che doveva scavalcare il muretto per comperare i
dolcetti
perché gli altri non avevano abbastanza coraggio per farlo.
Ma come in tutte le cose "c'è sempre una prima volta".
La primissima volta che pensarono di comperare i dolcetti,
Pino si offrì di andare da solo sfidando tutto e tutti.
Era un bimbo che aveva un suo carattere già da piccolino.
Scavalcò da solo quel muretto alto due metri con molta circospezione
ed arrivò in negozio per comperare i dolcetti.
All'uscita dal negozio, con il sacchetto in mano pieno di vari dolcetti,
vide una diecina di ragazzini albanesi che lo stava aspettando.
Capì subito che aspettavano lui e dal loro atteggiamento minaccioso capì che lo
volevano malmenare.
Allora, coraggiosamente si avvicinò, minaccioso anche lui e disse al gruppo,
che se lo avessero solo sfiorato o toccato sarebbe ritornato la notte stessa
con le pistole di sua proprietà e nel sonno avrebbe sterminato Genitori, Nonni
e figli senza pietà.
A quel punto i bimbi albanesi si spaventarono moltissimo
lasciandolo passare incolume senza torcergli un capello.
Si vede che era girata la voce che Pino possedeva delle armi da fuoco
pericolose.
Da quell'episodio in poi Pino aveva libera entrata ed uscita dal Ghetto e poteva
senza timore
avventurarsi per comperare i dolcetti per sé ed il suo gruppetto, sia con i
soldi guadagnati
dal " traffico d'armi e ferraglie" che con i soldini dei genitori dei
suoi compagni.
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Nel 1946, finita la guerra, il papà decise di mandare il figlio
primogenito
con la nonna e la zia paterna in Italia in treno.
Ad accompagnarli fu lui stesso che pensava di ritornare a riprendere il
resto della famiglia.
Purtroppo le frontiere si chiusero e la famiglia rimase per molti anni
separata.
Il Papà riuscì per miracolo a tornare a Zara prima della chiusura delle
frontiere.
La famiglia di Pino possedeva una piccola casa che stava
vicino al laboratorio di falegnameria,
dove il Papà aveva creato una scuola per 10 giovani studenti apprendisti
falegnami,
che frequentavano il laboratorio due volte a settimana.
Questi studenti che facevano pratica nella Falegnameria del Papà di Pino,
erano studenti della scuola " Artisti e Mestieri" di Zara
In tutto invece gli operai erano 40.
Ma tutto fu distrutto dai bombardamenti degli alleati:
la scuola il laboratorio e i due magazzini con tutte le macchine
e tutto il legname che era all'interno.
Un disastro economico per tutti: famiglia, operai e abitanti
di Zara, essendo l'unica falegnameria esistente.
Gli aiuti degli americani
Gli Americani alla fine della guerra si resero conto che Tito aveva dato false
informazioni
al solo scopo di fare pulizia etnica ed eliminare l'unico centro italiano
della costa orientale adriatica.
In questi assurdi e continui bombardamenti morirono il 15% degli italiani
residenti a Zara.
Come sempre in casi di Bombardamenti strategici chi ne paga le
conseguenze sono i civili.
A Zara il numero di vittime italiane civili fu ingente e i bombardamenti
continuarono con accanimento
anche dopo la distruzione dei presunti obiettivi strategici.
Per rimediare al danno fatto, gli Americani arrivarono con due navi
piene di cartoni
da distribuire alla popolazione zaratina e aiutare i sopravvissuti.
Anche Pino e la famiglia ne usufruirono.
A loro spettarono 6 cartoni essendo in sei.
Quando i cartoni vennero aperti, allinterno trovarono pacchi di zucchero,
caffè,
farina, riso, olio, scatolette di carne, di latte, del miele ed inoltre
cioccolata,
caramelle, una enormità di gomme da masticare, prodotti per la pulizia della
persona e sigarette.
Quando iniziò la ricostruzione della città, le macerie degli antichi
palazzi italiani vennero sgombrate
lasciando il posto a moderne costruzioni.
