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ALIMENTAZIONE

Le varie invasioni barbariche influenzarono, senza sconvolgerle,
le abitudini alimentari delle popolazioni italiane.
Nel Medioevo il popolino mangiava solo quello che produceva
o che trovava nel bosco, allo stato selvatico.
In pratica mangiava come il popolino romano.
In questo periodo, in Inghilterra, nacquero le parole
Lord (signore) e Lady (signora).
Queste parole derivano dall’anglosassone Hlaford (guardiano del pane),
in quanto il "signore", era colui che distribuiva il pane
e Hlaeddige (impastatrice del pane),
poiché la moglie del signore era colei che, col suo seguito,
produceva il pane che il marito elargiva al popolo.

Nel 1300, anno della peste, la classe contadina
non ebbe più la possibilità di mangiare il pane lievitato
e tornò al consumo di polente di farina d’orzo
e di focacce azzime fatte con cereali
meno pregiati e con legumi secchi.
Purtroppo le fonti di cui disponiamo sono scarse:
le documentazioni disponibili ci informano per lo più
del cibo servito in collegi, ospedali,
del rancio dei soldati o riportano il menù di alcuni celebri banchetti.

Nelle sue Benedictiones ad mensas (prima del 1025),
Ekkehard IV, monaco di San Gallo, enumera
cibi e bevande da lui conosciuti per via diretta
(esperienza quotidiana) o indiretta (letteratura):
diversi tipi di pane, pesci, pollame,
animali da macello, selvaggina, latticini,
frutta, spezie ed erbe medicinali,
ortaggi, funghi, vino,  idromele e birra.
Per una grossa fetta della popolazione, i cereali
(o le castagne nella Svizzera meridionale),
i legumi, gli ortaggi, la frutta cotta o secca,
completati nel migliore dei casi dalla carne,
rappresentavano le principali fonti di calorie.
Zuppa e pane erano la base dell'alimentazione quotidiana.
Le zuppe erano prevalentemente di legumi e venivano bevute
direttamente dalla ciotola o mangiate intingendo il pane al loro interno.

Il formaggio, sulle mense dei meno abbienti ,
era considerato un’alternativa alla carne.
e veniva distribuito regolarmente
dagli istituti di carità ai mendicanti:
era insomma la carne dei poveri e tale accostamento veniva ribadito
dal divieto ecclesiastico di consumare latticini il venerdì
e nei giorni di digiuno, poiché erano considerati alimenti grassi.
Chiunque poteva cimentarsi nella confezione del formaggio,
ma non tutti riuscivano a ottenere risultati di qualità:
erano i magistri formagerii che facevano la differenza !
Le tecniche di lavorazione non dovevano differire di tanto
da quelle rimaste in uso fino a pochi decenni fa.
La prima operazione era quella della cagliatura,
che si otteneva lasciando riposare per alcune ore il latte
in grandi recipienti con l’aggiunta del caglio,
quella sostanza in grado di far coagulare il latte.

Esistevano cagli di origine animale e di origine vegetale,
ma quello più usato era il primo, che si estraeva dallo stomaco
dei lattonzoli di ruminanti, soprattutto capretti e vitelli.
Secondo altre fonti sappiamo che il caglio veniva estratto
anche dallo stomaco della lepre.
Dal regno vegetale provenivano altri tipi di sostanze coagulanti,
il lattice di fico, il fiore essiccato del cardo selvatico...
Durante questa prima fase la materia grassa che tendeva ad affiorare
veniva separata dal resto (spannatura)
e con la crema ottenuta si produceva il burro.
Ottenuta la cagliata, questa veniva collocata
in un grande recipiente e posta sul fuoco a cuocere.
In seguito veniva filtrata e pressata, per estrarne il siero superfluo.
La pasta di formaggio ottenuta, veniva manipolata dal casaro
e versata negli appositi stampi.
Il burro, per contro, acquisì considerevole importanza
quale grasso da cucina, come attestano numerose dispense dal digiuno.
Il formaggio, considerato un'importante fonte di energia,
era consumato soprattutto durante il periodo della raccolta.
I signori se volevano mantenere il loro prestigio
nei confronti degli altri castellani,
dovevano ostentare un tenore di vita lussuoso.
Per questo, soprattutto nel caso di visite
di ospiti di riguardo, offrivano pranzi riccamente imbanditi.

