<
Privacy Policy EGIZI CURIOSITA'


EGIZI



CURIOSITA'

Lo spirito del defunto davanti ai giudici dice

Le Lettere ai morti

Il Calendario

Le piaghe d'Egitto

L'Enigma di Akenaton

La maledizione di Tutankamon

Come si salutavano gli antichi Egizi?

Il geroglifico "misterioso"

L'origine del nome "piramide"

La stele della sfinge

Una protesi di 3000 anni fa

La mummificazione

Ramess II e la dieta dei faraoni

Le acque del caos

La religione egizia era più ricca di simboli che di miti,
sebbene alcuni di questi fossero al centro di numerosi racconti,
che per lo più si tramandavano oralmente.
Certi miti, come quello dell'uccisione e resurrezione di Osiride,
venivano rappresentati durante cerimonie regali o riti religiosi.



Il compito della società egizia consisteva nel preservare l'ordine divino
instaurato dal Creatore, e l'idea di progresso non aveva posto nel pensiero egizio.
Il Creatore aveva molte forme e molti nomi, Ra, Ra-Atum, Amon-Ra,
Ra-Harakhte a seconda del periodo storico e del luogo;



ma tutte le fonti sono concordi nell'affermare che la Creazione era sorta
dall'abisso delle acque primordiali, chiamato Num
All'inizio, infatti, non c'erano che le acque del caos, sovrastate dal buio e dal silenzio
ma nelle loro profondità giaceva lo spirito informe del Creatore, padre e madre di tutte le cose.
Secondo una versione piuttosto comune, ad un certo momento dell'eternità
dalle acque si levò una collina, così come dopo l'inondazione, durante la calura estiva,
La collina fu la prima terraferma apparsa e costituì il luogo in cui lo spirito Creatore
poté rivestirsi di un corpo a forma di fenice, dal piumaggio fiammeggiante.



Con il suo grido il creatore spezzò il silenzio primordiale.



Secondo un altro mito, otto creature, con la testa di rana i maschi e di serpente le femmine,
nuotavano nelle acque del caos prima della Creazione; essi costituivano l'Ogdoade:
Nun e Naunet, divinità dell'abisso delle acque primordiali;
Heh e Hehet, divinità delle tenebre;
Amon e Amaunet, divinità dell'inconoscibile.
Essi si fusero formando il grande uovo da cui sarebbe uscito il Creatore.



Stando ad altre versioni ancora, l'uovo primordiale fu deposto sulla collina da un'oca,
i cui schiamazzi furono i primi suoni.
La Grande Starnazzante rimase sulla collina a covare l'uovo per innumerevoli ere
e alla fine il guscio si ruppe e ne usci una splendente fenice.
Le due metà del guscio separarono le acque del caos dando origine a uno spazio in cui il Creatore costruì il mondo.



Un'altra versione è quella della nascita del Loto primordiale dall'abisso;
il fiore lentamente si aprì e apparve un giovane dio seduto al centro.
Il fanciullo era Nefertem, il Creatore, il dio Sole, fonte di ogni vita.



Ogni sera il loto sprofonda sott'acqua per risalire in superficie all'alba,
come il Loto primordiale che divideva la notte dal giorno.



Quale sia la forma attribuita al Creatore, tutti i miti sono concordi nell'affermare che,
mentre giaceva nell'abisso delle acque primordiali,
era consapevole della solitudine e bramava di condividere il nuovo mondo con altri esseri.
quindi cominciò a creare gli esseri viventi pronunciando i loro nomi
A Eliopoli, i sacerdoti chiamavano il Creatore Ra-Atum;
egli aveva un solo occhio perché dopo ere di solitudine,
questi espettorò Shu, dio dell'aria, e Tefnut, dea dell'umidità,

        

ma per lungo tempo continuò a stare solo perché Shu e Tefnut si smarrirono nelle acque del caos.
Allora il Creatore mandò il suo occhio alla loro ricerca.
L'occhio diventò così la figlia di Ra-Atum, Hathor, che ben presto trovò nelle tenebre i fratelli e li portò al padre.



In segno di riconoscenza, il dio Sole pose l'Occhio sulla propria fronte in forma di grande cobra,
il serpente ureo, conferendo alla figlia potere sui suoi nemici;
da quel momento sia gli dei sia gli uomini l'avrebbero temuta.



Poi Ra-Atum abbracciò, piangendo di gioia, i suoi primi figli, Sha e Tfnut e mentre li teneva stretti a sé,
il suo spirito penetrò in loro ed essi e tutti gli dei nati successivamente condivisero la divinità del Creatore.



L'ENNEADE

Shu e Tefnut, i primi figli di Ra-Atum, si amarono e Tefnut partorì due gemelli,
dapprima Geb, dio della terra, poi Nut dea del cielo.



I due fratelli si amarono anch'essi e per molte ore giacquero abbracciati,
con la conseguenza che tra loro non c'era abbastanza spazio perché qualcosa potesse vivere e crescere.



Atun si ingelosì del grande amore di Nut per Geb e ordinò al loro padre Shu di separarli.
Il potente dio dell'aria calpestò Geb sotto i propri piedi, quindi sollevò Nut sulle palme delle mani,
tenendola sospesa sopra il fratello.



Sebbene Nut fosse, incinta, Ra-Atum la maledisse, impedendole di partorire in qualsiasi giorno dell'anno.
Geb si agitava sotto i piedi del padre, Nut si chinava su di lui, ma non potevano raggiungersi.
Nel frattempo il Creatore aveva dato vita a molti altri esseri, tra cui Thot,



il più sapiente degli dei, che alla vista del bel corpo di Nut inarcato sopra il mondo
ne provò amore e pietà; decise di aiutarla, e a tale scopo inventò il gioco della dama
sfidando gli dei e mettendo in palio il tempo.



Un po’ alla volta il dio sapiente riuscì a guadagnare abbastanza tempo da completare cinque giorni.
Dal Creatore la lunghezza dell'anno era stata fissata in trecentosessanta giorni,
ai quali Thot aggiunse i cinque vinti che non erano coperti dalla maledizione di Ra-Atum;
e così Nut poté finalmente partorire.
Il primo giorno diede alla luce un figlio già incoronato che ebbe nome Osiride;
il secondo giorno partorì Horo e il terzo, tra molte doglie Seth.
Il quarto e il quinto due femmine, Iside e Nefti.
Osiride e Iside si erano innamorati l'uno dell'altra già nell'utero materno e divennero marito e moglie.



Anche Seth e Nefti si sposarono, ma senza che tra loro nascesse amore.
Le due figlie di Nut erano assai diverse: Iside intrepida e astuta
più saggia di milioni di uomini assieme, e quindi signora della Magia;
Nefti tutta bontà e gentilezza.
Ancora più diversi erano i fratelli Osiride e Seth;
il primo bello, nobile e generoso, mentre Seth aveva la testa di una bestia selvatica,
era malvagio e non perdonava a Osiride di essere il primogenito
e quindi destinato al trono.
Ra-Atum, Shu e Tefnut, Geb e Nut, Osiride e Iside, Seth e Nefti, erano considerati i nove grandi dei dell'Enneade.



