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PIGMEI

il piccolo popolo della foresta equatoriale




I Pigmei, popolo di cacciatori-raccoglitori sono un gruppo etnico-razziale dell’ Africa equatoriale
e vivono nelle regioni forestali di Camerun, Gabon, Repubblica centrafricana
insieme a diverse etnie di agricoltori bantu, con le quali
intrattengono da sempre rapporti di scambio e di simbiosi.



Furono perseguitati per secoli come animali selvaggi
anche dai negri bantu delle tribù vicine che li consideravano creature inferiori,
li disprezzavano e li asservirono.
E' un popolo gentile e pacifico che ha la capacità
di mimetizzarsi così bene nella foresta che chiunque
può passarci senza notarli.
Sebbene siano separati dalla distanza e parlino diverse lingue,
la maggior parte dei gruppi è unita dallo stesso profondo legame
con la foresta che abitano.



Con la selvaggina uccisa con le loro piccole frecce
si avvicinano ai villaggi che sorgono nelle radure della boscaglia,
si fermano sul limitare della grande foresta e depositano la cacciagione per terra.
Quindi si nascondono dietro gli alberi.
Attendono che gli abitanti dei villaggi vengano a ritrarre la selvaggina uccisa,
lasciando in cambio banane, farina, punte per frecce e lame per lance.
Allora escono e prendono la merce.
Si compie così una mutua operazione di baratto.



L’ Homus Pygmoeus costituisce una stirpe antica e misteriosa
che si differenzia completamente per i caratteri fisici
ed in particolare per la statura (150 cm. circa ),
dagli altri negri dell’Africa.
IBantu li chiamano " batua o batwa " che sta a significare
appunto piccoli uomini.
Essi sono gli ultimi discendenti degli abitatori preistorici dell’Africa
e si sono mantenuti, etnicamente puri;
anche gli usi, costumi e tradizioni, sono rimasti invariati per millenni.
Vivono nel fitto della foresta equatoriale, portano i loro piccoli sulle spalle,
in una piccola gerla fissata sulla testa con una liana
e appoggiata sulle spalle; dormono per terra o sugli alberi.
Le loro frecce hanno punte di legno o di ferro, avvelenate.



Spesso il legno dell’arco è rivestito, almeno in parte,
da una coda di macaco.
Sono abilissimi cacciatori e camminano sempre armati.
Il loro grande nemico è l’elefante e la cattura di uno di questi colossi
è celebrata con una danza, la cosiddetta “danza dell’elefante”,
dal ritmo frenetico.
Vi partecipano tutti: uomini, donne, bambini,
che intonano nella loro misteriosa lingua, il bellissimo “canto dell’elefante”.
Secondo un’antica leggenda, i Pigmei furono creati da “Torè”,
il signore della foresta, così piccoli, perché potessero
meglio nascondersi fra gli alberi e le piante per cacciare “Gor”
il padre degli elefanti, che contende loro il dominio della foresta
fin dall’inizio del mondo.
Questa lotta durerà finché rimarrà un elefante o un pigmeo.
La caccia all’elefante, rappresenta un rischio mortale;
i piccoli pigmei, camuffati con grandi foglie appese sul dorso e sul petto,
affrontano arditamente il gigante, lo accecano con le frecce,
gli piombano addosso e lo abbattono a colpi di lancia.
Cacciano anche leopard, antilopi e roditori,
ma non osano attaccare il coccodrillo che attirerebbe su di loro
l’ira della divinità che questo animale simboleggia.



I Pigmei abitano in piccole capanne chiamate mongulu
costruite dalle donne, basse e semisferiche,
coperte da foglie larghe di mangungu, tenute insieme da spine
e disposte come tegole sopra gli archi di ramoscelli conficcati per terra
e legati alla sommità da un reticolato di liane.
Si pensa subito ad un igloo verde e lucido.
Il compito di costruire queste caratteristiche dimore
è affidato alle donne che in poche ore riescono a creare dal nulla
e in qualsiasi luogo un vero e proprio accampamento.
Qualche foglia, all’interno, fa da materasso.
Nello spiazzo dell'accampamento dei pali forcuti primordiali
sono usati nelle danze, su di essi poggia il tamburo,
e il focolare che non viene mai spento;
questo non perché i pigmei non sappiano come accenderlo,
ma per il fatto che, a causa della forte umidità è difficile trovare legna secca.
Così preferiscono tenere il fuoco costantemente acceso,
trasportando durante gli spostamenti dei tizzoni di brace.