Molto spesso, durante il pasto,
bisognava dividere con un altro commensale, scodella, bicchieri e tagliere.
Si dovevano rispettare alcune regole, come il mangiare poco
e il non scegliersi le cose migliori.
Prima di andare a tavola bisognava lavarsi le mani,
perché era con esse che si prendeva la maggior parte dei cibi.
Si mangiava con grazia e a piccoli bocconi, utilizzando
solo le tre dita (pollice-indice-medio) della mano destra,
prendendo il cibo direttamente dal vassoio comune e intingendolo nella salsa.

Per salare il boccone si doveva intingere
la punta del coltello pulito
(l’unica posata sempre presente in tavola
e che spesso veniva “portata da casa”),
nella saliera perché anche toccare il sale
con le dita era considerato scortesia.
Per le salse e i cibi liquidi, si usava un cucchiaio
Le carni venivano tagliate nel piatto di servizio,
ma spesso era l’uomo che premurosamente tagliava
in pezzi più piccoli il boccone migliore da offrire alla dama
infilzandolo con la punta del suo coltello.

Ecco cosa si legge nell'opera
Dall’addestramento di un gentiluomo, Pietro Alfonso (XII secolo)
"
Dopo aver lavato le mani non toccherai niente se non ciò che mangerai.
Non trangugerai subito il tuo pane,
ma aspetterai che venga servito il primo piatto.
Non è corretto ficcarsi in bocca pezzi così grossi
che i frammenti cadano a destra e a sinistra;
questo è prova di rozzezza e di gola.
Mastica il tuo cibo con cura prima di inghiottirlo,
per evitare di strangolarti.
Se non vuoi bere come un villano,
assicurati che la tua bocca sia libera di cibo;
solo il contadino fa una zuppa del genere nella bocca.
Non allungare le mani sul piatto che hai davanti
per prendere un boccone di cibo che ti sembra migliore
di quello che hai di fronte: questo è villania".

In quel tempo la forchetta non era conosciuta;
solo in Italia essa venne introdotta verso la fine del '300.
A quel tempo esistevano pochi tipi di posate;
nei documenti di quel tempo erano citati
infatti,  solo: cucchiai, coltelli e mestoli
che erano fabbricati in stagno.
La prima forchetta fu costruita per una sposa
che al suo matrimonio, al momento della carne,
si fece portare un “biforco” d’oro
e cominciò a mangiare con quello a differenza di tutti gli altri
che mangiavano con le mani in segno di nobiltà.

Per pulirsi le mani esistevano diversi metodi
a seconda della raffinatezza, dell’importanza del pranzo,
dell’ambiente e dell’epoca;
si potevano strofinare sul mantello dei cani
che giravano numerosi attendendo l’osso,
lavare delicatamente in acqua di rose oppure
pulire su delicate tovaglie di lino.
Se il padrone di casa dimenticava di offrire l’acqua di rose
era considerato maleducato, ma era considerato tale
anche chi la rifiutava.
Nel Medioevo, a causa della mancanza dei fazzoletti e dei tovaglioli
chi si doveva soffiare il naso
o pulire le mani, non poteva farlo sulla tovaglia
ma sulla propria veste, in segno di educazione e di igiene.
A tavola la sedia del signore era più elevata rispetto alle altre,
infatti gli altri commensali erano seduti su degli sgabelli.
Si usava che nei giorni feriali, i piatti fossero di stagno,
di rame, di ceramica o di legno pregiato,
mentre il vasellame di metallo prezioso
si usava nei giorni di festa o nei banchetti.
Le bevande erano sulla tavola in bottiglie di vetro
o in brocche metalliche e si servivano in coppe
di metallo prezioso, di vetro o di legno finemente decorato.

Non si poteva rimettere nel piatto un pezzo di carne morsicato,
né sputare di lato alla tavola.
C'erano regole precise anche per il bere.
Un invitato di modesto rango non poteva alzare il bicchiere
davanti ad una persona di condizioni più elevate,
né bere prima che l'ospite l'avesse invitato a farlo.
Bisognava bere lentamente e a piccoli sorsi,
non fare rumore nel sorbire e pulirsi sempre la bocca.

I poveri erano sicuramente denutriti e morivano spesso di fame,
i ricchi, invece, si nutrivano in modo vario e abbondante.
Nelle case contadine, la carne
(immancabilmente sotto sale per la conservazione)
si consumava bollita; in questo modo, non solo
si addolciva il sapore del sale, ma si faceva il brodo
che serviva come base per altre preparazioni.
L’attrezzo più importante della cucina era, comunque, la pentola.
Appesa ad una catena o direttamente appoggiata sul fuoco,
era l'unico utensile  per cucinare.