Dopo aver creato molte altre divinità e aver riempito terra e cielo di spiriti e demoni,
il Creatore produsse l'Uomo.
Secondo alcune versioni, l'umanità era nata dalle lacrime di gioia sparse da Ra-Atum
quando aveva ritrovato Shu e Tefnut,
mentre secondo altri il primo uomo era stato plasmato da Khnum,



il dio dalla testa d'ariete, con la sua ruota da vasaio.
Dopo averli vivificati con il proprio alito, il Creatore diede agli uomini
una terra in cui vivere, il regno d'Egitto,
da lui protetto con il deserto, ma fertilizzato in parte dalle acque del Nilo.
Creò poi gli altri paesi, per i quali mise un Nilo nel cielo che chiamò pioggia.
Istituì stagioni e mesi, coprì la terra di piante e fiori,
creò insetti e pesci, uccelli e quadrupedi.
Ogni giorno Ra-Atum percorreva a piedi il proprio regno;
attraversava il cielo sulla Barca dei Milioni di Anni, e alla vista del Sole
le creature viventi in Egitto si rallegravano e lodavano il loro Creatore.



Per tenere lontane le forze del caos e far trionfare l'ordine e la giustizia sulla terra,
Ra inventò le monarchie; lui stesso fu il primo e massimo re d'Egitto,
e lo governò felicemente per innumerevoli secoli.



IL NOME SEGRETO DI RA

Ra l'unico Creatore era visibile agli Egizi sotto forma di disco solare,
ma era noto anche sotto altre forme, come uomo coronato, falco o uomo con la testa di falco;
inoltre era raffigurato anche come scarabeo stercorario
che faceva rotolare il Sole attraverso il cielo.



In caverne sotterranee erano nascoste altre settantacinque forme di Ra,
esseri misteriosi dai corpi mummificati e dalle teste a forma di uccelli, serpenti, piume e fiori.
Altrettanto numerosi erano i nomi di Ra: lo splendente, il Nascosto, il Rinnovatore della Terra,
il Vento nelle Anime, l'Esaltato, ecc. ecc.;
ma c'era un suo nome che mai era stato pronunciato dall'inizio dei tempi.
Conoscerlo sarebbe equivalso ad avere potere su di lui e sul mondo da lui creato.
Iside aspirava a tale potere, al potere sul Creatore e sul mondo da lui creato;
il suo sogno era quello di concedere tale potere a suo figlio Horo,
un bellissimo figlio dalla testa di falco, e desiderava il trono di Ra per donarlo a lui.



Iside era la dea della Magia e con la sua astuzia escogitò un piano
per farsi rivelare il nome segreto di Ra.
Sapeva benissimo che nulla nel creato era forte abbastanza per vincere il Creatore;
non le restava dunque che volgere il potere di Ra contro se stessa,
e concepì un piano crudele.
Un mattino Iside si unì al corteo che accompagnava sempre Ra quando percorreva il suo regno;
ormai Ra si era fatto vecchio e stanco, i suoi passi erano malfermi e incominciava a sbavare.
Iside lo teneva d'occhio e appena vide cadere una goccia di saliva su di una zolla d'argilla,
la raccolse, la plasmò sotto forma di serpente e su di lui riversò
incantesimi per tutta la durata dell'oscurità.
Poi lo portò a un incrocio della strada che il dio Sole avrebbe percorso e lo nascose nell'erba.
Quando il giorno dopo Ra giunse all'incrocio, gli incantesimi di Iside incominciarono ad avere effetto.
Il serpente prese vita e morse Ra alla caviglia; al morso Ra lanciò un urlo
che si udì per tutto il creato.
Si accorse che era stato ferito da qualcosa di letale e non riusciva a capire
cosa avesse potuto colpire la sua persona, dato che era lui
l’unico creatore; eppure sapeva che quella cosa l’avrebbe ucciso.
Decise così di mandare a chiamare l'Ennade dato che loro
erano versati nella magia e solo loro avrebbero potuto aiutarlo.
I messaggeri corsero dai grandi dei e l'Ennade giunse ai quattro pilastri del Mondo,
mentre altri inviati percorrevano Terra, Cielo e Abisso per convocare tutte le divinità create da Ra.
Dalle paludi giunsero Keket il dio dalla testa di rana, Wadjet la dea cobra,
e Sobek il terribile dio dalla testa di coccodrillo.
Dai deserti vennero l'implacabile Selkis la dea scorpione,
Anubis lo sciacallo guardiano dei morti, e Nechbet la dea avvoltoio.
Dalle città del Nord vennero il bellicoso Neith, la dolce Bastet dalla testa di gatto,
Sekmet dalla testa leonina e Ptah il dio delle arti e dei mestieri.
Dalle città del Sud giunsero Onuris, il divino cacciatore, e Khunum
dalla testa di ariete insieme con Anukis sua moglie e Satis sua figlia.
E arrivarono anche l'astuto Thot e la saggia Seshat, dea della scrittura,
Renenutet, la dea delle messi dalla testa di serpente,
il gentile Meskhenet e la mostruosa Taueret, dea del parto.
Tutti gli dei si raccolsero intorno al dio Sole piangendo e disperandosi
perché temevano che morisse e tra loro anche Iside
che si batteva il petto e si fingeva disperata più di tutti gli altri.
Rivolgendosi al padre disse: «Padre che ti è accaduto? Ti ha morso un serpente?
Quale perfida creature ha osato colpire il suo Creatore?
Pochi Dei mi stanno alla pari per saggezza e io sono la signora della Magia».
Ra le fu molto grato e le riferì l'accaduto,
«Dimmi il tuo nome segreto, disse Iside, perché io possa usarlo nei mie incantesimi,
altrimenti nessuna magia potrà esserti di aiuto».
«Io sono il Creatore del cielo e della terra, disse Ra,
io ho fatto le altezze e la profondità, ho posto orizzonti a est e a ovest,
ho insediato gli dei nella loro gloria.
Quando apro gli occhi è luce, quando li chiudo è buio.
Il Nilo possente fluisce al mio comando. Gli dei ignorano il mio vero nome,
ma io sono il Creatore del tempo, colui che concede le feste».
«Lo sappiamo benissimo, disse Iside, ma per escogitare un incantesimo
che ti guarisca devo servirmi del tuo nome segreto».
Ra gemette e replicò: « Il mio nome segreto m'è stato dato
perché non dovessi temere nessuna creatura vivente. Come posso rivelartelo?».
Intanto però i suoi tormenti diventavano sempre più insopportabili
e finalmente il dio ordinò agli altri dei di allontanarsi
mentre sussurrava il proprio nome segreto a Iside e soggiungeva:
«Ora il potere del mio nome segreto è passato dal mio al tuo cuore.
Un giorno lo darai a tuo figlio, ma ingiungigli di non rivelarlo».
Iside pronunciò allora un incantesimo che guarì Ra
rendendolo più forte di prima e gridò di gioia:
il suo piano era riuscito e suo figlio Horo un giorno
si sarebbe seduto sul trono d'Egitto esercitando il potere di Ra.