Fra gli edifici distrutti, le nuove autorità jugoslave si premurarono di
ricostruire quasi esclusivamente
le antiche e storiche chiese zaratine,
Gli esuli zaratini ritennero che tale criterio ricostruttivo fosse dovuto alla
volontà di eliminare
la memoria storica del carattere italiano della città;
gli storici croati sostennero invece, che a guidare le scelte urbanistiche e
architettoniche
dei nuovi amministratori di Zara fu la volontà di costruire degli edifici più
moderni e saldi dei precedenti,
unitamente ad una scelta stilistica influenzata dalle correnti architettoniche
dell'epoca,
che privilegiavano l'ex novo piuttosto che la copia dell'originale.
D'altro canto, la stampa jugoslava dell'epoca ,affermò che ogni traccia del
passato italiano egemonico
a Zara doveva scomparire e che si sarebbero create testimonianze della cultura
nazionale jugoslava.
Il poeta Vladimir Nazor, nella Zara distrutta, in un comizio del 27 marzo 1945,
sottolineò questa intenzione.
Dopo aver denunciato il carattere borghese, conservatore e autonomista della
popolazione di Zara,
inneggiò alla rifondazione di una «nuova Zara, completamente croata» concludendo
in questi termini:
«Spazzeremo dal nostro territorio le pietre della torre nemica distrutta
e le getteremo nel mare profondo dell'oblio.
Al posto di Zara distrutta sorgerà una nuova Zara, che sarà la nostra vedetta
sull'Adriatico».
In tempi più recenti, si è sviluppata a Zara una riflessione sulla città di un
tempo, sulla memoria e sulla sua tradizione storico/culturale; il giornalista
Enzo Bettiza, nato a Spalato e già studente a Zara, ha scritto:
«Zara dopo aver subito fin dal 1944, in riservata anteprima storica, l'onta di
una distruzione
non molto dissimile per ferocia e totalità da quella di Dresda, è stata poi
definitivamente mutata
dalla travolgente balcanizzazione etnica abbattutasi come un ultimo
bombardamento aereo
sulle sue macerie ancora fumanti»
La storia del titino Franke
Un altro episodio vissuto in prima persona da Pino con la sua Mamma si
verificò nel 1946
dopo la guerra, mentre abitavano in una casa in affitto in
periferia di Zara
visto che le loro case di proprietà erano state distrutte dalle bombe.
Questa casa era al 4° piano ed era stata costruita dal Governo subito
dopo la guerra per gli sfollati.
Aveva tre camere da letto, una sala, una cucina, un bagno, una grande dispensa
/ripostiglio
ed un paio di balconi che si affacciavano sul mare di Zara.
Quel ripostiglio grandissimo era stato trasformato in " dispensa alimentare "
e vi tenevano il cibo per 7 persone.
Nel 1946 ogni immobile aveva un Capo caseggiato che era un titino
nominato dal Partito.
Un bel giorno mentre il fratello maggiore era a scuola ed il Papà al nuovo
Laboratorio,
il Capo Caseggiato di nome Franke, un titino magrissimo e molto basso
che abitava anche lui nel caseggiato al piano terra in un piccolo
appartamento,
bussò ed entrò con carta e scartoffie in mano.
Con fare autoritario chiese alla Mamma (benché la conoscesse da anni e
parlasse anche l'italiano)
in quanti fossero, quante stanze avessero, dove erano i bimbi che mancavano e
dove era il marito.
Lei stupita da tutte quelle domande ma anche spaventata perché vedeva che
lui riempiva dei fogli,
incominciò ad agitarsi chiedendo del perché di tutte quelle domande visto che
Franke sapeva tutto di loro.
Ma lui, ligio al dovere continuava imperterrito ad interrogarla e a scrivere.
Poi, ad un certo punto entrò nelle varie stanze per controllarle e
nella dispensa vide
che c'era parecchio cibo (prosciutti, formaggi e provviste di vario
genere).
Lei disse ch erano in tanti a casa a mangiare.
Il titino disse che la casa era troppo grande per loro.
La Mamma rispose agitata " Ma lo sai che siamo in cinque"
(Il figlio primogenito era già in Italia con Nonna e Zia).
Franke, senza neanche ascoltarla, prese dei sigilli con ceralacca rossa
che aveva portato con sé e ignorando le rimostranze della Mamma disse
che avrebbe requisito una stanza e la dispensa.
Mise i sigilli con la cera lacca mentre Pino osservava impotente e la mamma si
agitava sempre di più
ed aggiunse che in quelle camere sigillate sarebbero venuti altri abitanti
e che loro non potevano più avere accesso nemmeno alla dispensa.
