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Madre Teresa di Calcutta, al secolo Anjeza Gonxha Bojaxhiu
nacque a Skopje in Macedonia, minore dei 5 figli il 26 agosto 1910
in una benestante famiglia di genitori albanesi originari del Kosovo:
la madre, Drane, era nata a Gjakova e il padre, Kolë, a Prizren.
All'età di otto anni rimase orfana di padre e la sua famiglia
si trovò in gravi difficoltà economiche.
A partire dall'età di dieci - quattordici anni partecipò alle attività della parrocchia
del Sacro Cuore di Skopje, in particolare quelle dell'aiuto alle persone povere.
In quel periodo cominciò a conoscere l'India tramite le lettere
di missionari gesuiti attivi nel Bengala.
Nel 1928, a diciotto anni, decise di prendere i voti
entrando come aspirante nelle Suore di Loreto, un ramo dell'Istituto
della Beata Vergine Maria che svolgeva attività missionaria in India.
Dopo un primo colloquio a Parigi, venne inizialmente inviata a Dublino,
in Irlanda, dove si fermò sei settimane per imparare
le prime nozioni di inglese e ricevere il velo di postulante.
Nel gennaio 1929 raggiunse l'India dove, dopo una breve sosta a Calcutta,
venne inviata nel Darjeeling, alle pendici dell'Himalaya,
per completare la sua preparazione. Qui si fermò due anni,
studiando le lingue inglese e bengali e insegnando
nella scuola annessa al convento.
Svolse anche un'attività come aiuto-infermiera
che la mise in contatto con la realtà dei malati.
Il 24 maggio 1931, prese i voti temporanei, assumendo il nome di Maria Teresa,
ispirandosi a Santa Teresa di Lisieux.
Dopo aver preso i voti, Teresa lasciò Darjeeling
e raggiunse Calcutta, dove per i successivi 17 anni visse e lavorò
presso il collegio cattolico di Saint Mary's High School
del sobborgo di Entally, frequentato soprattutto dalle figlie dei coloni britannici.
Insegnava storia e geografia e poté studiare la lingua hindi.
La regola delle Suore di Loreto non le consentiva di allontanarsi
dal convento ma, grazie alle attività di volontariato
svolto da alcune sue alunne ebbe modo di prendere sempre maggiore consapevolezza
delle terribili condizioni di vita negli slum di Calcutta,
e in particolare in quello di Motijhil, confinante con la scuola.
Ivi, essa si trovò catapultata nella realtà della miseria più nera,
che la lasciò sconvolta.


Di fatto tutta una popolazione nasceva,
viveva e moriva sui marciapiedi; il loro tetto, se andava bene,
era costituito dal sedile di una panchina, dall'angolo di un portone,
da un carretto abbandonato. Altri invece avevano solo alcuni giornali o
cartoni... La media dei bambini moriva appena nata,
i loro cadaveri gettati in una pattumiera o in un canale di scolo…..
Madre Teresa rimase inorridita quando scoprì che ogni mattina,
i resti di quelle creature venivano raccolti insieme con i mucchi di spazzatura.