LO SPIRITO DEL DEFUNTO DICE
DAVANTI AL GIUDICE ASSEGNATOGLI


Non ho commesso ingiustizie
Non ho rubato esercitando violenza
Non ho commesso atti violenti
Non ho rubato
Non ho ucciso né uomo né donna
Non ho agito in modo ingannevole
Non ho rubato oggetti di proprietà divina
Non ho pronunciato il falso
Non ho pronunciato malvagità
Non ho attaccato altri
Non ho violato la donna d'altri
Non ho commesso peccato contro la purezza
Non ho intimorito altri
Non ho vissuto nella rabbia
Non ho finto sordità alle parole giuste e veritiere
Non ho incoraggiato conflitti
Non ho abusato d'altri
Non ho espresso giudizi affrettati
Non ho contaminato le acque
Non stato insolente
Non ho perseguito alcuna distinzione



LE LETTERE AI MORTI
Secondo gli Egizi, come accade  in molti culti religiosi antichi e odierni,
il mondo terreno e l’aldilà non erano del tutto separati e,
anzi, sussisteva una stretta interazione tra le due sfere..
Per assicurarsi la benevolenza dei morti e per scoprire il futuro
gli egizi inventarono le lettere ai morti
in cui si scriveva ai cari defunti per salutare o per fare una richiesta.
"Stai bene? l'Occidente si prende cura di te?" "Per favore, fammi avere un figlio sano"
"Mi riconosci? Sono Ankhesenamon, la sorella tua che tanto hai amato!
Perché mi hai lasciata sola in questo mondo?
Oh, perché sei partito per questo viaggio senza ritorno verso occidente
senza portare anche me!"
Lettera a Tutankhamon scritta dalla moglie



Tali documenti epistolari furono individuati per la prima volta nel 1914
dagli egittologi Alan Gardiner e Kurt Sethe.
Da allora, gli studi e le ricerche archeologiche si sono progressivamente arricchiti di nuovi esemplari,
Nonostante ci sia pervenuto un numero esiguo di lettere – complessivamente 14 –
la loro diffusa distribuzione geografica suggerisce l’esistenza
di una pratica religiosa estesa a tutto il territorio egiziano.
In base alla datazione dei documenti epistolari rinvenuti,
tale consuetudine si mantenne viva per un arco temporale compreso tra la VI e la XXVI dinastia,
ma il nucleo più consistente – nonché il più antico –
risale alla fase tra il Primo Periodo Intermedio e il Medio Regno (fine del III millennio – prima metà del II millennio).
La documentazione epistolare riguarda interamente l’élite (per lo meno, la popolazione istruita),
ma non è da escludere che ciò sia dovuto soltanto a una casualità dei ritrovamenti.
Per definire il ruolo delle lettere ai morti nell’ambito della religiosità egizia,
è fondamentale precisare che tali documenti
non rispondevano mai al semplice bisogno di comunicazione con i defunti,
bensì esprimevano, in tutti i casi, una richiesta concreta e ben precisa.
Le lettere erano strutturate secondo uno schema ricorrente:

  • Introduzione: il mittente si presentava allo spirito del defunto
    tramite una formula standard del tipo: “È un figlio che parla a suo padre”.
    Come in un qualsiasi testo di questo genere,si rivolgevano al defunto
    saluti, domande sulla sua condizione nell’aldilà e auguri di un’eternità beata.
  • Esposizione dei fatti: era riportata una sommaria illustrazione
    del problema che affliggeva l’autore della lettera.
    Qui si spiegavano i fatti e i personaggi che dovevano essere familiari al destinatario
    e che, a volte, si riferivano anche a episodi accaduti quando egli era ancora in vita.
  • Richiesta d’aiuto: si pregava il defunto di intervenire, in nome della pietà
    che il vivo aveva dimostrato nei suoi confronti,
    sia in vita sia dopo la morte, e dietro la promessa di offerte future.
    Le questioni affrontate nelle lettere sono le più disparate,
    poiché qualsiasi circostanza particolarmente critica poteva necessitare
    il ricorso al potere dei morti: una malattia per la quale si chiedeva la guarigione,
    il desiderio di generare figli sani, il bisogno di protezione da entità malvagie,
    dispute legali riguardanti questioni di eredità e proprietà ecc.
    Tra i casi più curiosi vi è, ad esempio, quello di una donna,
    Irti, e suo figlio, Iy, che si rivolgono al marito e padre defunto
    a causa di una sottrazione di beni.
    Dalla lettera si apprende che alcuni individui “hanno devastato la tua casa,
    prendendosi ogni cosa che si trovava in essa” (Lettera su lino del Cairo CG25975).
    Chi siano tali individui e con quale diritto si siano appropriati degli averi del defunto
    non è comprensibile dalla lettura, ma Irti sembra abbastanza sicura
    che l’espropriazione sia illecita e che i beni spettino al figlio in eredità.
    Il testo si carica di passione e costernazione quando la donna
    cerca di destare la sensibilità del defunto e di richiamargli alla mente
    l’importanza di una giusta e regolare trasmissione del patrimonio di famiglia:
    “Il tuo cuore rimarrà indifferente riguardo ciò?"
    Le lettere erano depositate all’interno delle tombe e associate alle offerte funerarie,
    in modo da propiziarsi lo spirito del defunto, come una sorta di captatio benevolentiae.
    I supporti scrittori impiegati erano diversi: le lettere più prolisse
    furono scritte su papiro (indice anche di elevato status sociale)
    e almeno una su un lembo di lino; la maggior parte di esse fu, invece,
    iscritta all’interno di recipienti in terracotta
    impiegati come contenitori per le offerte alimentari,
    cosicché lo spirito del defunto che si fosse avvicinato per nutrirsi,
    avrebbe inevitabilmente notato la lettera sul fondo del contenitore.



    1) Le lettere sono state scritte in ieratico, forma corsiva della scrittura egizia, sviluppatasi parallelamente al geroglifico.
    2) Dopo tale data, il formulario e le intenzioni delle lettere ai morti
    furono assorbiti da un nuovo genere, quello delle lettere alle divinità.
    3) È possibile che il fenomeno fosse diffuso fra una porzione più ampia della popolazione,
    in grado di avvalersi del lavoro di uno scriba.



    IL CALENDARIO

    Il calendario egizio era nato nell'Antico Egitto principalmente per regolare i lavori agricoli.
    Gli egiziani definivano il loro anno (uep renpet, wp rnpt = iniziatore dell'anno) come il tempo necessario per il raccolto.
    I contadini quindi utilizzavano come inizio dell'anno il giorno dell'arrivo a Menfi della piena del fiumeNilo
    evento che si verificava attorno al 20 giugno, ma suscettibile di importanti ritardi o anticipi.
    L'esigenza di definire in modo accurato la durata dell'anno portò all'introduzione di altri calendari,
    talora utilizzati simultaneamente benché potessero adottare come capodanno giorni estremamente diversi
    e perciò gli storici hanno tuttora grandi difficoltà nell'interpretare il reale significato di antiche date egizie.
    La tradizione attribuisce all'anno 2769 a.C. e al saggio Imhotep
    l'invenzione del primo calendario di trecentosessantacinque giorni e un quarto.
    Nel 238 a.C. fu poi introdotto l'anno bisestile.
    I mesi erano raggruppati in tre quadrimestri che corrispondevano ad altrettante stagioni:
    la stagione dell'inondazione akhet
    la stagione della germinazione pert
    la stagione della calura shemu
    Soltanto in epoca bassa a ciascuno dei quattro mesi che componevano le tetramenie venne attribuito un nome:
    Thot, Paophi, Athyr, Choiak per la stagione dell'inondazione;
    Tybi, Meshir, Phamenoth, Pharmuthi per la stagione della germinazione:
    Pachons, Payni, Epiphi, Mesori per la terza stagione, l'estate.
    Così, per designare una determinata data, si davano l'anno del regno, il mese della stagione e il giorno.
    Per esempio: anno IX di Zoserkare Amenhotep (I), terzo mese della calura (Epiphi),
    giorno 9 è, secondo il papiro medico Ebers, la data della levata eliaca di Sothis (Sepet), cioè della stella Sirio.