La Mamma era disperata e Pino, 5 anni, non poteva fare niente.
In casa cerano solo lui, la mamma e la bimba nel suo lettino.
Quando il marito rientrò dal lavoro (un uomo di m 1,92 buono e generosissimo con
tutti ma terribile
se facevi un torto ai suoi) e seppe dalla moglie piangente e singhiozzante cosa
era successo,
cominciò ad agitarsi mentre incominciava a ribollirgli il sangue.
Quando poi vide con i propri occhi i sigilli, la moglie tanto disperata e
Pino arrabbiatissimo,
andò giù dal Franke facendo le scale a quattro a quattro: suonò, entrò, lo prese
di peso
e lo trascinò su al 4 ° piano facendo i gradini a quattro a quattro.
La mamma si era rinchiusa in unaltra stanza per la paura
e Pino era sul
balcone della cucina
perché già immaginava che il Padre non l'avrebbe fatta passare liscia a Franke
...
Una volta entrati a casa il Papà portò Franke in cucina dove c'era il balcone
e con una mano sola lo prese dai piedi e lo mise a testa in giù fuori dal
balcone della cucina
minacciandolo di farlo cadere giù, mentre gli urlava:
"Cosa hai fatto alla mia famiglia mentre non ero a casa?"
Il Franke spaventatissimo rispose che doveva controllare le case, scrivere
tutto
e firmare sotto la propria responsabilità.
E allora il Papà gli rispose: "Ed io ti butto giù".
Al che Franke cominciò a gridare e piangere e dopo un po' il Papà gli disse:
"Ora ti porto in sala e con i denti pulisci tutto e togli la
cera lacca ed i sigilli da casa mia ".
Cosa che lui fece proprio con i denti, ricorda Pino.
Il papà poi aggiunse che doveva togliere anche tutti i sigilli dagli
appartamenti dei piani inferiori.
Cosa che Franke,spaventato, fece.
Dopo due mesi andò via dal caseggiato e nessuno ebbe più sue notizie.
Il Comune comunque non fece nessuna ritorsione nè alla famiglia di Pino nè agli altri
del caseggiato
in quanto si era reso conto che Franke aveva esagerato e abusato dei suoi
poteri.
Nel frattempo le cose si facevano più pericolose per gli italiani; non si poteva
parlare in italiano
e chi contravveniva a questa legge, rischiava di passare guai seri.
Naturalmente dopo l'episodio del Franke e visto il susseguirsi di eventi contro
gli italiani,
il Papà voleva a tutti i costi andare in Italia per raggiungere la famiglia.
Sicuramente molti non sanno che ogni volta che in Jugoslavia si preparavano
eventi di importanza militare
o politica, arrivavano a casa i poliziotti militari ad arrestare i capofamiglia
italiani che non erano comunisti
per portarli in prigione per alcuni giorni perché ritenuti " persone pericolose
".
Ovviamente non tutti in capi famiglia italiani venivano detenuti ma solo quelli
che erano in vista o ritenuti
importanti per la loro attività nella città di Zara.
Gli italiani avevano diritto ogni sei mesi di formulare una domanda di
migrazione come profughi.
Però quella del padre di Pino veniva sempre respinta perché la falegnameria era
l'unica di Zara.
Dopo aver visto negare varie volte le sue domande (passarono alcuni anni),
all'ennesimo rifiuto il Papà decise, nel 1950, di scrivere direttamente a
Tito
per ottenere
il permesso di andarsene dalla Jugoslavia, adducendo il fatto che la famiglia
era smembrata.
Dopo un po' arrivò un telegramma con linvito per un' udienza da Tito a
Belgrado.
Arrivato a Belgrado in treno, fu ricevuto da Tito in persona che gli dedicò
un'oretta.
Papà spiegò la sua situazione di famiglia separata, minacciando che se non
avesse ottenuto il lasciapassare avrebbe costruito una barca di legno e
sarebbe partito per l'Italia via mare.
Lo informò per altro che gli operai erano in grado di lavorare nella
falegnameria autonomamente
anche senza la sua presenza e che avrebbe inoltre regalato tutto il contenuto
della falegnameria:
macchine attrezzi e legname alla cooperativa che aveva creato per i suoi operai
in previsione della sua definitiva partenza per l'Italia .
In contraccambio Tito, nel salutarlo, gli regalò una sua foto autografata in una
cornice dorata.