Nel 1937 si recò a Darjeeling per pronunziare i voti perpetui.
Divenne così Madre Teresa, nome che mantenne per il resto della vita.
Tornata a Calcutta, fu nominata, nel 1944, direttrice della scuola.
Gli anni della guerra ebbero profonde ripercussioni
sulle attività svolte dalle suore, che si dedicarono sempre più
all'accoglienza di orfani e bambini abbandonati.
Lo stesso convento di Entally venne requisito e, fino al 1945,
trasformato in un ospedale militare britannico.
Nell'agosto del 1946 Calcutta fu teatro di scontri sanguinosi
tra diverse fazioni indipendentiste,
La città fu paralizzata per diversi giorni e Madre Teresa,
uscita dal collegio per trovare del cibo, rimase impressionata
dalla devastazione che ebbe modo di vedere.
In lei cominciò quindi a maturare una profonda riflessione interiore
che l'avrebbe condotta presto alla svolta decisiva della sua vita.
La sera del 10 settembre partì in treno per recarsi a Darjeeling,
dove doveva svolgere gli esercizi spirituali.
Fu proprio in quella notte di viaggio,a contatto con condizioni di povertà estrema,
che lei ebbe una "chiamata nella chiamata":
« Quella notte aprii gli occhi sulla sofferenza e capii a fondo
l'essenza della mia vocazione [...]
Sentivo che il Signore mi chiedeva di rinunciare alla vita tranquilla
all'interno della mia congregazione religiosa per uscire
nelle strade a servire i poveri.
Era un ordine. Non era un suggerimento, un invito o una proposta [...] »
(Cit. in Renzo Allegri, Madre Teresa mi ha detto, Ancora Editrice, Milano, 2010)
Madre Teresa decise quindi di uscire dal convento
e mettersi al servizio dei "più poveri tra i poveri"
come si sentiva ora chiamata a fare.
Dovette comunque aspettare due anni per convincere le consorelle
e l'arcivescovo di Calcutta, e ottenere le approvazioni necessarie.
Le resistenze furono infatti numerose, tanto che la giovane suora
venne anche trasferita, per un breve periodo, nella città di Asansol.
Nel 1948 Madre Teresa ebbe infine l'autorizzazione dal Vaticano
ad andare a vivere da sola nella periferia della metropoli,
a condizione che continuasse la vita religiosa.
Decise quindi di abbandonare il velo nero delle Suore di Loreto
il giorno della festa dell'Assunzione (15 agosto 1948),
a vent'anni esatti dalla prima chiamata che aveva ricevuto diciottenne
al santuario della Madonna nera di Letnice e indossò per la prima volta
un "sari" (veste tradizionale delle donne indiane) bianco di un cotonato grezzo,
ornato con un bordino azzurro, i colori della Vergine Maria.
Sulla spalla, un piccolo crocifisso nero.
Aveva sempre con sé una valigetta con gli effetti personali indispensabili,
non portava mai denaro. con sè.
Per dimostrare la sua incondizionata dedizione all'India,
nello stesso anno chiese ed ottenne la cittadinanza indiana.
Lasciato il convento, si recò per un breve periodo
presso le suore di Patna, nel medio Gange, per acquisire le necessarie nozioni sanitarie.
che la convinsero dell'importanza dell'igiene e dell'alimentazione
per migliorare la vita di coloro che abitavano negli slum.
Tornata a Calcutta, alla fine del 1948 iniziò la sua missione
al servizio dei poveri recandosi con cinque rupie nello slum
di Motijhil:, dove cominciò ad insegnare e ad assistere i bambini
poveri della zona in una capanna.
Ben presto attorno a sè attirò molti volontari
che l'aiutavano nell'insegnamento, nella distribuzione di cibo
e nella diffusione di pratiche igieniche.
Grazie all'aiuto di uno di questi collaboratori, Michael Gomes,
nel febbraio 1949 poté trasferirsi in una vera casa, dove riservò una stanza
a malati e moribondi dopo aver assistito inorridita alla morte di una donna in strada.
Nel marzo 1949 una sua ex-allieva, Shubashini Das, si unì a lei,
creando le basi per la costruzione di una piccola comunità.