    In effetti l'anno egizio iniziava il giorno in cui Sirio esce dall'orizzonte nel momento dell'alba.
    Questo fenomeno, che viene detto "levata eliaca di Sothis",
    corrisponde approssimativamente all'inizio della piena del Nilo,
    periodo importantissimo per l'economia di questo popolo di agricoltori
    perchè legato alla circostanza delle inondazioni.
    Questa data infatti (il 19 luglio del calendario giuliano
    o 15 giugno del nostro calendario, alla latitudine di Menfi) segnava l'inizio dell'anno.
    Dato che l'anno egizio era composto soltanto di 365 giorni, contro i 365 e 6 ore dei cicli del sole e di Sirio,
  • il convenzionale inizio dell'anno si spostava avanti di un giorno ogni 4 anni.
    Dunque, occorrevano 1461 anni perché anno cosmico ed anno ufficiale coincidessero nuovamente.
    Naturalmente gli Egiziani avevano notato questa sfasatura che portava l'estate
    segnata sul calendario nel bel mezzo dell'inverno reale
    e fu per questo che chiamarono l'anno ufficiale "anno vago".
    Tuttavia, per il lavoro dei campi, i contadini si basarono sempre unicamente sul ciclo naturale delle stagioni.
    I cicli di 1461 giorni, detti "periodi sotiaci" hanno aiutato gli specialisti
    nella ricerca della data precisa dell'introduzione del calendario.
    Tale calendario fu poi preso tale e quale da Giulio Cesare, che lo introdusse a Roma.
    Perfezionato da Gregorio XIII nel 1582 è quello che noi ancor oggi usiamo.



    LE PIAGHE D’EGITTO

    Ancora oggi, quando si vuole indicare
    una situazione particolarmente disastrosa dell'ecosistema in cui viviamo,
    si suole far riferimento alle "piaghe d'Egitto",
    E in effetti è davvero truculento lo scenario dipinto nel libro biblico dell'Esodo,
    una delle parti fondamentali dell'Antico Testamento.
    Raccontano le Sacre Scritture che dieci terribili eventi si susseguirono lungo le sponde del Nilo:
    l'acqua del fiume trasformata in sangue,
    l'invasione delle rane,
    la polvere della terra tramutata in pidocchi (o zanzare),
    l'assalto dei mosconi,
    la peste che colpisce il bestiame,
    le ulcere su animali e uomini,
    la grandine,
    le cavallette,
    le tenebre
    e la più tremenda di tutte la morte dei figli primogeniti.
    Tutto questo sarebbe accaduto nel Tredicesimo secolo avanti Cristo,
    sotto il regno di Ramesse II e di suo figlio Merenptah,





    per consentire a Mosè e agli Ebrei la fuga dall'Egitto.
    Ma gli scienziati non sono d'accordo con l'ipotesi dell'intervento divino
    e quindi hanno cercato di spiegare scientificamente i fatti accaduti.
    Si è trovato persino un "colpevole",
    un micidiale microrganismo recentemente studiato, la Pfiesteria piscicida,
    che rese rosse e venefiche le acque del Nilo,innescando poi la ben nota serie di altri guai.
    La vicenda è stata ricostruita da due ricercatori americani:
    John Marr, capo epidemiologo della città di New York, e Curtis Malloy.
    I due studiosi, lavorando su alcuni dinoflagellati
    (alghe unicellulari marine, da alcuni zoologi considerate protozoi),
    hanno concentrato la loro attenzione su una specie
    che infesta alcuni fiumi della costa orientale statunitense
    e la cui tossina fa letteralmente strage di pesci:
    la Pfiesteria piscicida appunto.

    Un organismo Pfiesteria simile è stato ipotizzato come possibile origine della colorazione delle acque del Nilo,
    che divennero mortali non solo per i pesci che le popolavano,
    ma anche per tutti gli esseri viventi che a esse facevano riferimento.
    Come andarono scientificamente le cose? Quando le acque divennero tossiche le rane, che sulle rive del Nilo
    sottoposte a periodiche inondazioni trovavano un habitat ideale,
    si "rifugiarono" in massa verso le zone più abitate.
    Zone asciutte, queste, dove un po' per cause naturali,
    un po' per la caccia indiscriminata cui furono sottoposte
    da parte di quanti non amavano trovarsi nel letto un rospo, le rane morirono.



    Con la scomparsa di questi anfibi fu grande festa per mosche e mosconi,
    cibo prediletto delle rane il cui numero letteralmente esplose.
    Quelli che la Bibbia definiva semplicemente pidocchi (la terza piaga),
    "tanti, da sembrare polvere che si sollevasse dai sentieri, penetrasse dalle finestre"
    non sarebbero altro che Culicoides, responsabili anche
    dell' encefalomielite africana dei cavalli e della febbre catarrale maligna delle pecore.



    Simili a moscerini, provocano irritazioni simili a quelle date dai morsi dei pidocchi,
    ma trasmettono virus che uccidono in poche ore il bestiame.
    Da notare che nella versione italiana ufficiale della Bibbia
    i pidocchi sono divenuti "zanzare".
    La peste del bestiame (quinta piaga)
    "su cavalli, asini, cammelli, sulle mandrie e sul gregge, scenderà una peste molto pesante"
    potrebbe essere molto simile all'antrace, patologia micidiale per gli allevamenti,
    il cui virus è trasmissibile anche all'uomo.



    Ulcere pustolose cadute dal cielo su uomini e bestie, e persino sui maghi,
    che con le loro arti cercavano di dimostrare al faraone
    che le piaghe non erano opera divina: questa la sesta piaga



    che John Marr e Curtis Malloy (i due studiosi impegnati a dare una spiegazione scientifica di quegli eventi biblici)
    attribuiscono alla mosca cavallina (Stomaxys calcitrans).
    L'insetto, infatti, è capace di trasmettere un'infezione batterica da Actinobacillus mallei, conosciuta già dai Romani.
    Per la devastazione prodotta dalla voracità delle locuste
    (ottava piaga: "copriranno la faccia della terra, mangeranno ogni albero,
    riempiranno le case di tutto l'Egitto");



    non occorre formulare strane ipotesi.
    Ancora ai nostri tempi il fenomeno è drammatico; nei territori africani
    questi insetti distruggono l'economia agricola di interi Paesi
    e sono causa di gravi carestie.
    La disastrosa invasione della Locusta migratoria, nel 1988,
    ha divorato il 90 per cento dell'intera produzione agricola del Madagascar.
    Anche la settima piaga, una eccezionale grandinata, capace di spezzare i rami deglialberi,
    sfondare i tetti delle case e uccidere uomini e animali,
    non è difficile da immaginare.



