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L'ABBRACCIO

di GERMANA GALMAZZI

Mi chiedo se sia possibile avere nostalgia di qualcosa che non si è avuto,
sapendo che comunque non lo si potrà avere mai.
Parlo di un abbraccio, io ho nostalgia di un abbraccio che avrei voluto e
che mia madre non mi ha dato.
Non in un giorno o una situazione particolari, non per una caduta dolorosa o
un amore finito. Io parlo dell'Abbraccio, quello che ti senti ancora dentro
dopo che lei è morta, quello che ti senti ancora fuori quando ti rannicchi,
chiudi gli occhi e ti lasci avvolgere dal ricordo.
Ho provato a cercarlo ovunque, mi sono detta "due braccia che ti stringono è
un abbraccio".
Ma non è così semplice.
Nell'abbraccio di un uomo ho trovato tenerezza, protezione, ma basta un
niente perché si trasformi in passione.
Anche nell'abbraccio di un figlio ho trovato tenerezza e protezione, ma
basta un niente e si trasforma in un "Grazie, ora sto bene", anche se non è
vero che stai bene.
Perché non ricordo alcun abbraccio di mia madre? Eppure deve avermene dati.
Guardo le fotografie dove lei mi tiene in braccio. Perché non lo ricordo?
Ho avuto il coraggio di chiederglielo. Ero grande e continuavo ad avere
questo desiderio, questa nostalgia.
Le ho scritto un biglietto: c'era Snoopy che ballava e io ballavo con lui,
per avere trovato il coraggio di dire quello che per tanti anni avevo tenuto
dentro: amore, bisogno, parole.
Non una risposta a quel biglietto, nè una battuta ironica, nè una frase
commossa, o - come dire - un accenno di rammarico per quello che non ha
saputo darmi.
Il silenzio. Peggio di uno schiaffo, peggio di un rifiuto, il peggio di
tutto quello che una madre ti può dare.
L'ho cercato fino alla fine, questo abbraccio, fino alla fine di lei.
E quando stava morendo io, quasi approfittando della sua malattia, della sua
debolezza, la lavavo, la pettinavo, le massaggiavo tutto il corpo, quel
corpo che non ero riuscita a sentire vicino in un abbraccio;
quando stava morendo e ormai parlava con i suoi morti, a un tratto mi
chiese:
- Mi vuoi bene?
La rabbia salì dal cuore fino alla gola. Avrei voluto urlarle:
- Che cosa mi stai chiedendo? E' tutta la vita che ti voglio bene.
Tutta la mia stronza vita, l'ho vissuta per dimostrarti che ti voglio bene.
E tu, un fottutissimo "ti voglio bene", me lo vuoi dire? Una sola volta, me
lo vuoi dire?
Ma l'abbracciai io, l'abbracciai e le dissi:
- Certo che ti voglio bene.
E dolcemente la poggiai di nuovo sul letto dove poco dopo sarebbe morta
lasciandomi sola, non più di come mi aveva lasciato quando era viva, ma
senza più la speranza di poter avere da lei un abbraccio nel quale entrare
per farmi consolare.







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