Nel 1950, Madre Teresa fondò la congregazione delle Missionarie della carità,
a cui missione era quella di prendersi cura dei "più poveri dei poveri" e
"di tutte quelle persone che si sentono non volute, non amate, non curate dalla società,
tutte quelle persone che sono diventate un peso per la società
e che sono fuggite da tutti".
Le prime missionarie furono dodici ragazze,
tra cui alcune sue ex allieve della Saint Mary.
Tutte vestirono il semplice sari bianco di cotone grezzo con le strisce azzurre,
adottato da Madre Teresa che divenne il loro simbolo
Coloro che desideravano seguire l'esempio di Madre Teresa
divennero sempre più numerosi tanto che fu necessario
spostarsi in una nuova sede a 54A Lower Circular Road, messa a loro disposizione
dall'arcidiocesi di Calcutta, che ospita tuttora la casa madre.
Nel 1952 venne inaugurata la Casa Kalighat per i morenti
chiamata poi Nirmal Hriday (casa dei puri di cuore),
nata per offrire cure e assistenza ai malati rifiutati dagli ospedali.
A quel tempo infatti, a causa dell'enorme povertà i malati
venivano abbanati a morire per le strade, privi di assistenza,
in mezzo ai topi e alla spazzatura
L'idea le venne un giorno in cui andava cercando poveri,
trovò una donna che agonizza per la strada,
troppo debole per lottare contro i topi che le rodevano le dita dei piedi.
La portò all'ospedale più vicino, dove, dopo molte difficoltà,
la moribonda venne accettata. Chiese ed ottene dall'amministrazione comunale
un luogo per accogliervi gli agonizzanti abbandonati.
Le venne messa a disposizione una casa che prima serviva da asilo
ai pellegrini del tempio indù di "Kalì la nera",
ma che a quel tempo era utilizzata da vagabondi e trafficanti,
insieme con una somma mensile di denaro..
Le persone portate all'ospizio venivano assistite e avevano,
la possibilità di morire con dignità secondo i riti della propria fede:
ai musulmani si leggeva il Corano, agli indù si dava acqua del Gange,
e i cattolici ricevevano l'estrema unzione.
Gli inizi furono comunque difficili.a causa dei sospetti
soprattutto da parte dei sacerdoti induisti del vicino tempio
che l'accusavano di battezzare i malati in punto di morte,
senza chiedere il loro parere.
Superate le iniziali diffidenze, la struttura venne comunque
sostenuta e appoggiata, sia dal contributo di volontari
che da donazioni di persone di diversi credi religiosi.
Due anni dopo, creò il "Centro di speranza e di vita"
per accogliervi i bambini abbandonati.
In realtà, quelli che venivano portati lì, avvolti in stracci
o addirittura in pezzi di carta, non avevano che poca speranza di vivere.
Molti di quelli che riuscivano a riaversi, venivano adottati
da famiglie di tutti i paesi.
Era solita dice che:"Quel che manca di più ai poveri,
è il fatto di sentirsi utili, di sentirsi amati.
È l'esser messi da parte che impone loro la povertà, che li ferisce.
Per tutte le specie di malattie, vi sono medicine, cure,
ma quando si è indesiderabili, se non vi sono mani pietose
e cuori amorosi, allora non c'è speranza di vera guarigione".
Madre Teresa decise di dedicarsi anche alla piaga della lebbra,
a quel tempo ancora largamente diffusa.
Nel 1957, con l'aiuto di un medico, cominciò ad accogliere e assistere alcuni lebbrosi.
Poco dopo realizzò delle cliniche mobili per contenere i focolai di infezione,
seguendo il modello di un medico belga che a Madras curava i malati a domicilio.
Nel 1958 Madre Teresa aprì un centro per i malati di lebbra a Tigarah,
in una zona degradata nella periferia di Calcutta.
Ricordando l'impegno di Gandhi per i lebbrosi,
la suora volle dedicare alla sua memoria la struttura,
che venne quindi chiamata Gandhiji's Prem Niwas ("Dono d'amore di Gandhi").
Pochi anni dopo, nel 1961, il Governatore del Bengala decise di affidare
alle Missionarie della Carità, un terreno a circa 300 chilometri da Calcutta,
presso il confine con il Bihar: qui Madre Teresa
realizzò il villaggio di Shanti Nagar ("Città della pace"),
dove i malati di lebbra potevano vivere e lavorare,
coltivando i campi, allevando animali e svolgendo attività di artigianato.
La presenza di volontari sani favoriva il recupero sociale dei malati,
evitando forme di emarginazione.
Sul suo impegno verso i lebbrosi, Madre Teresa spesso ripeteva:
"Non ci sono lebbrosi, solo la lebbra, e si può curare"
Per dieci anni Madre Teresa operò solo nel territorio di Calcutta:
nel 1959 aprì infine una nuova struttura a Ranchi,
nello stato indiano dello Jharkhand.
Nel febbraio 1965, papa Paolo VI concesse alle Missionarie della Carità
il titolo di "congregazione di diritto pontificio"
e la possibilità di espandersi anche fuori dall'India.
Il 26 luglio 1965 a Cocorote, in Venezuela, venne quindi aperta
la prima casa della congregazione fuori dall'India.
Seguì, l'8 dicembre 1967, l'avvio di un centro a Colombo (Sri Lanka).
Fu poi la volta di sedi in Africa, America, Asia ed Europa
Nel frattempo, la fama di Madre Teresa cresceva
anche grazie alla crescente attenzione che la sua attività riceveva
da parte dei media.
Nel corso degli anni ottanta nacque l'amicizia
fra papa Giovanni Paolo II e Madre Teresa, i quali si scambiarono visite reciproche.
Grazie all'appoggio di papa Wojtyla, Madre Teresa riuscì ad aprire
ben tre case a Roma, fra cui una mensa nella Città del Vaticano
dedicata a Santa Marta, patrona dell'ospitalità.


solo se utilizzate per aiutare i bisognosi del mondo".
A partire dalla fine degli anni ottanta, le sue condizioni peggiorarono:
Nel 1989 in seguito a un infarto le fu applicato un pacemaker.
Si dimise da superiora dell'Ordine ma in seguito a un ballottaggio
fu rieletta praticamente all'unanimità, contando solo qualche voto astenuto.
Accettò il risultato e rimase alla guida della congregazione.
Nel 1991 si ammalò di polmonite, l'anno successivo contrasse la malaria
e nell'aprile del 1996 cadde e si ruppe una clavicola.
Ormai le sue condizioni erano troppo precarie per cui le consorelle
accettarono che lasciasse la guida delle Missionarie della Carità,
a suor Nirmala Joshi. A marzo incontrò papa Giovanni Paolo II



per l'ultima volta, prima di rientrare a Calcutta dove morì il 5 settembre, all'età di ottantasette anni.
La sua scomparsa suscitò grande commozione nel mondo intero:
l'India le riservò solenni funerali di stato, che videro
un'enorme partecipazione popolare e la presenza di importanti autorità
del mondo intero. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite,
Javier Pérez de Cuéllar, arrivò persino a dichiarare:
"Lei è le Nazioni Unite. Lei è la pace nel mondo."
Nawaz Sharif, Primo Ministro del Pakistan,
disse inoltre che Madre Teresa era "un raro e unico individuo
che ha vissuto a lungo per più alti scopi.
La sua lunga vita di devozione alla cura dei poveri, dei malati
e degli svantaggiati è stata uno dei più grandi esempi
di servizio alla nostra umanità."
Madre Teresa è stata sepolta a Calcutta,
presso la sede delle Missionarie della Carità.
Sulla semplice tomba bianca è stato inciso un verso del Vangelo di Giovanni:
« Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. » (Giovanni 15,12)