    Riguardo alla nona piaga, l'oscuramento del cielo durato tre giorni. è possibile,
    secondo i due studiosi, attribuire il fenomeno sia a una prolungata tempesta di sabbia,
    sia a un violento terremoto nella vicina Rift Valley,
    cui seguì un'imponente eruzione di polveri.
    Fin qui tutto chiaro: la scienza può ben spiegare la sequenza di fenomeni, dalla prima alla nona piaga.
    Ma come spiegare la morte dei soli primogeniti?
    Secondo Marr e Malloy, anche questa è una diretta conseguenza
    dei disastri alle colture provocati dalla grandine e dal passaggio delle locuste.
    Timorosi della vendetta divina minacciata da Mosè,
    gli Egizi immagazzinarono nei silos grano umido che ammuffì e venne pervaso da velenose tossine.
    Per tradizione i primogeniti ricevevano doppia razione di cibo,
    sicché non resistettero all'attacco dei funghi micidiali.
    Secondo altri invece tutto fu dovuto all'’eruzione vulcanica dell’isola diThera (Santorini)
    Un’eruzione che alla fine portò alla disintegrazione di metà dell’isola
    ed innescò un’onda di tsunami che non solo irruppe sulle isole più vicine (l’arcipelago delle Cicladi),
    ma fece sentire la sua pesante devastazione sulle coste africane libiche, palestinesi
    e naturalmente, sul delta del Nilo.
    Non esistono documenti scritti che narrano l’evento, ma proprio questo silenzio collettivo
    su un evento così straordinario, qual è stata l’esplosione di Thera,
    è esso stesso una prova schiacciante: come infatti non pensare che la mancanza assoluta di racconti sull’accaduto
    non sia essa stessa il muto racconto di uno sconvolgimento epocale,
    di un repentino e radicale ritorno a civiltà meno evolute,
    incapaci di raccontarsi e di raccontare?
    Recenti test con il radiocarbonio, hanno dimostrato
    che Thera esplose tra il 1600 a.C. e il 1627 a.C.
    Gli effetti devastanti del cataclisma ricaddero pesantemente sull’Egitto:
    l’oscuramento dei cieli, le piogge di ceneri vulcaniche,
    terrorizzarono gli egizi, che lessero in tutto ciò una punizione divina.
    Questo era già accaduto una volta, quando, secondo le credenze egizie,
    la dea Sekhmet aveva cercato di annientare la razza umana.



    In quest’ottica le leggendarie piaghe d’Egitto,
    che Mosè scatenò contro il faraone, assumono un nuovo spessore.
    É giusto dire che la Bibbia non fornisce la data esatta degli eventi che videro protagonista Mosè.
    Ma tutto ciò avvenne all’epoca della distruzione di Thera.
    Gli effetti dell’eruzione mostrano una somiglianza impressionante con le piaghe d’Egitto.
    L’energia liberata da questa esplosione è stata immensa, pari a 6000 testate termonucleari.
    Restando in tema di esplosioni vulcaniche, quella del Krakatoa, avvenuta nel 1886 vicino a Sumatra,
    che provocò l’oscuramento totale della luce del sole per una settimana
    fino ad oltre ottocento chilometri di distanza, era sei volte meno potente di quella di Thera.
    Si parla di tenebre, acque del Nilo trasformate in sangue, ulcere e grandine.
    Ebbene, l’esplosione di Thera produsse una nuvola di ceneri che oscurò la luce del sole.
    Le polveri dell’eruzione altamente velenose, assieme alle varie tonnellate di ossidi di ferro,
    una volta precipitati al suolo e disciolte nelle acque del Nilo, non potevano che fare stragi immediate di pesci (Es 7, 20-21),
    colorando contemporaneamente l’acqua di ruggine rossa (Il Nilo tramutato in sangue).
    Quando si schiusero le uova delle rane, nelle acque già ripulite dalla corrente, i girini,
    non essendoci più pesci predatori, furono liberi di arrivare a maturazione
    diventando rane adulte, invadendo tutte le terre circostanti, come fedelmente riportato dalla Bibbia (Es 8,2 ).
    La Bibbia parla di ulcere che colpirono le persone e di moria di bestiame (Es 9, 6-12).



    Quando esplose il vulcano Mount Saint Helens in America, nel 1980, centinaia di persone
    furono ricoverate negli ospedali di Tacoma e Seattle, per eritemi e ulcerazione
    dovute al contatto con le polveri acide prodotte dal vulcano,
    mentre una gran quantità di bestiame fu trovata morta a causa delle polveri tossiche inalate.
    E’ interessante e significativo che la Bibbia parli proprio di “fuliggine di fornace”
    come causa delle ulcere alla popolazione, solo che l’origine viene attribuita a Mosè,
    il quale ne avrebbe lanciato una manciata in aria.
    Studiando poi la distribuzione dei campioni di pomice, prelevati dal fondo marino,
    gli scienziati hanno rilevato la direzione di quella terribile nuvola vulcanica.
    Partita da Thera, arrivò in Egitto e lo percorse, arrivando fino a Thebe, nell’Alto Egitto,
    ma senza passare sopra il delta orientale del Nilo.
    Salvando in questo modo sia le regioni abitate dagli ebrei che la città di Eliopoli.
    (Bisogna ricordarsi allora che il faraone di stirpe egizia era confinato nell’Alto Egitto,
    perchè tutto il Basso Egitto era sotto la dominazione degli Hyksos e dei suoi re-faraoni).
    In Es 9, 24 si legge: ”Vi fu grandine, ed anche fuoco che si accendeva in mezzo alla grandine”;
    più avanti versetto 26: “Soltanto nel paese di Goshen, dove stavano i figli di Israele, non vi fu grandine”.
    L’invasione, inoltre, di mosconi, di zanzare e cavallette,
    non è altro che la logica conseguenza di questo disastro ambientale e biologico.



    Chiaramente tutto questo non durò qualche giorno, ma mesi.
    La paura ed il terrore regnavano ovunque: le preghiere e le offerte non placavano l’ira degli dei.
    Le maggiori divinità del nord Africa, dell’Egitto e della terra di Canaam,
    gli dei Sekhmet, Bahhal- Aammon, Tanit, Ashtarte, Sept,
    erano insensibili al grido di dolore che si levava dai vari popoli.
    Appariva inevitabile che le divinità avessero di mira l’eccidio di tutta la popolazione.
    Non si poteva più indugiare; si doveva offrire quello che di più caro e prezioso si potesse avere: la vita dei propri figli primogeniti.
    Di solito bastava sostituire i fanciulli con una bestia viva
    (pecore agnelli), ma questa volta pareva non bastare.
    I figli vennero divinizzati, per creare in questo modo il legame diretto con le divinità,
    e di seguito sacrificati, in presenza, dei parenti delle vittime,
    ai quali, davanti all’altare era severamente vietato esternare i proprio dolore,
    perchè lacrime e gemiti avrebbero sminuito il sacrificio.
    I bambini posti, sulle braccia di un idolo cavo di bronzo, rotolavano all’interno dove ardeva il fuoco sacrificale.
    Tutto il medio oriente era diventato un immenso tophet.
    Nemmeno il faraone (di stipe Hyksos) aveva potuto sottrarsi al sacrificio.
    (Non bisogna dimenticare che nelle popolazioni Hyksos la pratica dei sacrifici umani era una prassi molto comune:
    Abramo non si è fatto molti scrupoli nel dover sacrificare Isacco)
    Diodoro Siculo, lo storico di Agira, ricorda un particolare di questi sacrifici.
    A Cartagine alcune famiglie avevano provveduto a sostituire i propri figli,
    con figli comprati da famiglie miserabili o relitte.
    Il governo di Cartagine, venutolo a sapere, ordinò per redimere l’anatema compiuto,
    il sacrificio di 200 bambini appartenenti tutti alle famiglie più nobili della città.
    Silvio Italico, nel libro IV° della sua epopea, riferisce che il governo di Cartagine
    decise di sacrificare il figlio di Annibale.
    La moglie del condottiero, Imilce, di sangue spagnola, si oppose all’atroce decisione
    e ottenne dal Consiglio una sospensione del sacrificio per poter informare il marito.
    Annibale rifiutò di immolare il proprio figlio e, al suo posto, giurò di sacrificare migliaia di nemici.
    E così fece....



