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E in questo altalenarsi di epoche giungiamo al
Medioevo
durante il quale la donna ricominciò ad essere considerata
un essere inferiore, cosa confermata e ribadita dalla Chiesa.
Nel diritto canonico infatti, se fino a S. Tommaso
la donna era stata "cosa necessaria all'uomo"
con i Padri della Chiesa divenne "la porta dell'Inferno".
Fin dal suo ingresso nel mondo, la donna tardo medievale partiva svantaggiata.
La nascita di una bambina era vista come una disgrazia,
e provocava nei padri l'angoscia per la dote che le avrebbero dovuto fornire.
Accolta male, nutrita male e vestita peggio dei suoi fratelli,
la sua vita era vista come votata a due sole attività:
le cure casalinghe e la procreazione.
L'educazione femminile era quasi totalmente trascurata
e le ragazze vivevano sempre chiuse in casa,
fatta eccezione per i momenti in cui
accompagnavano la madre nella chiesa parrocchiale.
Si cercava di non lasciare mai del tempo libero alle ragazze,
poiché l'ozio era ritenuto un cattivo consigliere.
Apparentemente timida e riservata, la ragazza medievale viveva
tutta la sua vita in sudditanza,
e questo valeva per qualsiasi ceto di appartenenza.
É accertato, però, che alcune donne più forti riuscivano a liberarsi,
ma in generale la vita che conducevano era assai misera.



Nel Rinascimento l’epoca in cui la vita rifiorì,
la donna continuò ad essere ritenuta "un uomo a metà"
era considerata un peccato, poteva facilmente essere sedotta
dal diavolo ed era peccatrice.
Nella famiglia, quando nasceva una figlia era un momento di sconforto.
Erano addirittura considerate frutto di concepimenti"inferiori"
e spesso erano oggetto di infanticidio.
Una femmina, non solo non perpetuava il nome della famiglia,
ma doveva essere allevata al riparo dalle tentazioni pericolose
e doveva essere accasata,
con tutto il peso economico che questo significava.
La maggior parte delle ragazze continuò a non ricevere alcuna istruzione,
tranne, grande innovazione del periodo, le giovani donne,
provenienti da famiglie ricche.
É infatti in questo periodo, che compaiono le prime
testimonianze letterarie italiane al femminile.



Nel Settecento? Durante la cosiddetta “età del lumi”
per la donna non cambiò niente:
continuò ad essere essenzialmente sposa e madre,
ed aveva doveri ben precisi che non poteva trascurare:
fare figli ed allattarli.
Se nelle epoche precedenti la vita monastica o comunque votata alla religione
e alla castità, appariva desiderabile al pari dell'essere una buona madre,
nel secolo dei lumi, fortemente anticlericale,
la negazione forzata di quello che è la naturale funzione della donna,
cioè la procreazione, diventò inopportuna.
Difficilmente si concepiva una donna che non fosse sposata e che non avesse figli.
Questa visione delle incombenze femminili piuttosto angusta,
ci offre un'ulteriore conferma che la donna, confinata
entro limiti invalicabili del ruolo >di genitrice
non può e non deve occuparsi di questioni
per le quali il suo intelletto non è ritenuto adatto.
Nonostante tutto, però, alcune fanciulle, di buona famiglia
vivevano una condizione personale più felice
e se, nei ceti medio - bassi
la donna era ancora considerata per la sua capacità generativa,
negli ambienti nobili, più illuminati, conquistò più autonomia.
Si moltiplicarono, infatti, le donne intellettuali e non era raro incontrare
ereditiere che facevano dei loro salotti dei centri di cultura alla moda.<