Cosi il Papà tornò a casa a Zara con questo "regalo" e con la speranza di poter
lasciare Zara
anche se rinunciando a tutti i suoi averi e proprietà.
Dopo soli 2 giorni, un messo comunale venne a casa loro con tutti i
documenti da firmare
per la partenza verso la sognata e tanto agognata ITALIA.
LA SCUOLA E LA CULTURA ZARATINA
(prima dell'Esodo)
A Zara si trovava l'unica Università della Dalmazia che era stata rasa al suolo
dai bombardamenti.
In quegli anni le scuole medie praticamente non esistevano ma erano in qualche
modo sostituite
da scuole tecniche dove venivano insegnati i vari mestieri e si chiamavano
appunto " Artisti e Mestieri "
Gli alunni di queste scuole per impratichirsi venivano ospitati un paio di volte
alla settimane
nelle varie fabbriche/aziende nei vari settori dell'artigianato e meccanica per
fare praticantato.
L'edificio scolastico di Pino ospitava solo le elementari.
Questa scuola era stata anch'essa colpita parzialmente dalle bombe.
Agibile solo in parte, era situata a circa 2 km dalle Case Bianche di
Pino.
Le classi elementari erano suddivise per fascia di età fino a raggiungere l'età
massima di 11 anni
I maschi erano separati dalle femmine, le quali erano in grande minoranza.
Un fatto comico e curioso accadde al primo giorno di scuola del fratello.
Quando Pino lo vide tutto vestito, pronto con cartella e cestino di
merendine
preparato dalla mamma, diede il tormento, come solo lui è capace di fare,
volendo a tutti i costi emulare il fratello più grande con cestino e cartella
per andare a scuola.
La madre di rimando spiegava che era piccolino e pertanto doveva portare
pazienza,
visto che ci sarebbe andato l'anno seguente.
Pino non volle sentire ragioni e dopo lunghe discussioni, stufa di sentire le
lagne di Pino,
la madre gli preparò un cesto e lo mandò a scuola con il fratello.
A piedi e allegramente i 2 fratelli fecero assieme il percorso di 2 km che li
separavano dalla scuola<
e Pino entrò in classe assieme al fratello.
Il Maestro stupito ma sorridente, gli chiese gentilmente cosa stesse facendo in
quella classe
e lui serafico rispose:"Sono venuto a scuola per studiare"
Il Maestro fermo ma gentilissimo, con un sorriso, lo rimandò indietro a casa
dicendogli che lo avrebbe accolto molto volentieri l'anno successivo.
Deluso se ne tornò solo soletto a casa con il cestino e la madre quando lo vide
gli disse:
" Così impari".
Quando Pino iniziò ad andare a scuola nel 1947, si studiavano alcune materie in
lingua croata
come storia, geografia, ecc. ed altre solo in italiano come la matematica e la
lingua italiana.
L'ora di religione non era prevista a scuola, ma tutte le Domeniche
il prete diceva messa ed i bimbi ascoltavano ed imparavano.
Nelle scuole c'erano sempre meno insegnanti italiani perché molti di loro
fuggivano da Zara
e rimpatriavano come profughi in Italia.
Sulle pareti della classe di Pino vi erano, appesi, tra le altre cose, 2
cartelloni a colori ritenuti importanti.
Uno raffigurava la carta geografica della Nuova Jugoslavia e l'altro immagini
e disegni di varie armi e bombe con i nomi vicino ad ogni simbolo.
Pino ed i suoi compagni di classe dovevano studiare anche quelli.
Era molto importante per gli studenti imparare bene a riconoscere attraverso i
nomi e i disegni
quelle armi, perché, durante i 60 minuti della ricreazione, a parte mangiare una
fetta di pane
spalmata con strutto, che a Pino piaceva e che la scuola preparava per i bimbi
ogni giorno,
avevano anche il compito proprio durante quella pausa, di fare ordine tra le
macerie
separando i mattoni dagli altri materiali e consegnandoli a chi di dovere.
Facendo questo, poteva capitare che si imbattessero anche in residui bellici
pericolosi.
Avendo imparato a riconoscerli proprio perché li avevano studiati e visti sul
tabellone,
avevano l'obbligo perentorio, per la loro sicurezza, di non toccarli e di
avvertire immediatamente
i militari che giravano là intorno o gli insegnanti della scuola.