I feudatari, durante i loro lauti banchetti quasi sempre a base di carne,
si facevano servire gli arrosti direttamente su delle focacce di pane azzimo
(quindi senza lievito e sale), mangiando così senza piatti né posate.
Le focacce venivano poi date ai servi per sfamarsi.
Questi le facevano bollire in pentoloni di acqua
con quello che riuscivano a trovare nella campagna circostante,
per lo più verdure ed erbe quali carote, sedano e cavolo
E' da questa pietanza che nacque la famosa "ribollita".
La quantità prodotta era tale da durare svariati giorni.
Veniva infatti fatta ribollire nei giorni seguenti
acquistando sapore (come è tipico delle verdure) ad ogni ribollitura.
La cucina medievale era abbondantissima ma assolutamente monotona.
Dominavano le carni cucinate con numerose spezie esotiche
(ginepro, cannella, pepe, noce moscata, zafferano...).
L’alto costo delle spezie, però, faceva si che
solo il nobile potesse permettersele ed era un modo
che gli permetteva  di ostentare
la propria ricchezza anche a tavola.
I medici medievali  erano convinti che le spezie
rendessero più digeribili le vivande.
Si supponeva che le spezie fossero originarie
del Paradiso Terrestre, disegnato in molte cartografie
dell’epoca, tra l’India e la Cina e perciò.
conservassero qualche potere, come ad esempio, questo elisir!

ELISIR DI GIOVINEZZA:

Prendere una parte di vino bianco e una parte di vino rosso
e riscaldarli a bassa fiamma.
Aggiungere poi del miele, cannella, chiodi di garofano,
spicchi di arancia e limone.
Lasciare riposare il tutto ancora sul fuoco, per qualche minuto.
Versare su di un corno (o coppa) l’elisir ben caldo,
e prima di bere recitate: "Che eterna giovinezza conquisti".

L'unico prodotto conservato in grandi quantità
e trasportato in luoghi lontani, era il pesce
che, appena pescato, veniva stipato in barili
sotto sale dove poteva rimanere per molto tempo senza alterarsi.

Il pane era l'alimento fondamentale per tutta la popolazione:
ogni famiglia lo preparava in casa propria
impastando farina integrale, acqua, sale e lievito
per poi cuocerlo nel forno a legna.
Si consumavano una grande quantità di frutta e verdura
e di dolci come bignè, cialde, ciambelle,
biscotti, marzapane e croccanti.
Per fare la pasticceria, come per gli altri usi culinari,
il grasso più usato era il lardo
e il dolcificante più impiegato, il miele,
che in questi secoli era l’unico dolcificante noto.
I medievali amavano la cacciagione
(mangiavano le gru e i cigni, mentre le anatre e i fagiani
erano considerati uccelli ornamentali)
e i pesci, soprattutto d’acqua dolce (anche perché
il trasporto di quelli di mare era costosissimo),
e in particolare le anguille.
La parte di popolazione che, senza essere ricca,
aveva i mezzi per nutrirsi a sufficienza,
mangiava verdure (cipolle, aglio, cavoli, rape, carote),
uova (che si conservavano sode), frutta.
L’olio d’oliva era raro perché carissimo e solo
in Italia e in Spagna era abbastanza diffuso;
lo si sostituiva con quello ricavato dalle mandorle,
dalle noci e dai semi di canapa, che era utilizzato
oltre che per scopi alimentari anche per l’illuminazione.
Quanto alle bevande, al primo posto nel consumo era la birra;
poi venivano il vino e il sidro, prodotto dalla fermentazione delle mele.

Tutti, dal lavoratore al signore, bevevano vino in gran quantità.
I contadini erano costretti ad accontentarsi
di vinelli ottenuti con la spremitura dei rimasugli dell'uva,
già pigiata, per fare i vini destinati alla tavola dei ricchi.