E così, passo dopo passo,arriviamo all’Ottocento
Potremmo pensare che in questo periodo la situazione migliori,
ma non è così perché durante la Rivoluzione Industriale
ci fu un largo impiego nelle fabbriche di donne e bambini,
sottoposti a ritmi di lavoro pesantissimi e preferiti agli uomini
perché facevano lo stesso lavoro ma venivano pagati di meno.
Le donne, quindi, dovettero sobbarcarsi oltre al carico della famiglia
e della procreazione, anche quello di un lavoro durissimo.
Una situazione particolarmente difficile e penosa era quella delle miniere.
In fondo alle gallerie le donne erano usate al posto dei cavalli
perché meno costose, ma legate e bardate esattamente come gli animali,
e dovevano trasportare i vagoncini d'evacuazione, pesantissimi.
Un'altra esistenza infernale era quella delle operaie delle sartorie,
ricamatrici e biancheriste, che venivano sottoposte
ad un regime assolutamente inumano:
le ore abituali andavano, in inverno, dalle otto del mattino alle undici di sera,
mentre in estate dalle sei di mattina a mezzanotte.
Migliore era la vita nelle famiglie borghesi in quanto la figura più importante
era quella della padrona di casa, cui era affidato il compito di organizzare
la vita familiare nel privato come nei rapporti sociali.
La padrona di casa si alzava di solito tra le sette e le otto
e sovrintendeva al lavoro dei domestici, che in una famiglia
della media borghesia erano, solitamente tre.
Sul finire della mattina poteva dedicarsi ad attività personali,
rigorosamente in casa: suonare il pianoforte, ricamare,
tenere la corrispondenza: era norma comune, infatti,
che una donna a modo la mattina non dovesse uscire.
Se si fosse incontrata una donna borghese per strada nel corso della mattinata,
la buona educazione consigliava di non salutarla
perché si supponeva che si stesse dedicando ad opere ed attività caritatevoli
e religiose, su cui desiderava mantenere il riserbo.
Una delle cause più rilevanti di morte, per le donne,
continuò ad essere il parto in quanto le norme antisettiche
tardarono a diffondersi presso le levatrici e i medici
soprattutto nel parto a domicilio.
Nell'anno 1885-86 nel Comune di Milano furono denunciati ben 91 casi di morte
per febbre puerperale e si ritiene che molti non comparissero
per mancata denuncia da parte delle levatrici o del medico
che avevano tutto l'interesse ad intralciare la raccolta di questi dati.
Sarà solo nel corso della prima metà del 1900
che la terribile infezione puerperale
scomparirà quasi completamente grazie alla comparsa dei sulfamidici
(Domagk 1935) e soprattutto della penicillina (Floreye Chain 1940-41).



E arriviamo al Novecento, nel XX° secolo;
ed ecco che finalmente la condizione della donna comincia a cambiare
e incominciano a nascere organizzazioni e associazioni di donne
che si univano per combattere assieme contro tutte le discriminazioni
della società maschile che da secoli le opprimeva.
Naturalmente questo inizio di emancipazione non fu indolore.
Come non ricordare le tante donne che si sacrificarono per i loro ideali,
per la conquista di quei diritti sacrosanti come la parità, il lavoro, il voto alle donne.



Come dimenticare le famose suffragette
che sin dai primi anni del novecento a partire dall'Inghilterra,
lottarono per il voto alle donne:
"Emmeline Pankhurst" ad esempio, che fondò, nel 1903,
la "Women's Social and Political Union (WSPU)"
Unione sociale e politica delle donne) con il preciso intento
di far ottenere alle donne il diritto di voto politico.
Come non ricordare Alice Paul e Lucy Burns che, durante la prima guerra mondiale,
sfidando il disprezzo di tutti lottarono con tutte le forze
per il riconoscimento del diritto di voto alle donne diffondendo
la proprie idee attraverso comizi, scritte sui muri o cartelli
con slogan del tipo "Votes for woman". .
Spesso queste manifestazioni venivano soffocate con la violenza
da parte delle forze dell'ordine e con l'arresto di molte militanti femministe
che tuttavia, alla fine, vinsero la loro battaglia.
Il primo paese ad ottenere il suffragio universale femminile
fu la Nuova Zelanda nel 1893 seguito dalla Germani nel 1919,
dagli Stati Uniti nel 1920 ad opera di Alice Paul e Lucy Burns,
dall’Inghilterra nel 1928, dalla Francia nel 1945.
In Italia (fanalino di coda) il voto alle donne
fu concesso solo nel 1946 dopo la seconda guerra mondiale.







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