Dopo la guerra i militari a Zara erano un po' ovunque, anche nelle campagne
vicino alle Case Bianche di Pino.
Pino ogni tanto si fermava ad osservarli perché essi istruivano i giovanissimi
militari
a lanciare le bombe a mano del tipo tedesco ed insegnavano anche ad usare altri
tipi di armamenti.
Ovviamente le bombe lanciate non esplodevano perché erano state disinnescate.
Frequentò quella scuola per quasi tre anni perché poi lasciarono Zara per venire
da rifugiati in Italia.
La scuola in Italia era tutta un 'altra storia!
PREPARATIVI PER LA PARTENZA
Dopo l'udienza con il presidente Tito e la promessa di
un lascia passare regolare per tutta la famiglia
da Zara per l'Italia, il Papà di Pino cominciò ad organizzarsi per preparare il
viaggio.
Doveva pensare a tante questioni, da quelle economiche a quelle del
trasferimento, a quello che
avrebbero potuto portare nel loro viaggio di esuli e che sarebbe servito in
Italia.
Per prima cosa, Pino e suo fratello dovettero abbandonare la scuola interrompendo gli studi.
Quasi tutte le altre famiglie italiane avevano già lasciato definitivamente la città di Zara
da un paio di anni; la famiglia di Pino fu una delle ultime a lasciare la città perché, come già detto,
le loro richieste di partenza venivano sempre respinte dal Governo.
Per qualche mese prima della partenza, il Papà lavorò moltissimo e molto spesso fino a tarda notte
per lasciare in ordine la falegnameria consegnando ai suoi operai l'impresa e soddisfare
nello stesso tempo tutti i suoi clienti consegnando puntualmente i lavori da loro ordinati non lasciando nulla al caso.
Lavorare di più significava anche guadagnare di più per far fronte agli inevitabili disagi
nei quali si sarebbero venuti a trovare una volta arrivati a Gaeta nel Campo Profughi,vivendo in promiscuità
e con regole ferree per poi continuare a Milano loro destinazione finale dove sarebbero andati
a vivere in affitto, in un alloggio comunale a loro destinato.
Il Papà intanto costruì personalmente delle casse e bauli molto ampi con grandi assi di legno massiccio
per riempirle delle loro cose: dalla biancheria, a due letti smontabili, a stoviglie di cucina ecc..
Insomma quel poco che potevano o che era consentito loro portare in questo viaggio della disperazione.
Anche la mamma e i bambini aiutarono a sistemare le valigie con gli effetti personali e i libri scolastici.
Arrivato il giorno della partenza, in quel 1950, il porto si riempì di tutti i loro conoscenti,
amici ed operai della falegnameria che vollero dare l'ultimo saluto ad una famiglia che aveva dato molto
alla Comunità zaratina anche per la gran generosità dei suoi componenti.
Pino e i suoi amichetti si salutarono nei giardini nei pressi delle Case Bianche
di cui Pino serba ancora oggi un caro ricordo.
Unici Italiani Profughi a bordo, salirono su quella nave che faceva il tragitto di Linea Zara / Fiume e ritorno.
Quando levarono l'ancora mentre la banchina man mano si allontanava, si sbracciarono un'ultima volta salutando
con fazzoletti bianchi tutti quelli che erano rimasti a terra mentre la nave salpava verso il largo.
A quel punto, l'acqua salata del mare si unì alle lacrime salate di molti di loro.
L'ESODO
il viaggio ed alcune considerazioni di Pino bambino
Pino ricorda che una Domenica dopo la guerra, facendo una scampagnata al mare
con la famiglia,
si allontanò con il padre verso la riva dell'Adriatico, per parlare.
Il Papà cercava con tatto di far capire al bambino che avrebbe dovuto lasciare
per sempre quei luoghi
che lo avevano visto nascere e che lui conosceva così bene, per abituarlo
all'idea
di una loro imminente partenza per questo grande paese che avrebbe dato loro
cultura, lavoro e nuove opportunità.
Guardando l'orizzonte il Papà spiegò, indicando con la sua grande mano, che
oltre quel bellissimo mare
che avevano davanti, lontana ma non molto, c'era l'Italia invisibile ad occhio
nudo.
La terra dove loro avrebbero dovuto vivere per sempre una volta lasciata Zara.