La ricerca del cibo in foresta rappresenta una delle attività femminili
più importanti per la sopravvivenza del gruppo.
I prodotti raccolti (manioca, ignami, frutti, funghi, tuberi, ecc.)
sono soprattutto vegetali, ma in alcune stagioni dell'anno
è possibile trovare anche termiti, bruchi e lumache.
La ricerca del miele invece, è un'attività di raccolta unicamente maschile.

Carico di un alto valore simbolico esso è considerato "liquore di vita".
Il primo miele di stagione è preceduto da rituali collettivi,
unico caso per un'attività relativa alla raccolta.
Essa inizia con l'attenta osservazione del comportamento delle api,
che in certe stagioni dell'anno diventano più produttive,
per la fioritura di alcune piante della foresta.
Hanno una profonda conoscenza delle piante che permette loro
di estrarre unguenti per tenere lontani gli insetti,
veleni per le frecce e sale per uso alimentare.
Le donne si dedicano alla raccolta, alla pesca e alla cottura dei cibi.
Un cibo molto apprezzato dai Pigmei sono le termiti
che mangiano bollite e arrostite.
La loro personalità cambia completamente quando si spostano dalla foresta al villaggio.
Quando sono nel villaggio camminano lentamente con cautela, ed hanno un viso impassibile.
Quando tornano nella foresta, ridiventano giocosi e vivaci.



Trasportati in cestini e in gerle, i prodotti giungono al villaggio,
dove vengono suddivisi equamente tra tutte le unità familiari.
Qui, il cibo viene consumato subito o quasi, non essendoci modo di conservarlo a lungo,
e può essere in parte lavorato, come nel caso della manioca
(che viene lasciata essiccare al sole e poi ridotta in farina,
e dei plantani (abbrustoliti sulla brace e poi schiacciati nel mortaio).
La pesca con la diga, attività prettamente femminile,
è il tipo di pesca maggiormente praticato dai pigmei,
soprattutto nelle stagioni secche, quando il livello delle acque è basso
ed è più agevole prosciugare i torrenti e trovare i pesci nel fango.
Le donne pigmee organizzano quindi brevi spedizioni verso i corsi d'acqua,
che possono coinvolgere anche una ventina di persone,
tra cui ragazze e bambini, in un clima di grande cooperazione.
La tecnica consiste nell'interrompere il corso di un torrente
(solitamente di piccole dimensioni) con uno sbarramento di tronchi,
rami, foglie e fango.
Questa diga, costruita in un posto appropriato,
ha lo scopo di trattenere l'acqua e di prosciugare un tratto del torrente.
A valle dello sbarramento, dove l'acqua si è ormai ritirata,
si cercano i pesci privati del loro elemento,
solitamente nascosti sotto i tronchi o i sassi che giacciono sul fondo del fiume.
Oltre a pesci di varie specie e dimensioni,
si possono trovare anche molti gamberetti e granchi d'acqua dolce.
Tutti gli animali catturati vengono raccolti in cestelli e,
una volta tornati all'accampamento, sono cucinati
e divisi equamente tra i membri del gruppo.
La pesca con la diga non è l'unico metodo di pesca tradizionale conosciuto.
Un'altra tecnica consiste nel disciogliere sostanze tossiche naturali in un tratto del torrente,
così che i pesci vengano a galla per respirare e possano essere colpiti con il macete.