    L'ENIGMA DI AKHENATON



    Figlio dell'unione di Amenhotep III e di Tyi, da cui nacquero 6 figli, quattro femmine e due maschi,
    questo sovrano è passato alla storia come il faraone eretico per il tentativo di sostituire,
    in conflitto con il potente clero tebano, il dio Amon con un nuovo culto monoteista adoratore del dio Aton
    e il faraone enigmatico per la sua ambiguità.
    Quando fu scoperta la tomba di Akhenaton nel 1880, si pensò che i ritratti della coppia reale
    ritraessero due donne a causa dell'aspetto non proprio "maschile" del sovrano.
    Una delle spiegazioni fu che il Faraone soffrisse di un tumore alla ghiandola pituitaria,
    malattia nota come sindrome di Frohlich.
    Si spiegherebbe così l'aspetto del re: la malformazione del teschio, la mascella a forma di lanterna,
    la testa sproporzionata, il collo allungato, il grasso depositato in zone tipicamente femminili e le gambe sottili.
    I detrattori spiegano che questa teoria non è giusta poiché un effetto collaterale della sindrome è l'infertilità.
    Se il Faraone fosse stato realmente ammalato come avrebbe fatto a generare le sei figlie con le quali è raffigurato?
    Di sicuro però le figlie di Akhenaton possedevano caratteri fisici inquietanti,
    come una fortissima dolicocefalia evidente nelle raffigurazioni e nelle statue.



    Alcune di queste figlie potrebbero aver preso il potere alla morte di Akhenaton,
    avvenuta secondo recentissimi studi a causa di una sindrome genetica portata in Egitto proprio dalle principesse mitanne.
    La Sindrome di Marfan causava un accentuamento della dolicocefalia che appare così marcata in queste figlie,
    oltre ad una serie di sintomi che sembrano clamorosamente trovare conferma nel Busto di Nefertiti.
    Infatti, questa sindrome degenerativa causa, oltre ad un allungamento del viso, delle dita e degli arti,
    una fragilità dei tessuti e deformazioni ossee, anche un distacco della retina
    e una deformazione del cristallino che si riscontra nell'occhio sinistro di Nefertiti ritratta nel famoso busto.



    Un difetto grave che non inficia la bellezza sovrumana della regina.
    Altre voci a sostegno suppongono, però, che forse contrasse il morbo in età avanzata.
    Ma secondo alcuni studiosi Achenaton era veramente una donna
    Il sovrano si faceva ritrarre con il seno, con il ventre gonfio come se fosse una donna incinta,
    addirittura con l'inguine nudo che non mostrava traccia di genitali maschili!
    I fianchi larghi e la vita stretta, nonché un viso femmineo, sconcertarono gli egittologi e gli studiosi moderni,
    che non riuscirono a comprendere come fosse possibile che un uomo si potesse far ritrarre in una simile maniera.
    Ma la questione è in realtà semplicissima: se le ipotesi parlano di una possibile omosessualità, di un'andoginia,
    di una sindrome ermafroditica come quella di Frolich o di una mutazione ormonale,
    nulla esclude che si trattasse di una donna, cosa che anzi trova conferme nella storia della sua dinastia.



    La sua condizione femminile, conosciuta ampiamente nell'antichità, potrebbe essere stata mascherata
    in tempi successivi anche per via dell'operato di Amenofi IV, che dopo alcuni anni
    dalla presa del potere cambiò il suo nome in Akhenaton.
    Il riferimento era al nuovo Dio Aton, identificato con il disco solare, che Amenofi IV
    prese direttamente dalla mitologia ittita-mitanna.
    In Aton Amenofi vedeva il creatore, l'origine del tutto, la genesi del creato,
    in un modo similare a quello con cui gli Egizi attribuivano al Dio Atum la creazione dell'Universo.
    Pur essendo una donna, prese in moglie secondo le consuetudini ,la Sposa Reale Nefertiti,
    alias Tadu-Heba di stirpe reale mitanna, a sua volta Sposa Reale di suo padre,
    di circa 10-15 anni più vecchia di lei.
    Non dobbiamo pensare però a una vera coppia lesbica: per quanto l'omosessualità fosse praticata e legalizzata in Egitto. L'unione tra di loro era solo formale ed entrambe le donne ebbero compagni maschi
    con cui concepirono i loro figli, ufficialmente discendenti reali.

    LA MALEDIZIONE DI TUTANKHAMON

    Noto come il faraone bambino, essendo morto ad appena 20 anni dopo 9 anni di regno,
    è stato il dodicesimo faraone della XVIII dinastia egizia,
    durante il periodo della storia dell'antico Egitto chiamato Nuovo Regno.
    Il suo nome originale, Tutankhaton, significa "Immagine vivente di Aton",
    mentre Tutankhamon significa "Immagine vivente di Amon".
    Si pensa che sia morto in un incidente durante una battuta di caccia,
    dato che riporta traumi dovuti a uno scontro con la ruota di una biga ad alta velocità.
    Analisi eseguite nel corso degli anni dalla scoperta della tomba,
    non ultime analisi del DNA compiute nel 2009, hanno consentito di appurare
    che il faraone soffriva di diverse malattie, alcune delle quali ereditarie,
    ma si è ritenuto che a nessuna di esse possa essere imputata la morte.
    L'esito di tali analisi, pubblicate nel febbraio 2010 sulla rivista statunitense JAMA
    (Journal of the American Medical Association),
    oltre a chiarire aspetti legati alla genealogia del Re,
    hanno diagnosticato che questi era affetto dal male di Kohler, a causa del quale
    era costretto a camminare appoggiandosi ad un bastone.
    Ciò giustificherebbe, peraltro, la presenza nella tomba di 130 strumenti di deambulazione
    effettivamente usati e non di semplice corredo.
    Nel corpo di Tutankhamon è inoltre stata rilevata la presenza del parassita della malaria in forma grave,
    come suffragato anche dalla presenza di piante con proprietà analgesiche ed antipiretiche nella tomba stessa.
    Famosa quasi quanto la scoperta della tomba di Tutankhamun
    è la credenza che essa fosse protetta da una potentissima maledizione.
    Tutankhamon era un giovane faraone morto nel 1320 a.c. a soli 18 anni,
    a quanto si dice assassinato con un complotto tesogli alle spalle dai suoi consiglieri di fiducia.
    La sua tomba è stata tra le scoperte più importanti d'Egitto, anche perché
    tutto fu trovato intatto al contrario di altre tombe di faraoni scoperte
    che avevano subito vari saccheggi ad opera di predoni nel corso dei secoli.
    Il sepolcro del giovane faraone Tutankhamon, fu violato la prima volta il 26 Novembre 1922,
    da Howard Carter e Lord Carnarvon che però non diedero peso
    alla scritta posta all'entrata della tomba che diceva:
    "La morte coglierà con ali leggere chiunque tocchi la tomba del Faraone",



    anzi Lord Carnarvon decise che tale scritta potesse intimorire gli operai al lavoro
    e la fece coprire con una targa recante il suo stemma.
    I lavori andarono avanti tranquillamente e i tesori del faraone furono tirati fuori dalla tomba,
    la bara del faraone fu aperta, all' interno vi era un'ulteriore sarcofago d'oro massiccio
    lungo un metro e ottanta; servirono ben otto uomini per aprirla.
    Ma il 6 Marzo Lord Carnarvon mentre si trovava nella tomba del faraone,
    venne punto da una zanzara su una guancia e dopo una settimana
    fu colpito da una forte febbre che si trasformò in polmonite.
    Subito tra la gente si ipotizzò che la tomba del faraone potesse essere protetta da forze ignote.
    Tali timori raggiunsero l'apice quando il Conte spirò nel Cairo la notte del 5 Aprile.
    Quella stessa notte, Susie, l'amatissimo cagnolino di Carnarvon
    si accasciò a terra inspiegabilmente, senza vita.
    Dapprima si ignorò quasi completamente le spiegazioni occulte, si pensò più a veleni
    che forse erano vicino alla mummia di Tutankhamon e il Lord si era infettato.
    Ma vennero alla luce ulteriori particolari che conferirono alla morte del Conte un'aura ancora più misteriosa;
    si seppe che la notte della sua morte improvvisamente tutte le luci elettriche dell'ospedale del Cairo si spensero,
    lasciando tutti nella più totale oscurità, per poi riaccendersi pochi minuti dopo,
    quando Lord Carnarvon era già morto.