Quindi, nella mente di Pino si era radicata l'idea, che per raggiungere l'Italia
e la città di Trieste,
si dovesse per forza attraversare quell'immensa distesa d'acqua che divideva
quella riva dell'Adriatico
dall'Italia e che sarebbe dunque servita una bella e grande nave .
Ma non fu proprio così .
Di quel viaggio rimase un po' deluso perché non fu proprio come lo aveva
immaginato
perché, seppur vero che il viaggio di rimpatrio iniziò con una grande nave che
salpò da Zara,
questo terminò poco dopo a Fiume, città ormai annessa alla Jugoslavia.
Pertanto dell'Italia ancora nessuna traccia.
Come mai la nave li aveva fatti sbarcare se non erano ancora arrivati a
destinazione?
Non capiva.
Attonito e sorpreso, poco dopo lo sbarco, sentì dire al padre che si dovevano
sbrigare
per andare alla stazione ferroviaria di Fiume e partire per l'Italia con il
treno per Trieste.
Sbigottito sempre più, Pino, che era in totale confusione mentale, mentre era
sul treno Fiume/ Trieste
pensò nella sua mente di bimbo che per arrivare a Trieste, quella città
conosciuta solo attraverso
i discorsi del padre si dovesse in qualche modo superare il mare attraversando
un ponte o magari anche una galleria sott'acqua.
Rimase dunque per tutto il tempo del viaggio e fino all'alba, vigile anche se
stremato, attaccato al finestrino
per vedere quando sarebbe apparso il mare.
Delusione totale e incredulità lo colsero quando all'alba suo Papà fece
l'annuncio tanto atteso:
"Siamo arrivati in Italia, siamo a Trieste!" e lui rispose:
"Ma come è possibile? Non abbiamo attraversato il mare Papà. "
Il Papà allora spiegò che l'Italia confinava via terra con la Jugoslavia a Fiume
e che dovevano proseguire in treno .
TRIESTE
Arrivati a Trieste, dovevano proseguire in Bus per raggiungere un Campo Profughi
provvisorio e di smistamento
in una vicina cittadina chiamata Opicina a dieci minuti da Trieste.
Il Campo Profughi era pieno di gente e molti erano accampati laggiù da parecchio
tempo.
Vi si trovavano moltissimi croati, qualche ungherese, altri di varie nazionalità
e molte famiglie italiane
terrorizzate, dopo la scoperta della pulizia etnica delle foibe.
Brulicava di tende ed era circondato dai Militari Italiani per evitare che
qualcuno di loro
potesse fuggire e stabilirsi in Italia in maniera clandestina.
Infatti non tutti quelli che sostavano nel Campo avevano i documenti in ordine
come la famiglia di Pino,
grazie al lascia passare Jugoslavo di Tito che aveva permesso loro di varcare
la frontiera Jugoslava che era comunque rigorosamente chiusa.
Purtroppo, però,Tito aveva ricambiato la nazionalità della famiglia
che da italiana era ritornata ad essere croata e aveva ripristinato il cognome
come in origine e cioè con l'ortografia alla " croata" anziché "all'italiana".
Per poter ottenere la nazionalità italiana avrebbero dovuto trascorrere 6 mesi a
Gaeta.
Insomma era un bel caos
erano arrivati al confine da Croati e con il nome alla
croata
e varcata la frontiera nel campo profughi di OPICINA (Italia) erano diventati
addirittura " Apolidi".
Il direttore di Opcina li informò che avrebbero dovuto accamparsi per tre giorni
sotto una tenda
prima di partire per il Campo Profughi di Gaeta loro destinazione finale
e che, essendo Apolidi, avrebbe fornito loro dei lasciapassare italiani
per giungere a Gaeta e laggiù, dopo i sei mesi di permanenza obbligatoria
avrebbero acquisito la nazionalità italiana ed i passaporti.
Il tutto fu molto stressante per Pino e famiglia.
Gli venne assegnata una tenda piuttosto grande vista la numerosa famiglia,
dove avrebbero trascorso i tre giorni obbligatori prima della partenza.
Il viaggio della famiglia che, per inciso, era stato pagato per intero dal
Governo Italiano,
continuò, ma non tutto filò liscio, perché ci furono degli intoppi durante il
tragitto che li separava da Gaeta.