Un pezzo di scorza d’albero messa a bagno, ammorbidita e pestata
parzialmente con l’estremità di una zanna d’elefante,
ornata in nero o rosso con disegni geometrici è il vestito della danza,
della caccia e della vita nella foresta.
Mazzetti di frasche e foglie sospesi ad una cordicella e legati in vita,
vengono portati dalle donne nel corso di danze e cerimonie rituali.
Anche qualche striscia di pelle di animale selvatico come il colobus,
l'antilope, il leopardo o il raro okapi,
sono avvolti attorno al collo o sulle spalle, o a mo’ di copricapo
e completano il magro abbigliamento, che nella calura e con l'umidità della foresta
è più che sufficiente, e al quale i pigmei non rinuncerebbero mai
per un atavico senso del pudore.
Le donne amano ornarsi di collane di semi o di osso,
ciuffi di penne e pelli di animali sopra la fronte;
molto in voga è la pittura del volto o in altre parti del corpo
con colori vegetali come il nero o il rosso ( il bianco simboleggia un lutto).


Soltanto lo stregone e il capo tribù indossano un costume speciale:
sul capo un berretto di pelle a punta e sul corpo la spoglia di un leopardo
per il capo tribù e di un okapi per lo stregone.
I Pigmei non conoscono pratiche magiche, né possiedono templi e veri feticci.
Ma fanno consacrare allo stregone amuleti e maschere che hanno la virtù
di proteggerli contro gli spiriti maligni.
Usano dare ai loro figli nomi poetici: per i maschi nomi di animali
o piante (antilope rossa, cuore di palma ecc.),
per le femmine nomi di uccelli o di fiori ( colibrì, ninfa cerulea, farfallina).
Molto ricco è il loro patrimonio culturale: innanzi tutto la tradizione musicale,
che ha caratteristiche autonome e originali e si esprime in cori a più voci
con l'accompagnamento di tamburi; poi le numerose danze, i miti e le leggende
e le poesie sacrali.
Il fenomeno dell’arcobaleno appare loro così fantastico,
misterioso e bellissimo che i Pigmei lo hanno creduto
una manifestazione visibile dell'Essere supremo, Signore del creato,
e che tutti venerano.
Quando un Pigmeo muore, gli altri credono che la sua anima
venga portata via da una mosca in mezzo alla grande foresta,
perché l'anima è come un essere minuscolo e leggero che anche una mosca
può portare con sé dentro il più fitto intrigo della foresta.
Da qui l'anima del defunto spingerà gli animali selvaggi verso i parenti rimasti vivi
affinché essi possano ucciderli e trarne cibo.
E' per questo che i Pigmei cercano, con complessi riti magici,
di rendere propizi gli spiriti della caccia.
E lo fanno di notte, poco prima che spunti l’alba, danzando lievi,
con arco e frecce, tra le capanne del loro villaggio.



Nei loro canti d’iniziazione, in quelli della nascita e della morte,
nei sacrifici offerti al Sole ( Ko), alla Luna ( Pè), all’Arcobaleno ( Kwa),
i nani della foresta proclamano che non sono figli della Notte
e che non hanno nulla in comune con i neri.



Il fumo è uno dei loro passatempi preferiti e lo praticano
con dei veri e propri " cannoncini" in bambù;
anche le donne si lasciano coinvolgere passandosi volentieri la pipa.
Vivono in gruppo di 30, 40 persone tutte strettamente imparentate tra di loro,
sotto l’autorità di un capo, che è il responsabile
della caccia e della spartizione rituale degli animali abbattuti;
e sono uniti da una grande solidarietà economica e sociale
necessaria alla loro sopravvivenza.
Più raggruppamenti costituiscono il clan, che è patrilineare
e spazia su un determinato territorio di foresta.
Mogli e figli godono di diritti e doveri pari a quelli del capofamiglia.
Se un uomo vuole sposare la ragazza di un altro clan
occorre che questo dia all’altro gruppo in cambio un’altra ragazza
che dovrà andare in sposa ad un uomo del primo gruppo.
Questo popolo ama molto l’unità familiare e la poligamia è rarissima.
Ogni decisione è presa in comune accordo, dopo lunghe discussioni accanto al fuoco.
Il loro motto è “ Con una lancia non si uccide un elefante”
per cui vanno a caccia tutti insieme.
Quando si vuole punire qualcuno lo si scaccia dalla tribù e questo equivale ad una condanna a morte.
La caccia, per la comunità pigmea è basata, quindi, sulla cooperazione,
specialmente la caccia con la rete.
L’uso di forme di magia personale, benché non siano proibite per legge,
sono comunque malviste.
L’unica cosa considerata giusta e necessaria è
il “fuoco sacro della caccia”, un’usanza che si ritrova in tutta la foresta.
Si pensa che assicuri la benedizione della foresta, fornitrice di selvaggina
e che porti fortuna a tutta la comunità.
Il “fuoco sacro” viene acceso ai piedi di un albero, a breve distanza dal campo.
In alcune comunità è acceso all’interno del campo con speciali bastoni attorno
che puntano nella direzione dove si dirigerà la caccia.
Anche quelle comunità che cacciano soprattutto con l’arco e le frecce,
non concepiscono la caccia come un fatto individuale,
ma come qualcosa che riguarda il gruppo nel suo complesso.
Per i cacciatori con la rete, poi, è impossibile che la caccia abbia successo
senza la cooperazione di tutti gli uomini, donne e bambini.
Mentre l’uomo va errando stringendo l’arco e le frecce,
le donne e i bambini si sparpagliano nella foresta alla ricerca di patate,
tuberi, funghi, frutti selvatici.
Un coltello, appeso alla corda che sostiene la loro “minigonna” di corteccia le aiuta a scavare.