    Si seppe che l'intera rete elettrica del Cairo era andata in corto per 5 minuti
    senza nessuna spiegazione tecnica.
    Inoltre vi fu la strana testimonianza della figlia di Lord Carnarvon:
    Evelyn Herbert disse che il giorno del loro arrivo in Egitto
    il 23 Novembre, una zingara indovina fece una strana premonizione al padre
    dicendogli senza che questi la conoscesse, che non doveva permettere
    che le reliquie trovate all'interno della tomba del faraone,
    venissero spostate o portate via; se avesse disobbedito
    avrebbe avuto un incidente nella tomba e la morte lo avrebbe colto in Egitto.
    Ma malgrado tutti questi avvenimenti Carter e la sua squadra continuarono i loro scavi,
    ignorando eventuali maledizioni, e ritenendo che
    la tragica morte del Conte fosse solo una fatalità.
    Ma la morte del Conte Carnarvon fu solo l'inizio di una catena incredibile di morti.
    Lo seguì due mesi dopo il fratello, il Colonnello Aubrey Herbert morì di setticemia,
    poi toccò al milionario americano Gorge Jay Gould
    interessato all'acquisto di oggetti faraonici e amico di Carnarvon,
    che morì a causa di una febbre improvvisa 24 ore dopo che Carter
    gli aveva mostrato la tomba e i tesori di Tutankhamon.
    Poi morì l'assistente di Carter, Arthur Mace anche questi inspiegabilmente,
    Richard Bethell segretario di Carnarvon colpito da infarto,
    il principe Ali Kamal Fahmy anch'egli entrato nella tomba,
    un custode del museo morto mentre etichettava alcuni reperti della tomba,
    Persino dopo che i profanatori della tomba di Tutankhamon erano morti e sepolti,
    la maledizione continuò ad imperversare.........
    Gli studiosi odierni, però, tendono a dare a queste morti una spiegazione sscientifica
    come già nel 1949 aveva fatto lo scienziato Louis Bulgarini.
    Essi sostengono che gli egizi usarono per i pavimenti e le mura delle tombe, rocce contenenti uranio.
    All'interno di sette antichi monumenti sono state trovate infatti,
    tracce di radon, un gas radioattivo incolore e inodore che si forma in seguito al decadimento dell'uranio.
    La concentrazione di tale gas era trenta volte superiore alla soglia di attenzione
    (soglia= 200 becquerel - concentrazione nelle tombe=816/5809 becquerel).
    Tale concentrazione porta vari malesseri ma soprattutto al rapido sviluppo di tumore ai polmoni.
    Si pensa che nella tomba del Re bambino chiusa da 3000 anni la concentrazione fosse ancora più alta.


    Come si salutavano gli Egiziani?

    Unica testimonianza quella di Erodoto:
    inchinandosi e abbassando la mano fino al ginocchio senza scambiarsi parole di saluto.
    Faceva eccezione il saluto al Faraone: incontrandolo bisognava prostrarsi a baciare la terra


    IL GEROGLIFICO "MISTERIOSO"

    Nel Tempio di Seti I ad Abido edificato durante la 19° Dinastia dell’Antico Egitto,
    ci sono dei geroglifici in cui molti sostengono vi siano raffigurati
    aerei a reazione, UFO, sottomarini, e persino elicotteri.
    Quale mistero si cela dietro questi strani geroglifici?



    Sebbene alcuni rimangono dubbiosi, la spiegazione data da alcuni egittologi
    appare attendibile e data su basi concrete.
    Il tempio aveva la funzione di tempio mortuario di Seti I,
    al quale si collega il culto di Osiride, e presenza di rilievo ad Abydos,
    il tempio è dedicato ad Osiride ma vi sono dediche anche ad altre divinità, così come a Seti I.
    Il tempio non è stato completato durante la vita di Seti I, ma da suo figlio, Ramesses II,
    all’inizio del regno di quest’ultimo.
    Il lavoro di Ramesses II è stata inferiore a quello di suo padre,
    lo si capisce dal lavoro scadente effettuato nelle varie modifiche apportate al tempio.
    Come risultato di questo “scadente” lavoro, alcuni iscrizioni sono state riscolpite e cesellate in fretta,
    utilizzando il gesso in alcuni casi solo per rintonacare le iscrizioni,
    che ovviamente nei millenni si sono sbriciolate o seccate, facendo riaffiorare dalla pietra i vecchi geroglifici.
    Queste modifiche per una curiosa casualità crearono forme e disegni a noi noti
    come: aerei, elicotteri, dischi volanti, sottomarini.
    Ma non tutti sono d'accordo......

    L'origine del nome "piramide"



    La parola che noi usiamo per indicare quei giganteschi monumenti aventi quattro facce triangolari,
    costruiti dai faraoni dell'antico Egitto è di origine greca.
    Sembrerà strano ma "piramide" deriva dal greco antico puramìs, -ìdos (cfr. gr. puròs)
    che significa "focaccia d'orzo"; questo soprannome venne assegnato dai primi soldati greci
    che credettero, arrivati in Egitto, di essersi imbattuti in grandissime focacce.
    Da qui, forse, l'origine della leggenda che voleva delle piramidi di Giza i granai di Mosè
    (il sopracitato puròs significa appunto"grano").
    Erodoto il grande storico greco era affascinato da tutto quello che ebbe modo di osservare in Egitto
    ed in particolare i monumenti e le piramidi,
    Fu proprio lui ad usare questo termine per la prima volta nel suo libro delle "Storie".
    Nell’antico Egitto era chiamata MR (pronunciato MER).
    I due segni consonantici sono ricchi di significato.
    Il prefisso M significa il luogo, ed R designa l’atto di salire:
    quindi luogo dell’ascensione ed infatti alle sue origini,
    la Piramide simboleggiava una scala, mezzo di tramite per la salita verso il cielo.
    In seguito sarà usata come tomba e il vocabolo MER finirà per designare qualsiasi tipo di sepoltura,
    un luogo che per gli Egizi era comunque sempre sede di gestazione e poi di resurrezione.
    Venivano costruite solo sulla riva occidentale del Nilo perché dove tramontava il sole vi era il Duat.
    Il Duat (chiamato Amenti o Necher-Jertet) era il mondo sotterraneo della mitologia egizia,
    dove si è svolto il processo di Osiride, e dove lo spirito del defunto vaga schivando gli esseri malvagi e altri pericoli,
    come riferito nel Libro dei Morti, per poi passare attraverso
    una serie di “porte” lungo le diverse tappe del viaggio.



    La base della Piramide è un quadrato, che esprime il perfezionamento.
    La Piramide era costruita in modo da concentrare il calore e la luce divina,
    canalizzandoli verso i corpi posti in essa (la mummia o l’iniziato),
    così che essi rinascano al momento della fusione di Osiride con Ra .