A soli due anni dalla morte, Papa Giovanni Paolo II consentì
che si aprisse la causa di canonizzazione.
È stata beatificata il 19 ottobre 2003 per i suoi miracoli,
il primo dei quali quello di aver guarito una donna indiana, Monica Besra,
originaria di un villaggio a nord di Calcutta.
Nel 1998 la donna era malata ma, non potendo più sostenere le spese mediche,
aveva chiesto di lasciare l'ospedale in cui era ricoverata
e di essere accompagnata a un centro delle Missionarie della Carità, presso Balurghat.
Il 5 settembre la donna pregò con le suore e affermò di aver visto
una fotografia di Madre Teresa e di essere rimasta colpita
da un raggio di luce che proveniva dai suoi occhi.
Nel pomeriggio, poggiò un piccolo medaglione di Madre Teresa sulla protuberanza
che aveva sull'addome e continuò a pregare.
La mattina successiva si sentì leggera ed eccitata: chiamò la donna che dormiva
di fianco a lei per dirle che la protuberanza era scomparsa.
Monica Besra, che è di fede induista, successivamente dichiarò:
"Dio mi ha scelto come mezzo per mostrare alla gente l'enorme
potere di cura di Madre Teresa, non solo attraverso le cure fisiche,
ma attraverso i suoi miracoli".
Ai giovani che manifestavano il desiderio di andarla ad aiutare
in India, rispondeva di rimanere nel loro paese,
per esercitarvi la carità nei riguardi dei "poveri"
del loro ambiente abituale. "In Francia, come a New York e dovunque,
quanti esseri hanno fame di esser amati: è una povertà terribile,
questa, senza paragone con la povertà degli Africani e degli Indiani...
Non è tanto quanto si dà, ma è l'amore che mettiamo nel dare che conta...
Pregate perché ciò cominci nella vostra propria famiglia.
I bambini non hanno spesso nessuno che li accolga, quando tornano da scuola.
Quando si ritrovano con i genitori, è per sedersi davanti alla televisione,
e non scambiano parola. È una povertà molto profonda...
Dovete lavorare per guadagnare la vita della vostra famiglia,
ma abbiate anche il coraggio di dividere con qualcuno che non ha
forse semplicemente un sorriso, un bicchier d'acqua -,
di proporgli di sedersi per parlare qualche istante;
scrivete magari soltanto una lettera ad un malato degente in ospedale...".
Soleva dire:”Sono albanese di sangue, indiana di cittadinanza.
Per quel che attiene alla mia fede, sono una suora cattolica.
Secondo la mia vocazione, appartengo al mondo.
Ma per quanto riguarda il mio cuore, appartengo interamente al Cuore di Gesù”.


Rielaborazione di notizie prese su Web,
il copyright appartiene ai rispettivi autori

Vivi la vita
La vita è un'opportunità, coglila.
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne una realtà.
La vita è una sfida, affrontala.
La vita è un dovere, compilo.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è preziosa, abbine cura.
La vita è una ricchezza, conservala.
La vita è amore, godine.
La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è promessa, adempila.
La vita è tristezza, superala.
La vita è un inno, cantalo.
La vita è una lotta, accettala.
La vita è un'avventura, rischiala.
La vita è felicità, meritala.
La vita è la vita, difendila.



Una Matita
di Pino Bullara

Io fui soltanto una piccola matita,
una semplice matita tra le Sue dita.
Di Dio, fui solo un mezzo indegno,
per la realizzazione del suo disegno.
Ama il prossimo tuo come te stesso
e senza distinzione di età e di sesso,
di razza, di credo politico e religioso,
io amai tutti: dal povero al facoltoso.
Col nome Teresa, a Lui mi votai tutta.
Lasciai Skopje e andai a Calcutta.
Con tutto l’amore, la fede e la bontà
cercai, soltanto, di fare
la Sua volontà.
In ogni fratello vedevo il Suo volto,
quel che facevo non era mai molto,
mi assillava solo una preoccupazione:
non essere abbastanza a disposizione.
E infine, quando lasciai questo regno,
alle sorelle ricordai il nostro impegno:
a Dio abbiamo consacrato la vita,
siamo solo matite, tra le Sue dita.»
Pino nel Vento
http://www.nelvento.eu/UnaMatita.htm






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