Le battute di caccia possono durare giorni o settimane.
Camminatori infaticabili, i Pigmei si muovono agilmente tra liane pungenti e radici. Riescono sempre ad orientarsi e a ritrovare la strada nella foresta, la quale è sempre uguale e senza punti di riferimento.
In quel ambiente la luce, bloccata dalla fitta vegetazione,
fatica ad entrare e il tempo è un valore privo di significato.
I Pigmei usano bruciacchiare le piume degli uccelli ancora vivi
prima di mangiarli perché dicono che così la carne è più tenera
perché l’animale muore lentamente.
Amano la danza e, in due circostanze, essa si protrae per settimane:
la circoncisione (iniziazione maschile) e l’elima (pubertà femminile).
Alla circoncisione le donne possono partecipare solo passivamente
e non possono vedere il coltello perché, altrimenti,
lo spirito della pazzia s’impadronirebbe di loro.
Nell’elima, invece, la donna è regina.
L'iniziazione dura diversi giorni e si svolge in un luogo nascosto
nelle profondità della foresta.
Dopo essere stati svestiti, lavati, rasati e spalmati con olio di palma,
gli iniziandi vengono accompagnati in una capanna speciale.
Poi, per circa una settimana (mangiando, bevendo e dormendo molto poco),
sono sottoposti a molteplici rituali, alcuni "pubblici" e altri segreti.
I Pigmei sono molto religiosi e pensano che, molto in alto nel cielo
c’è Qualcuno che non si conosce ma a cui vanno i defunti.
Questo grande Sconosciuto è la fonte della vita
ma i Pigmei non gli fanno offerte votive.
La religione fa parte integrante della vita dei Pigmei,
aiuta ad affrontare l'incertezza del domani dove la sopravvivenza
dipende dai doni della natura ed è fondamentale conciliare
le forze che determinano questa possibilità.
Secondo le loro credenze uno spirito superiore è il padrone
delle risorse concesse agli uomini, i riti religiosi
hanno lo scopo di mantenere questa armonia.
Le cerimonie radunano un gran numero di Pigmei
e sono precedute da riti misteriosi ai quali
solo gli iniziati possono prendere parte.
In un luogo segreto nella boscaglia si invoca "Egenghi"
lo spirito della foresta che si incarna nascosto
in un abito fatto con fibre intagliate da alberi.
Si muove danzando e agitandosi tra le grida dei partecipanti e il ritmo dei tamburi.
Questa cerimonia inizia non appena fa buio, per poi durare tutta la notte
alla tenue luce del fuoco o della luna.
Una leggenda sull’Origine dell'uomo e degli animali dice:
In origine non c'era che acqua, acqua a perdita d'occhio fin sopra alle più alte montagne.
Sulle acque nuotava una tartaruga enorme, coprendole in parte con il suo guscio.
La tartaruga faceva le uova, e queste uova generavano animali, uccelli e rettili.
Passò una piroga. Due uova vi caddero dentro e da queste due uova nacquero il primo uomo e la prima donna.
Si chiamarono Ntaum e Rae.