Un pranzo di festa non si poteva concludere
senza un bicchiere di malvasia, accompagnata
da un cialdone, una specie di ostia.
Il vino di Cipro godeva di grande rinomanza, ma era caro
e lo potevano avere solo i ricchi.
I vini bianchi, più delicati, si addicevano maggiormente
ai membri delle famiglie di rango più elevato.
I vini neri erano, invece, più adatti ai lavoratori.
Si consigliava, ai giovani, di bere vini bianchi annacquati;
agli anziani vini rossi non annacquati.
Aldobrandino da Siena sosteneva che il vino facesse
buon sangue e migliorasse tutte le virtù del corpo.
La birra si diffuse soprattutto per merito dei monasteri,
che operarono un decisivo salto di qualità
nella produzione della bevanda introducendo
 nuovi ingredienti, tra i quali il luppolo.
A questo proposito va detto che, in tempi più remoti,
per l'aromatizzazione della birra si usavano svariati tipi
di erbe, spezie o bacche, oppure si ricorreva addirittura
a misture vegetali, la più famosa delle quali era il gruit,
una miscela di varie spezie, che però non aveva le stesse proprietà
conservanti del primo: la birra aromatizzata senza luppolo,
infatti, veniva bevuta subito dopo la preparazione
 e non poteva essere esportata;
l'unica alternativa era aumentare il contenuto di alcol,
ma ciò risultava piuttosto costoso.
Anche le suore avevano tra i loro compiti manuali
quello di fabbricare la birra, che, in parte, destinavano
al consumo dei malati e dei pellegrini.

La cucina nelle grandi case borghesi cittadine
era un locale a parte, a volte separato dal resto dell'abitazione.

Nelle case contadine o degli artigiani invece,
si mangiava e si preparavano i piatti
nella stessa stanza dove ci si riscaldava.
Per cucinare si usava il caminetto, nel quale si effettuavano
quasi tutti i tipi di cottura.
Il forno non era una struttura domestica,
ma serviva ad un'intera comunità cittadina o rurale;
il proprietario (un fornaio o un signore)
lo metteva a disposizione di tutti, ovviamente a pagamento.
Nelle case borghesi la preparazione degli alimenti
richiedeva una grande energia: i compiti venivano suddivisi.
in quanto i cuochi erano numerosi e potevano disporre
di parecchi aiutanti, pronti ad obbedire
e ad eseguire specifiche mansioni.
I giovani sguatteri controllavano la cottura dei cibi
e regolavano le fiamme, le cuoche si davano da fare
per schiumare il brodo, bagnare l'arrosto, pestare nel mortaio,
passare le salse al colino o al setaccio, filtrare il brodo per la gelatina.
In città la casalinga godeva di alcune facilitazioni,
che le rendevano i compiti meno pesanti,
le era possibile procurarsi più facilmente
gli ingredienti quando erano finiti,
la carne proveniva dalle botteghe dei macellai
o da allevamenti domestici.

Sempre da questi allevamenti si ricavava il latte,
con cui si producevano i vari formaggi che si mangiavano
al naturale oppure mischiati a ripieni.
La cacciagione arricchiva e diversificava i menù.
Il pesce, fresco, salato o essiccato, era considerato il sostitutivo
della carne nei periodi di magro ed occupava
un posto importante nell'alimentazione.
La varietà della verdura e della frutta era certamente
più limitata di oggi; includeva tuttavia
varie erbette dell'orto: insalate, bacche selvatiche,
menta selvatica, borragine, portulaca, issopo, senecione,
fior di finocchio, cime di cavolo, maggiorana, ceci rossi,
fiori di fave, radici di prezzemolo, fiori di sambuco,
corniole e altri ancora che entravano in dispensa
insieme ad altre piante dell'orto per noi più comuni
come bietole, legumi, cavoli, ecc.
L'alternanza grasso magro dell'anno liturgico
e il trascorrere delle stagioni
imponevano un loro ritmo e i prodotti freschi
erano spesso integrati da conserve.
Alcuni venivano messi in salamoia, i legumi e le zucche venivano seccati.
Le confetture, cotte nel miele o nel mosto, erano diverse
dalle nostre preparazioni, ma simili all'attuale "mostarda" di Cremona.
L'aceto e l'uva acerba, il cui succo o i cui acini conservati sotto sale
venivano chiamati "agresto", erano degli ingredienti aromatici fondamentali.
Il latte, sostanza molto deperibile, lo si consumava sul luogo di produzione;
in città, si diffidava dei venditori che a volte lo annacquavano.
La panna, mai menzionata, non sembra esistesse
come prodotto culinario autonomo.
Il burro compariva abbastanza poco nei trattati di cucina,
ed era venduto più spesso salato che fresco.
I palazzi più importanti erano dotati di una ghiacciaia,
dove la neve dell'inverno era conservata per lungo tempo.
Il camino invece era preposto all'affumicazione
e alla essicazione per lo più di pesci

Per quanto riguarda i cereali ad esempio
non dovevano germogliare ed erano perciò tostati
mentre per la salatura erano usati gradi recipienti in legno o in pietra.
Gli ingredienti fondamentali della cucina medioevale
rimangono comunque sempre le spezie vendute in polvere
oppure già mischiate tra loro.

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