Trascorsi i 3 giorni al Campo, salirono con le loro valigie su di un bus
con altri Profughi, una quarantina di persone circa, tornarono a Trieste
e scesero alla stazione ferroviaria per salire sul treno che si dirigeva a Roma,
città dove i suoi genitori avevano trascorso la loro Luna di miele e che
conoscevano assai bene.
BOLOGNA
Il treno con a bordo i Profughi italiani esuli della Dalmazia e la famiglia
di Pino, fece una sosta a Bologna.
Tutti quelli a bordo di questo vagone avevano l'obbligo di non scendere per
nessun motivo dal treno
nè per rifocillarsi nè per rifornirsi di acqua e bibite.
Alcuni si affacciarono dai finestrini per chiedere acqua od altro ad una
moltitudine di gente
che sostava sulla banchina e come risposta si sentirono gridare:
"Tornatevene da dove siete venuti " oppure "Via, questo è un treno di fascisti
non date niente ".
Chiaramente gli esaltati erano venuti a sapere dell'arrivo di questo treno con
un vagone un po' speciale
e vollero dimostrare la loro contrarietà in maniera tutt'altro che pacifica.
Non era questa certamente l'accoglienza che si aspettavano.
Piuttosto bizzarro che a bordo di quel vagone non ci fosse un uomo del Governo
a sorvegliare questi viaggiatori speciali e nemmeno qualcuno ad accoglierli a
Roma.
ROMA
Scesi dal treno a Roma Termini, dovevano proseguire il viaggio per Latina
ma a quel punto tutti gli esuli rimasero bloccati in stazione.
Il treno per Latina non si trovava e non esisteva neppure.
Alcuni dei profughi, dopo aver ricevuto riposte vaghe, contraddittorie e
confusionarie
da parte dal personale competente che si aggirava in stazione,
si sedettero dove trovavano posto, aspettando notizie più concrete.
La mamma di Pino stremata dopo 6 ore di attesa in mezzo ai figli, alle valigie e
senza comodità in stazione,
cominciò a lamentarsi e chiese al marito di occuparsi della questione
e fare qualcosa per risolvere il problema.
Sapeva bene che se suo marito prendeva in mano la situazione avrebbe sicuramente
trovato una soluzione
.
Il Papà di Pino capiva che le cose si stavano mettendo molto male
e visto che non si perdeva mai d'animo ma era molto nervoso e spinto dalle
parole della moglie
decise che era arrivato il momento di far valere le ragioni sue e di tutti i
Profughi.
Andò come una furia dal Direttore Generale della Stazione Romana alzando la
voce,
gesticolando furiosamente e dicendo che non se ne sarebbe andato via da
quell'ufficio
se non avessero trovato un treno che li portasse a Latina.
Al che seraficamente il Direttore disse che non vi era nessun treno previsto in
giornata per Latina
e che non era stato nemmeno informato di questo gruppo di Profughi venuti dalla
Dalmazia.
Solito lavoro " all'italiana" dove la mano sinistra non sa quello che fa la
destra
...
La questione si complicava sempre più ed il Papà chiese con maggior impeto un
treno speciale per Latina
IL Direttore un po' spaventato sia dalla mole del Papà che dalla rabbia che
avrebbe potuto scaturire in violenza,
ma anche mosso dalla tragica situazione che gli si era parata tra capo e collo,
decise di far prendere al gruppo di Profughi un treno diretto a Napoli,
facendogli fare una fermata extra a Latina.
Scesi a Latina, un Bus li stava aspettando per portarli a Gaeta.
Il viaggio durò qualche ora.
IL CAMPO DI GAETA
Una volta giunti al campo vennero sistemati in una delle tre caserme
abbandonate dai militari
tempo prima ed adibite a campo profughi.
Agli esuli del bus e alla famiglia di Pino vennero assegnati alloggi nelle
camerate della caserma Cavour.
Queste camerate erano divise in vari scomparti sommari i cui spazi erano
delimitati
da coperte appese per evitare la promiscuità.
Oppure erano delimitati da tramezzi ad altezza uomo.
Il cibo era passabile, una specie di " rancio" che si prendeva con una tessera.
Scarseggiava l'acqua e la sporcizia era un po' ovunque.
I servizi igienici erano in comune.
Tutto molto frustrante considerato che molti profughi lasciavano abitazioni di
tutt'altro genere.
Era vietato cercare lavoro fuori dal Campo e i bambini dovevano studiare.