    LA STELE DELLA SFINGE



    Nella stele posta fra i piedi anteriori della Sfinge c'è un'iscrizione che narra di un giovane principe
    che si trovava nella piana di Giza per una battuta di caccia.
    Sorpreso dal caldo egli decise di riposarsi ai piedi della Sfinge,
    la quale gli apparve in sogno invitandolo a togliere tutta la sabbia che la stava sommergendo.
    In cambio essa promise al principe la corona d'Egitto.
    Il principe fece quanto richiesto e in più restaurò alcune parti del monumento.
    La Sfinge mantenne la sua promessa e il giovane principe fu incoronato re
    con il nome di Thutmose IV (XVIII dinastia).
    La stele in realtà, fu fatta scolpire da Thutmose per legittimare
    le sue pretese al trono, non essendo il primogenito.
    Egli infatti era figlio di Amenhotep II e di Tia, una sposa secondaria,
    o concubina, che solo dopo l'ascesa al trono del figlio
    verrà identificata come Grande Sposa Reale e come Sposa del dio.



    Questa stele fu scoperta nell'Ottocento
    dall'egittologo francese Jean-François Champollion
    che riuscì a decifrare i geroglifici della stele di Rosetta, riuscendo a tradurre l'antica lingua egizia.
    Così la stele ritrovata ai piedi della Sfinge poté essere interpretata.
    Fu così che si scoprì che parlava di un antico scavo al monumento,
    intrapreso dal faraone Thutmose IV del Nuovo Regno.
    La stele però era già gravemente erosa,
    così che non fu possibile decifrare completamente la parte finale.
    Tuttavia nella linea 13 si riesce a leggere la prima sillaba "Khaf" di "Khafre"
    ovverosia di Chefren, seguita poco più avanti dalla frase "la statua fatta per Atum-Horemakhet".
    La stele sembrerebbe alludere ad un rapporto tra la Sfinge e l'antico faraone Chefren.
    Questo consentì a E. A. Wallis Budge, di ipotizzare, che la Sfinge era stata proprio fatta costruire
    dal sovrano dell'Antico Regno.



    UNA PROTESI DI 3000 ANNI FA

    Una mummia, trovata a Luxor, l’antica Tebe, nel dicembre del 2000,
    presenta una delle prime
    protesi della storia. Il corpo, appartenuto ad una donna di circa 50-60 anni, soprannominata dai ricercatori "Toe-tankhamun",
    e ora conservato al museo del Cairo, “calzava”, infatti, al piede destro
    un alluce finto fatto di legno e pelle che, secondo Jacky Finch e gli altri scienziati
    del Centro KNH di egittologia biomedica dell’Università di Manchester
    che lo stanno studiando, era servito più da protesi che da ornamento decorativo o rituale.
    Il “ditone” egiziano risale a circa 3500 anni fa, è articolato in più pezzi
    e mostra chiari segni d’usura, possibile indicazione di un suo effettivo utilizzo funzionale.
    Se ciò venisse confermato, si sposterebbe di oltre 500 anni la testimonianza
    dell’impiego di protesi nell’antichità.
    Fino ad ora, la gamba romana di bronzo, rinvenuta a Capua e data a 3000 anni fa,
    ne era l’esempio più antico.





    LA MUMMIFICAZIONE

    Quando un corpo veniva mummificato,al posto degli occhi in tardo periodo
    si usò inserire dei bulbi di vetro colorato o di pietra
    per ripristinare la curvatura delle palpebre;
    inoltre venivano posti sotto la pelle cuscinetti di segatura,
    di sabbia o di fango che ridavano pienezza al corpo e al viso.
    Si procedeva quindi a un’ulteriore rifinitura colorando la pelle
    con ocra gialla per le donne e rossa per gli uomini;
    si truccavano occhi e labbra e si acconciavano i capelli.
    Molta cura si ebbe per le unghia delle mani e dei piedi.
    Le dita erano fasciate una ad una; se si trattava di faraoni,
    spesso venivano inguainate da lamine d'oro.
    Per salvaguardare il defunto durante il suo viaggio nell'aldilà
    gli imbalsamatori infilavano diversi minuscoli amuleti portafortuna tra le bende.



    Erano svariate centinaia ed ognuno di essi aveva un particolare significato o uno scopo.
    Lo Scarabeo simboleggiava la risurrezione ed era posto sopra o dentro il petto.
    Aveva la forma di uno scarabeo stercorario ed era stato scelto
    perchè pensavano che fosse in grado di rigenerarsi spontaneamente dai propri escrementi.



    La colonna DJed conferiva stabilità e fermezza e simboleggiava la spina dorsale di Osiride.



    L'appoggiatesta Weres indicava che il capo del morto sarebbe rimasto sollevato per sempre.



    L'amuleto più potente era l’ Occhio di Horus o WedJet dispensatore di salute.





    RAMSES II E LA DIETA DEI FARAONI



    Quando Ramses II morì a 97 anni. dopo aver sposato 200 donne
    (tra le quali le belle Nefertari e Istnofret) e totalizzando 96 figli e 60 figlie.
    la sua salma fu imbalsamata mediante immersioni in sale e in natron,
    poi trattata con spezie e resine, avvolta in lunghe bende di lino
    contenenti amuleti d’oro e di smalto e pietre preziose.
    poi rinchiuso in una serie di sarcofagi, verosimilmente di oro e di legno intarsiato, e trasportato a Tebe.
    Nel 1976, la sua mummia fu trasportata alla base militare di Bourguet, in Francia,
    per essere poi trasportata con un turbo-jet al Musée de l’Homme di Parigi,
    dove l’attendevano eminenti esperti francesi e statunitensi convenuti per un insolito check-up.
    L'equipe di ricercatori guidata da Jean-Luc Lèveque ha condotto sulla sua testa,
    una serie approfondita di studi cha ha portato alla scoperta
    che i suoi capelli erano indeboliti dal clima caldo
    e rovinati, probabilmente, dai colpi di spazzola fatti con strumenti rudimentali.
    La vera sorpresa, però, è stata un'altra: al faraone piaceva tingersi.
    Usava un colore biondo-rossiccio, ottenuto con l'henné



    Ma gli scienziati non si sono limitati a questo:
    usando una tecnica di analisi da loro stessi messo a punto,
    da un ciuffo di capelli sono riusciti ad identificare il tipo di alimentazione seguita.
    La protagonista dell'alimentazione del faraone e di tutti i nobili del 2000 a.C. era la carne.
    Faraoni e cortigiani erano ghiotti di bistecche di manzo, ma soprattutto di frattaglie, come milza e fegato.
    E poi anatre, quaglie e polli.
    Cosa ha permesso di scoprire le diete dell'Egitto di quattromila anni fa?
    La cheratina, la sostanza che forma l'80 per cento del capello.
    L'organismo ricava dai cibi gli elementi che servono per produrre la cheratina.
    Il carbonio, l'azoto, e, appunto, lo zolfo.
    Così, per esempio, la percentuale di carbonio 13 osservata sui capelli
    rivela quali e quanti vegetali sono stati ingeriti.
    L'azoto 15, invece, è presente in grandi quantità solo se la persona è carnivora.
    Mentre lo zolfo 34 è tipico di chi mangia molto pesce.
    Fra quattromila anni, insomma, qualcuno potrebbe scoprire che oggi mangiamo tante pizze e hamburger.







Le immagini e le notizie sono prese dal web
il copyright è dei rispettivi autori