Secondo i Pigmei del Gabon l'umanità avrebbe avuto origine dal fatto che
Kmvum, il dio creatore era solo al villaggio e si annoiava.
Allora disse: "Farò degli uomini ed essi mi faranno da mangiare."
Subito andò nel bosco e si diresse verso l'albero di cola,
lo scosse e le noci caddero a terra.
Le mise nel sacco da cacciatore fino a riempirlo e tornò al villaggio.
Così fece per alcuni giorni finché ebbe accumulato un gran numero di noci nella sua capanna.
Dato uno sguardo al mucchio disse: "Ora basta!"
Prese le noci, scese alla spiaggia e le mise nella piroga,
poi chiamò il coccodrillo dicendo:
" Vieni!". Il coccodrillo venne e fu attaccato alla piroga.
Il dio disse: " Va' al largo " e il coccodrillo cominciò a remare
e remò tanto che il sangue gli usciva dalla punta delle unghie.
L'acqua era tanta che non se ne vedeva la fine
e il coccodrillo seguitò a tirare finché il Creatore comandò:
" Fermati! " Allora il dio prese una noce, la più grossa che trovò,
la girò fra le mani a lungo, vi soffiò sopra e disse:
" Tu sarai un uomo, il primo uomo. "
E gettò la noce di cola verso la terra.
La noce rimase a galla ed andò verso terra.
I1 Creatore prese un'altra noce e la gettò lontano nell'acqua dicendo:
" Tu sarai una donna!"
E la noce se ne andò verso terra.
Lo stesso fece con tutte le altre noci, l'una dopo l'altra.
Poi disse al coccodrillo: "Torna indietro!"
E il coccodrillo ubbidiente, si mise di nuovo a remare.
Giunto che fu alla spiaggia, il Creatore mise piede a terra.
Tutti gli uomini erano lì ad aspettarlo.
I1 Creatore li condusse tutti al suo villaggio e quando furono sulla piazza disse:
" Voi abiterete qui. Ecco le vostre capanne."



Oggi l'indipendenza e la cultura dei Pigmei sono in pericolo;
da sempre considerati i signori delle foreste africane,
rischiano di scomparire e si stanno a poco a poco sedentarizzando,
sotto la spinta di molteplici fattori.
Alcuni gruppi, come i Ba Twa del Ruanda, hanno già abbandonato il loro stile di vita
e vivono come braccianti senza terra o servitori



Le cause sono molte. Il problema principale è che nessuna delle nazioni
in cui vivono riconosce loro alcun diritto legale sui territori della foresta
che sono la loro casa. per cui la deforestazione sta distruggendo il loro habitat
e minaccia di cancellare il loro prezioso patrimonio culturale;
oltre il 90% della foresta nel sud della Repubblica Centro Africana è stato ceduto
a compagnie di legname europee che disboscano in maniera drammatica.
Infine la creazione dei Parchi Nazionali, diretti dal WWF,
ha paradossalmente implicato l'estromissione da essi di tutti gli abitanti.
I parchi rappresentano uno strumento utile per i padroni
che possono espropriare la terra a chi in quella terra
c'è nato e cresciuto e non ha nessun bisogno di un parco per "proteggere"
la natura per il semplice fatto che gli abitanti
sono essi stessi parte della natura e conoscono bene la loro terra,
ne conoscono le risorse e i limiti entro i quali queste risorse
si possono prendere per non alterare irrimediabilmente il delicato equilibrio.



L’arrivo delle strade ha provocato gravi epidemie,
malattie estranee alla foresta, che falcidiano intere famiglie.
La mortalità infantile è aumentata vertiginosamente.
La costruzione di pozzi per l'acqua potabile, la pulizia dei villaggi
e l'igiene personale, sono fondamentali per la prevenzione delle malattie più diffuse
quali il tifo, il colera, la dissenteria, tuttora ancora causa di decessi
per i più deboli e i bambini, come dimostra l'alto tasso
di mortalità infantile riscontrato

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