Laggiù Pino incontrò, strafelice, il suo amichetto del cuore che era partito
molto tempo prima di lui
e che rimase in quel Campo oltre la partenza di Pino
in quanto la famiglia non aveva ancora trovato una sistemazione adeguata in
Italia,
mentre la famiglia di Pino si fermò solo i 6 mesi obbligatori
in quanto il lavoro di falegname aspettava il Papà a Milano da molto tempo.
Il tutto era stato infatti organizzato ancor prima di lasciare Zara per
sempre.
Non tutti i profughi scelsero l'Italia alcuni parenti della Mamma di Pino
scelsero ad esempio l'Australia
ed altri il Canada.
La sua famiglia aveva dovuto scegliere fra restare italiani
o diventare jugoslavi andando alle scuole slave con tutto quel che segue.
Chi si opponeva finiva male.
L'allontanarsi con la nave dal porto di Zara e vederla diventare sempre più
piccola
fino a vedere il campanile scomparire, lasciò comunque molto amaro in bocca a
Pino e a tutta la sua famiglia.
Questi sono ricordi indelebili anche per un bimbo di 9 anni.
Addio Zara, amata terra natia
ESULI
A bordo della nave, staccati da Pola
pensavano con ansia alle città che li aspettavano.
Strappati alla loro terra
che sfilava con le coste bellissime
verso un domani ignoto.
E a Venezia una turba li accoglie
con grida ostili e rifiuta loro il cibo;
e a Bologna il treno non può fermarsi
causa la folla nemica.
I bambini guardano intorno smarriti.
I genitori non hanno più niente da dare a loro.
Il domani è un incubo.
Non li sentono fratelli gli Italiani,
una gente da rigettare, esuli.
Essi guardano tutto in silenzio
con gli occhi dilatati
dove le lagrime stanno ferme.
Il dolore di avere tutto perduto
si accresce di questo nuovo dolore.
LINA GALLI
La canzone che state ascoltando decrive in musica le stesse emozioni
di un padre che deve abbandonare con la sua famiglia la Dalmazia per
rifugiarsi in Italia. Magazzino 18
Simone Cristicchi
Siamo partiti in un giorno di pioggia
Cacciati via dalla nostra terra
Che un tempo si chiamava Italia
E uscì sconfitta dalla guerra
Hanno scambiato le nostre radici
Con un futuro di scarpe strette
E mi ricordo faceva freddo
L'inverno del '47
E per le strade un canto di morte
Come di mille martelli impazziti
Le nostre vite imballate alla meglio
I nostri cuori ammutoliti
Siamo saliti sulla nave bianca
Come l'inizio di un'avventura
Con una goccia di speranza
Dicevi "non aver paura"
E mi ricordo di un uomo gigante
Della sua immensa tenerezza
Capace di sbriciolare montagne
A lui bastava una carezza
Ma la sua forza, la forza di un padre
Giorno per giorno si consumava
Fermo davanti alla finestra
Fissava un punto nel vuoto diceva
Ahhah
Come si fa
A morire di malinconia
Per una terra che non è più mia
Ahhah
Che male fa
Aver lasciato il mio cuore
Dall'altra parte del mare
Sono venuto a cercare mio padre
In una specie di cimitero
Tra masserizie abbandonate
E mille facce in bianco e nero
Tracce di gente spazzata via
Da un uragano del destino
Quel che rimane di un esodo
Ora riposa in questo magazzino
E siamo scesi dalla nave bianca
I bambini, le donne e gli anziani
Ci chiamavano fascisti
Eravamo solo italiani
Italiani dimenticati
In qualche angolo della memoria
Come una pagina strappata
Dal grande libro della storia
Ahhah
Come si fa
A morire di malinconia
Per una vita che non è più mia
Ahhah
Che male fa
Se ancora cerco il mio cuore
Dall'altra parte del mare
Quando domani in viaggio
Arriverai sul mio paese
Carezzami ti prego il campanile
La chiesa, la mia casetta
Fermati un momentino, soltanto un momento
Sopra le tombe del vecchio cimitero
E digli ai morti, digli ti prego
Che non dimentighemo
Compositori: Simone Cristicchi / Francesco Musacco / Giuseppe Nider
Quasi tutte le immagini sono prese da web il @ appartiene ai rispettivi autori
ma appartengono all'epoca in cui si svolsero i fatti
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